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don Cristiano Mauri   La bottega del vasaio

IV domenica dopo Pentecoste (Anno B) (24/06/2012)

Vangelo: Mt 22,1-14 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1Gesù riprese a parlare loro con parabole e disse: 2«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. 3Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. 4Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: “Dite agli invitati: Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. 5Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; 6altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. 7Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. 8Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; 9andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. 10Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. 11Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. 12Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. 13Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. 14Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».

E' inutile sforzarsi, lo sguardo inevitabilmente cade lì.

Si tenta, ci si ostina, ma anche qualora si riesca per qualche istante a guardar altrove, si avverte la sua presenza scomoda e urtante.

L'uomo senza l'abito giusto cattura la nostra attenzione come un magnete.
Che ci fa lì quello? Chi ce l'ha messo?

La parabola procedeva così dolcemente verso un lieto fine: dopo che gli arroganti eran stati sistemati, tutti a far festa, buoni e cattivi. Ci si crogiolava già beati in quel banchetto da "volemose bene", e invece... Non ci voleva.
Inquietante è l'espressione giusta.
"Che ci fai qui? Gettatelo fuori!".

Ma come? Chiude gli occhi sui cattivi invitandoli al banchetto e fa storie per un abito?
E che sarà mai? Possibile un vestito sia così decisivo?
E in che cosa consiste? Come è fatto? Come ce lo si procura?

E chi non se lo può permettere, che fa? Ma allora il Regno non è per tutti?

Cosa rappresenta, poi? Un merito? Le opere buone? Una condotta dignitosa? La purezza?

Inquietante, sì, quell'uomo e ancor più ciò che scatena nel re.
Perché una simile reazione? Perché così violenta?

Un abito fuori luogo giustifica una tale rabbia?

Guardiamo tutto con gli occhi del Vangelo.

Il primo e l'ultimo dei cinque grandi discorsi di Gesù in Matteo ci danno le due lenti giuste per decodificare «l'escluso» e la reazione del re.

Il discorso della montagna, il primo dei cinque, apre la predicazione di Gesù con un annuncio chiaro e forte: il Regno dei cieli è la presenza della paternità di Dio, una perfezione d'amore provvidente e tenera che predilige il debole e il misero; una cura che si dispiega indistintamente su ciascuno, buono o cattivo, meritevole o meno; una sovranità che è giustizia nella forma della misericordia.

La porta d'accesso di quel Regno è la prima delle Beatitudini: il riconoscimento della propria povertà, del limite umano, della creaturalità; vivere nella consapevolezza del proprio essere nulla e del bisogno di affidamento a un altro; professare la fede nell'essere figli che ricevono ogni cosa dalle mani di Dio.

«Ti benedico Padre Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli» (Mt 11, 25): chi è forte, chi è ricco, chi ha, chi sa, chi è "pieno" e vive nell'autosufficienza - o nell'illusione di essa - come può fare esperienza piena della cura di un Altro come unica salvezza? Non si vive la piena esperienza della Paternità di Dio - non si entra nel Regno - se non si depone il vestito dell'autosufficienza.

L'ingresso del Regno è ricevere il nome «Padre» con cui chiamare Dio, indossando la veste dei figli. E la veste dei figli, quelli che escono dal grembo della madre, è la nudità.

La stessa del Figlio sulla Croce. Con quella si entra al banchetto. In questa prospettiva va letto «l'escluso» con la sua veste.

Non è una veste da confezionare con le proprie opere: il Regno non si guadagna con un buon comportamento.

Le «opere del Regno» sono anch'esse dono di chi ti ha chiamato ad entrarvi non qualcosa che si produce in proprio quale accredito d'ingresso. Le «opere del Regno» si compiono quando «nel Regno» ci si è. Accolta la vocazione a figli, e solo allora, si compiono le «opere dei figli del Regno» amando il Padre e vivendo in comunione coi fratelli. Le «opere dei figli» - l'amore - sono rivelatrici dell'essere o meno nel Regno e, al contempo, la via per continuare a rimanervi. E' l'amore di Dio, accettato e gustato, che mette nelle condizioni di amare come Lui. Senza l'esperienza autentica della figliolanza - spoliazione e affidamento radicali - il rischio è quello di indossare una copia contraffatta dell'abito del Regno, falsificando anche le opere.
Come nella parabola.

Nel Regno si entra perché chiamati, buoni e cattivi. La veste della figliolanza si riceve. Ciò che c'è da fare è spogliarsi di ogni cosa, per indossare il nuovo abito. Perciò non c'è uomo o donna che sia escluso dal Regno, buono o cattivo che sia.

Il quinto discorso di Matteo, quello escatologico sulla «fine dei tempi» e sul «fine del tempo», aggiunge ulteriore luce alla parabola.

Il Regno viene. La Paternità di Dio avviene e ci incontra quotidianamente. Al suo avvento occorre star pronti in atteggiamento attivo, vigilante e collaborativo. I talenti vanno trafficati, le lampade preparate, i beni amministrati fedelmente per conto del padrone. Il Regno viene e chiama in quest'oggi. La responsabilità dell'accoglienza dell'invito e dell'ingresso in esso è nostra. Se siamo chiamati alla figliolanza, spogliarsi per indossare la veste dei figli rimane scelta nostra, di quest'oggi.

Se tutto è dono di Dio, alla nostra libertà è lasciato di accettarlo o meno, qui e ora.

Ciascuno decide da sé, nel quotidiano, la propria appartenenza o meno a quel Regno a cui tutti sono chiamati: accogliendo o meno la vocazione a figli, riconoscendo o no in ogni uomo un fratello da amare dello stesso amore di Dio, sfamando, dissetando, vestendo, curando, visitando il prossimo.

E' in questo modo, attraverso la dinamica della libertà personale, che avviene il giudizio sulla vita di ognuno.

Oggi mi spoglio per essere rivestito da figlio. Qui e ora, io decido se star dentro o fuori quel banchetto pronunciando da me il giudizio su me stesso.

Così quell'uomo messo alla porta assomiglia per un attimo persino a Pietro che nell'ultima cena resiste allo spoliazione definitiva che il Maestro gli chiede lavandogli i piedi.

"Pietro, se non ti laverò non avrai parte con me".

Per il Regno si va così: nudi alla meta.

 

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