TESTO Preposizioni evangeliche.
don Cristiano Mauri La bottega del vasaio
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SS. Trinità (Anno B) (03/06/2012)
Vangelo: Gv 15,24-27
«24Se non avessi compiuto in mezzo a loro opere che nessun altro ha mai compiuto, non avrebbero alcun peccato; ora invece hanno visto e hanno odiato me e il Padre mio. 25Ma questo, perché si compisse la parola che sta scritta nella loro Legge: Mi hanno odiato senza ragione.
26Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; 27e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio».
Si finisce sempre per dar più rilievo al "per".
Il "per" è nobile, virtuoso, spettacolare, eroico.
"Lo faccio per te...", "Per il tuo bene...", "Per la famiglia...", "Per la verità...", "Per la giustizia...", "Per il Paese".
Sapere e sentire di far "a favore" di qualcosa o di qualcuno è appagante.
Di un appagamento che riesce quasi a compensare la fatica dell'essere "per".
I cristiani, spesso, sono quelli del "per". "Per il Signore l'ho fatto...", "Per il Vangelo...", "Per la Chiesa...", "Per l'umanità...", "Per la pace..."
Oddio, per la verità ci sono quelli che sono "cristiani contro" e passano la loro vita di fede a fare le battaglie a tutto ciò che può anche solo lontanamente assomigliare a un possibile nemico...
Ma questi è davvero difficile che abbian letto bene il Vangelo e mi risulta alquanto faticoso considerarli autentici discepoli della Parola di Gesù.
Di solito, i credenti sinceri il "contro" non lo considerano e amano il "per".
D'altronde Gesù stesso nell'Eucaristia dona se stesso "per la remissione" dei peccati. Lo Spirito Santo è "dato per". Perfino il Padre è descritto come Colui che fa tutto per i suoi figli.
La Trinità: un "per" l'altro vicendevole e reciproco, perfetto ed eterno. Dio non lo si descrive forse come un immenso "per l'altro", dono continuo, larghezza di grazia?
Pure i Santi, comunemente, sono ritenuti come coloro che hanno dato la vita per il Signore, il Vangelo, la Chiesa. L'immagine stessa di Santità che normalmente si descrive è quella di un operare a favore, un dedicarsi, una forma oblativa del vivere.
In tutto questo non c'è evidentemente alcunché di male o di sbagliato, ovviamente, tutt'altro.
Mi sembra però che manchi qualcosa.
Ogni volta che rileggo il lungo discorso dell'Ultima Cena costruito nel Vangelo di Giovanni, mi pare che dalla dichiarazione di Pietro subito dopo la Lavanda - "Darò la vita per te" - in avanti, la dimensione prevalente sia il con, piuttosto che il per. Dimorare, rimanere, essere con, tenere con sé, portare con sé, avere accanto, restare uniti. E mi sembra di capire che il per possa essere compreso in senso autenticamente evangelico solo dentro al con.
Quest'ultimo è infatti la cifra identificante di Gesù: essere con il Padre, vivere della presenza del Padre. E' la modalità con cui il Verbo si è manifestato al mondo: ha posto le tende qui, è il "Dio con noi". E' lo stile con cui Gesù ha impostato il Suo modo di evangelizzare e insegnare: prendere con sé dei discepoli, invitare gli uomini ad accoglierLo.
Questo associare l'uomo a sé da parte di Dio in Gesù, è il modo con cui l'umanità viene fatta partecipe dell'"esser per" che Dio è in sè.
"Dio con noi e Dio per noi". L'uno senza l'altro non sta.
Anche l'Eucaristia trova il significato pieno del suo essere corpo "dato per" nella comunione che si stabilisce tra Maestro e discepolo.
Il Mistero trinitario stesso è mistero di "con e per".
Pure del discepolo si può dire che lo "stare con" sia la sintesi più vera della sua identità.
Il Vangelo di oggi lo richiama sul finale: i discepoli sono abilitati alla testimonianza - "al pari" dello Spirito! - proprio grazie al fatto di aver sempre - fin dal principio - vissuto alla presenza di Gesù. Lui li ha presi con sé e li ha invitati a rimanere con Lui, in Lui, ancora prima che a far qualcosa per Lui. Egli si è impegnato a stare con loro come forma fondamentale del suo essere per loro. E se i discepoli han conosciuto la salvezza che da Gesù era preparata per loro, è stato per averlo avuto con sé, fin dal principio. La loro storia è stata intrecciata e associata a quella di Gesù. Com-partecipi della Sua salvezza.
Anzitutto questo dovranno testimoniare. Anzi, la testimonianza è questo rimanere alla Presenza.
Ma a noi spesso, piace di più il "per".
Forse perché il "con", alla fine, è umile, spoglio, feriale, dimesso e, se autentico, poco appariscente. E le nostre comunità cristiane, o molti di noi credenti, tendono a fare moltissimo "per", dedicandosi molto poco al "con". Un alacre operare per l'altro e per il Regno. Quanto davvero accompagnato da un rimanere nell'esperienza del Regno e in compagnia vera dell'altro?
Perché si può fare moltissimo per molte persone e per il buon Dio senza mai essere con nessuno davvero.
Eppure ciò che è salvifico per l'uomo non è solo quel che fai per lui, ma il tuo essere con lui. E ciò che è salvifico per te non è quel che fai per Dio, ma il tuo cercare di esser con Lui, o lasciar che Lui stia con te.
Ciò che realmente salva te e il prossimo, ed è profezia della Presenza Trinitaria, è quell'intrecciare la propria vita con l'altro che è stato di Gesù il tratto decisivo; quel fare l'altro storia della tua storia e non oggetto del tuo semplice essere "a suo favore".
Se saremo Chiesa del "per l'altro e per Dio" senza il "con" faremo un sacco di bene, ma certo non porremo quella testimonianza di cui Gesù ci ha incaricato.