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TESTO L'Alleato

don Cristiano Mauri   La bottega del vasaio

III domenica dopo Pentecoste (Anno B) (17/06/2012)

Vangelo: Mc 10,1-12 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 10,1-12

1Partito di là, venne nella regione della Giudea e al di là del fiume Giordano. La folla accorse di nuovo a lui e di nuovo egli insegnava loro, come era solito fare. 2Alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, gli domandavano se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. 3Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». 4Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla». 5Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. 6Ma dall’inizio della creazione li fece maschio e femmina; 7per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie 8e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. 9Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto». 10A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. 11E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; 12e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio».

La Solitudine è nemica dell'uomo.

Non quella utile al riposo, in vista della preghiera, necessaria alla riflessione. Quella è solo una forma di più o meno temporaneo isolamento.

La Solitudine radicale. Quella che ha il sapore acre della «non-appartenenza». La sensazione profonda, cupa e raggelante di non aver alcuno per e con cui vivere, la consapevolezza che nessuno sia disposto realmente a rimanere con e per te, senza condizioni. L'impressione di non essere mai davvero un interlocutore, la certezza di non riuscire ad interpellare alcuno con la propria esistenza.

Quella Solitudine uccide. Senza scampo. Con il pensiero dell'inutilità e dell'insignificanza.
"Non è bene che l'uomo sia solo".

La natura umana è fatta per altro. In quella Solitudine non esiste umanità, è la negazione dell'umanità.
Occorre salvare l'uomo dalla Solitudine.
"Voglio fargli un alleato all'altezza".
La Solitudine non si sconfigge con la semplice compagnia.

Quel che normalmente si traduce con «aiuto che gli sia simile» in realtà ha il significato di «alleato che sia alla sua altezza». Il termine tradotto normalmente con «aiuto» - ezer - non ha alcun tipo di significato strumentale, né mai è utilizzato per indicare un oggetto utile ad un certo lavoro o un essere inferiore che viene in aiuto alle esigenze di uno superiore. Piuttosto, è frequentemente utilizzato per indicare il modo in cui Dio viene in aiuto del bisogno di salvezza del suo popolo e dell'uomo in generale. Un tale alleato - precisa il termine seguente nel versetto - viene posto di fronte all'uomo come un suo corrispondente, alla sua altezza, capace di interpellarlo e lasciarsi interpellare, a lui simile ma non coincidente, disposto al dialogo e orientato alla comunione. L'uomo e la donna alleati, l'uno dell'altra, senza alcuna prevalenza; piuttosto alterità nella somiglianza.

Ciò che salva l'uomo e la donna dalla Solitudine è l'altro posto accanto non come semplice compagnia, tanto meno come mero ausilio in vista di un compito da svolgere -bruttissima immagine strumentale, peraltro- bensì come alleato a tutti gli effetti in un'alleanza bilaterale.

L'altro non può apparire così in qualità di oggetto utile; è alleato, dunque soggetto che interpella nella sua interezza, con la sua identità, con la sua originalità, con i suoi diritti, che diventano necessariamente doveri di colui con cui l'alleanza è condivisa.

L'alleato è un appello, una chiamata ad uscire da sé per «andare verso»; allo stesso tempo una richiesta di cura e un'offerta di prossimità; una proposta d'accoglienza e una domanda d'ospitalità.

L'alleato introduce nella reciproca responsabilità dell'altro.
Ciò che un mero ausilio non sa e non può fare.

Questa responsabilità nella reciprocità comunionale salva dalla Solitudine.

Inoltre, supera allo stesso tempo quell'idea di complementarietà con cui sovente si descrive la comunione uomo-donna e che è immagine alquanto riduttiva e pericolosamente strumentale.

Se è vero, infatti, che l'uomo e la donna hanno degli aspetti per i quali tendono a completarsi l'un con l'altro, non è altrettanto vero che tale concetto riassume tutta la dinamica della comunione. Descrivere una relazione come un perfetto incastro è ciò che di più distante possa esserci dalla realtà dei rapporti. E pensare l'altro come «colui che mi completa» non è forse una visione fortemente oggettivizzante che rischia di non rispettare la sua alterità ma di considerarla solo in funzione delle mie mancanze? E di «quel che avanza» dell'altro rispetto al mio bisogno, che ne sarebbe?

La reciprocità è invece il riconoscimento dell'altro nella sua interezza, nella sua diversità, nella pienezza dei suoi diritti, delle sue capacità, della sua bellezza, che sfocia nella mutua dedizione e accoglienza. Questa è la sostanza dell'autentica comunione.

La categoria di alleanza, la reciprocità comunionale, a partire dal rapporto uomo-donna sono da estendere a tutti gli ambiti di prossimità e relazione.

Penso all'esercizio della Carità. C'è un modo di prendersi cura del povero e del bisogno che ha le caratteristiche della strumentalità per quanto venga scambiata come reciprocità di comunione: io do al povero ciò di cui manca; il povero soddisfa il mio bisogno di gratificazione personale. Vivere il rapporto caritatevole nella reciprocità non consiste in uno scambio alla pari, ma nel riconoscimento radicale dell'identità dell'altro nella sua unicità, che supera di gran lunga il bisogno immediato.

Penso alla Comunità cristiana spesso descritta come «mosaico» in cui ogni tessera ha il suo posto e, con le proprie caratteristiche, contribuisce alla realizzazione del perfetto disegno. Penso a una certa modalità di fare Comunità che consiste in una sorta di spartizione di ruoli e di responsabilità. Penso alla prospettiva esclusivamente complementare con cui le diverse ministerialità vengono spesso considerate. Ma davvero la valorizzazione dei singoli consiste nel far loro trovare una casella in cui dare il contributo per il completamento dell'opera? Possibile che non si possa pensare anche la Comunità cristiana secondo la categoria di alleanza e nella prospettiva della reciprocità?

Mi chiedo infine se anche il rapporto con Dio non venga spesso frainteso trasformando il Signore in una sorta di complemento onnipotente della nostra umanità limitata. Vivere nella reciprocità il rapporto con Lui riconoscendolo come alleato vero domanderebbe, invece, l'accoglienza delle Sue logiche, delle Sue modalità, dei Suoi tempi.

Viceversa saremo noi, paradossalmente, a chiudere Dio in una sorta di solitudine.

 

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