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TESTO Io sono glorificato in loro

Ileana Mortari - rito ambrosiano   Home Page

V domenica T. Pasqua (Anno B) (06/05/2012)

Vangelo: Gv 17,1b-11 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1Così parlò Gesù. Poi, alzàti gli occhi al cielo, disse: «Padre, è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te. 2Tu gli hai dato potere su ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato. 3Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo. 4Io ti ho glorificato sulla terra, compiendo l’opera che mi hai dato da fare. 5E ora, Padre, glorificami davanti a te con quella gloria che io avevo presso di te prima che il mondo fosse.

6Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me, ed essi hanno osservato la tua parola. 7Ora essi sanno che tutte le cose che mi hai dato vengono da te, 8perché le parole che hai dato a me io le ho date a loro. Essi le hanno accolte e sanno veramente che sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato.

9Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per coloro che tu mi hai dato, perché sono tuoi. 10Tutte le cose mie sono tue, e le tue sono mie, e io sono glorificato in loro. 11Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi.

Con il brano odierno inizia la 3° parte del cosiddetto "Discorso di addio" di Gesù (cfr. il mio commento di Giov.14,1-11 a, vangelo della III° domenica di Pasqua nel rito ambrosiano); questa pericope, insieme ai successivi versetti fino al 26, a partire dal teologo protestante David Citreo del 16° secolo viene denominata "preghiera sacerdotale".

E' certamente uno dei testi più importanti del Nuovo Testamento, in cui troviamo addirittura una sorta di sintesi della teologia giovannea, e segna il vertice del compimento dell'opera di Gesù; è l'"ora" che conclude la sua missione sulla terra, l'"ora della glorificazione".

"Gloria" è un termine assai ricorrente nel quarto vangelo e, come sempre, ha degli antecedenti nel Primo Testamento. Il termine greco "doxa" traduce l'ebraico "kabod" e ne conserva le accezioni: ricchezza, splendore. Nel Primo Testamento la gloria che manifestava la presenza di Dio rivestiva forme visibili: la nube nel deserto (cfr. Es.16,7.10) o sul Sinai (Es.24,15), il fuoco sul monte (Es.24,17), la colonna di nube o di fuoco che accompagnava il popolo durante il cammino verso la Terra promessa (Es.40,38).

La gloria di Jahvè, che già nell'A.T. si era manifestata agli uomini, si è poi rivelata perfettamente in Gesù: Egli è colmo della gloria di Dio (Giov.1,14), è lo splendore della sua gloria, l'immagine della sua sostanza (Ebrei 1,3).

La gloria di Dio si manifesta in tutta la vita e il ministero del Nazareno; è presente nella carne ("sarx)

del Verbo diventato uomo, rivela e salva attraverso i miracoli e segni di Gesù (cfr. Giov.2,11); ma, secondo il quarto evangelista, essa risplende soprattutto nella passione e resurrezione: è questa l'"ora" di Gesù, la più grande delle teofanie.

L'uomo vorrebbe sempre una presenza di Dio visibilmente gloriosa, una trasparenza attraverso la quale si possa contemplare direttamente il divino. Invece il Verbo fatto carne e innalzato sulla croce ci obbliga ad una conversione teologica: Dio è presente là dove meno ce lo aspetteremmo, nella semplice e umile esistenza terrena di Gesù, addirittura in maniera privilegiata nella sua passione-morte!

Ma, a pensarci bene, questo non è affatto illogico. "Dio è amore" (1° Giov.4,8) ed è proprio nell'incarnazione e passione-morte di Gesù che l'amore di Dio Padre e del Figlio obbediente appaiono in tutta la loro profondità e ostinazione: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito" (Giov.3,16); "Gesù, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine" (Giov.13,1b).

La croce, trasfigurata dall'amore divino (Giov.13,1), diventa il segno della "elevazione" del Figlio dell'uomo (Giov.12,32). L'acqua e il sangue che sgorgano dal suo fianco significano la fecondità della sua morte, sorgente di vita: questa è la sua gloria (Giov.7,37-39; 19,34-37). Ecco perché "la croce è gloria di Cristo, esaltazione di Cristo, è il calice prezioso e inestimabile che raccoglie tutte le sofferenze di Cristo, è la sintesi completa della sua passione" (S. Andrea di Creta).

E ora Gesù chiede specificamente: "Padre, .....glorifica il Figlio tuo, perché il Figlio glorifichi te". Scopo di Gesù è dunque la gloria del Padre, che però non può essere separata dalla sua stessa gloria, dal momento che il Padre non può essere glorificato se il Figlio non lo è.

Abbiamo visto però che la glorificazione del Cristo si attua nella passione, in cui il Padre agisce dando al Figlio la vittoria, non una vittoria umana, ma divina e certamente paradossale per la nostra razionalità, una vittoria ottenuta attraverso le sofferenze e la morte; sì, perché Gesù non va alla morte in quanto tale; va, attraverso la morte, al Padre; ascende, mediante la croce, alla gloria. La morte è via alla resurrezione (Giov.10,17) e quella gloria che è rifulsa balenando nei segni che ha compiuto durante il suo ministero (cfr. Giov.2,11; 11,4.40) ora sta per ri-assumerlo in sé: la redenzione si compie in questo movimento del Cristo dal mondo al Padre, che è ritorno alla gloria "prima che il mondo fosse" (v.5).

Quando è glorificato, Gesù riceve il potere su ogni essere umano e comunica la vita eterna (cfr. il v.2): una vita di unione con Dio Padre e il Figlio, nello Spirito. Questa è la gloria che il Padre comunica al Figlio e che si diffonde su tutta la terra. Tale gloria è - come visto - l'amore divino, gloria-presenza di Dio, Spirito datore di vita.

Dal paradosso di cui sopra deriva però qualcosa di consolante. Ogni volta che una circostanza dolorosa spezza qualcosa nella nostra umanità, noi entriamo più a fondo, con Cristo, nell'eternità del Padre, siamo irradiati dal fulgore della sua gloria che Egli ha dato al Figlio resuscitandolo. Infatti "il Dio di ogni grazia, il quale vi ha chiamato alla sua gloria eterna in Cristo, egli stesso vi ristabilirà, dopo una breve sofferenza vi confermerà e vi renderà forti e saldi" (1° Pietro 5,10); anzi S.Pietro arriva a dire: "....beati voi, perché lo spirito della gloria riposa su di voi" (1° Pietro 1,21).

Ogni volta che il distacco, la lontananza, la morte, ci richiamano a quell'indefinito e insuperabile senso di esilio che sta annidato in fondo al nostro essere, noi ci apriamo al riverbero di quella gloria in cui Cristo è entrato, e in cui ci assume gradualmente fino al momento in cui, nel venir meno dell'ultimo velo (cfr. Col.3,4), saremo immersi in essa e nello splendore della sua luce.

"Fa', o Signore, che in noi la nostalgia del tuo regno e le nostre speranze del tuo splendore non siano dolori infecondi, né come nubi senza pioggia. Ma, come rugiada che disseta, esaudite, bagnino le nostre labbra e, come la tua manna celeste, ci sazino per sempre" (Soeren A. Kierkegaard)

 

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