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TESTO Dalle nozze messianiche, una nuova famiglia

don Fulvio Bertellini

II Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (18/01/2004)

Vangelo: Gv 2,1-11 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 1vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. 2Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. 3Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». 4E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». 5Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».

6Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. 7E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. 8Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. 9Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo 10e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora».

11Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.

C'è un legame sottile tra le nozze di Cana e la moltiplicazione dei pani nel Vangelo di Giovanni. Innanzitutto nella forma del miracolo: in entrambi i casi si ha a che fare con una misteriosa moltiplicazione/trasformazione del cibo. In entrambi i casi il punto di partenza è l'insufficienza dell'uomo, la sua incapacità di provvedere ad un bisogno fondamentale. In entrambi i casi il miracolo è narrato quasi di sfuggita, per mettere in risalto il suo significato simbolico. Il problema è andare al di là del segno, cogliere il significato dei "segni" compiuti da Gesù. Notiamo anche la complementarità dei segni su cui ci si sofferma: il pane e il vino, gli elementi dell'Eucaristia. Infine, la questione di fondo: a Cana, "da dove viene" quel vino, e perché è stato riservato per la conclusione del pasto; nel discorso del pane alla sinagoga di Cafarnao, "da dove viene" il pane di vita, e "da dove viene" quel Gesù, che tutti gli astanti credono essere il figlio di Giuseppe, e che invece dice di "essere sceso dal cielo". Il problema che comincia a porsi a Cana, trova la sua risposta definitiva nel discorso della sinagoga di Cafarnao.

L'insufficienza dell'uomo

L'osservazione di Maria "non hanno più vino" ha una forte risonanza simbolica: non si tratta di una semplice constatazione narrativa. Più tardi lo stesso evangelista farà notare che "è lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla". Lo stesso tema si ritrova in Paolo: l'uomo non è autosufficiente riguardo alla salvezza. Ma nella nostra epoca la questione si pone in maniera diversa: l'uomo, forte del progresso scientifico e tecnologico, può pensarsi come autosufficiente, e di fatto lo è. Notiamo però che una simile autonomia non è per tutti, ma solo per chi si trova in determinate situazioni socio-economiche. La tentazione per la Chiesa è di porsi soltanto a questo livello: diventare cioè forza di soluzione dei problemi a livello sociale e politico. L'uomo potrebbe essere sempre più autosufficiente, libero, costruire da solo il suo benessere, ma di fatto non riesce, non perché manchino i mezzi, ma perché non si riesce a fare giustizia. Qui si inserisce il discorso sul peccato, e qui si colloca l'intervento di Gesù.

Le giare della purificazione

I riti di purificazione erano diffusi presso i Giudei, come presso tutti i popoli. Esprimono il desiderio religioso-umano di una cancellazione delle colpe, del male, di tutto ciò che inquina la vita dell'uomo. Ma questo desiderio non viene mai esaudito in maniera radicale e definitiva. Solo Gesù può immettere vino nuovo nel tentativo umano di giungere ad un'esistenza autentica, liberata dal peccato. In questo sta il significato profondo del miracolo: non solo Gesù adempie il desiderio di purificazione dell'uomo, ma dona un modo di vivere completamente nuovo.

Il ruolo di Maria

Maria occupa un ruolo positivo nella narrazione del miracolo di Cana: non è in grado di compiere il miracolo, ma si rivolge con fiducia al figlio, e invita i servi ad avere la stessa fiducia: "Fate quello che vi dirà". Notiamo che nei vangeli più recenti (Luca e Giovanni) Maria, anche se con brevi accenni, ha un suo ruolo di rilievo, che non riscontriamo in Marco e Matteo: la comunità primitiva riconosce sempre più in Maria il modello dell'umanità trasformata dalla relazione con Gesù. Mentre nella moltiplicazione dei pani i discepoli, oltre ad essere riconosciuti insufficienti, dubitano della forza del Cristo, qui Maria indica una via diversa, che si apre all'accoglienza della salvezza. La scena finale ci presenta una comunità nuova: la madre, i fratelli, i discepoli, non unita da vincoli di sangue, ma dall'aver riconosciuto nella fede la gloria di Gesù.

Flash sulla I lettura

"Per amore di Sion non mi terrò in silenzio / per amore di Gerusalemme non mi derò pace...": la tarda letteratura profetica si concentra spesso sul tema simbolico della città santa, vista come madre e sposa. Oltre alle implicazioni teologiche (è Gesù il vero sposo, colui che dà compimento alle promesse legate a questo simbolo), possiamo cogliere le implicazioni sociali di questa tematica e di questo linguaggio. La salvezza di Dio è rivolta ad una comunità di uomini, lo scopo ultimo è di costituirla come vera comunità (sarai una magnifica corona nella mano del Signore / un diadema regale nella palma del tuo Dio), perché possa essere punto di riferimento per tutti gli uomini ("i popoli vedranno la tua giustizia / tutti i re la tua gloria").

Tuttavia la trasformazione non avviene per un progetto politico o per un'azione da parte umana, ma è prerogativa di Dio: è lui che instaura una nuova relazione con il suo popolo "come un giovane sposa una vergine / così ti sposerà il tuo creatore". Il punto critico è se il nostro agire come cristiani nella società procede per suo conto, in base alle personali convinzioni politiche o ideologiche, o se è costantemente ispirato dal rapporto con Cristo, il vero sposo, colui che restituisce pienezza alla nostra umanità.

Flash sulla II lettura

Il contesto originario di questo brano è il clima di divisione ingenerato nella comunità di Corinto dalla presenza di doni carismatici, dalla ricerca di manifestazioni spettacolari del dono dello Spirito, dall'attenzione alle qualità personali dei vari predicatori più che a colui che deve essere predicato e annunciato: il Cristo. Problemi simili esistono anche nelle nostre comunità: spesso l'attenzione si concentra sul prete, sul catechista, sull'animatore o educatore e sulle sue doti personali, senza vederlo come segno di Cristo; oppure si va in cerca di eventi particolari, di ciò che è miracoloso e straordinario, senza poi incidere sulla quotidianità...

Paolo però non affronta minutamente i problemi, ma invita a guardare più in altro, a non chiudersi nelle piccolezze degli egoismi umani:"vi sono diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito...": Paolo accetta tranquillamente il fatto che non siamo tutti uguali. Non sta neppure a disquisire se la diversità sia un problema; ma individua il principio di unità, da cui tutto procede: "uno solo è Dio, che opera tutto in tutti": l'uguaglianza deriva dall'essere tutti figli di un'unica Padre; e la diversità procede pure da Dio, che affida doni e incarichi diversi ai suoi figli "tutte queste cose è l'unico e il medesimo Spirito che le opera, distribuendole a ciascuno come vuole". Per ciascun adulto cristiano si apre dunque la questione: quale dono mi è stato dato dallo Spirito? lo sto mettendo a frutto per edificare la comunità cristiana? riconosco i doni dati agli altri? so accettare questa diversità, perché si possa fare comunione?

 

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