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TESTO Appartenere a Cristo: unica possibilità l'amore.

padre Gian Franco Scarpitta  

VI Domenica di Pasqua (Anno B) (13/05/2012)

Vangelo: Gv 15,9-17 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 15,9-17

9Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. 10Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. 11Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.

12Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. 13Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. 14Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. 15Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. 16Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. 17Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri.

Appartenere a Cristo nella Chiesa era il tema della scorsa Domenica. I brani della liturgia odierna sviluppano ulteriormente questo assunto poiché pongono alla nostra attenzione la condizione fondamentale per cui si realizza tale appartenenza: l'amore.

Se esso vigesse davvero come imperativo etico irrinunciabile all'interno delle nostre famiglie, nelle comunità, nei gruppi e nei movimenti, e nelle parrocchie, allora si realizzerebbero le condizioni di serena convivenza e la stessa vita associata, come anche quella individuale, sarebbe molto più stabile e consistente. Accogliere e accettare l'altro senza retorica e riserve, esaltare nel fratello i suoi pregi sorvolando con pazienza sui suoi difetti e sui limiti, intervenire con carità di correzione sui suoi errori senza umiliarlo e senza mostrarci despoti ed invadenti, tentare di venire incontro ad eventuali sue necessità e riconoscere i suoi diritti equivale ad amare senza condizioni e disinteressatamente e tale atteggiamento non può che avere ripercussioni di positività in noi stessi.

Essere pronti a riconoscere e ad ammettere i propri errori senza attribuire colpa agli altri di situazioni e di sbagli che interessano magari soltanto noi, accettare la carità di chi ci corregge e le attenzioni dei fratelli nei nostri confronti è ugualmente sinonimo di attenzione e di amore, anche verso noi stessi oltre che nei confronti degli altri. Come pure essere pronti a rinunciare alle proprie preferenze personali per adeguarsi ad una struttura e ad un gruppo, senza con questo dover perdere la nostra identità o accettare illiceità, valorizzare opinioni e suggerimenti altrui, disporci a riconoscere le regioni degli altri senza pretendere di non avere mai torto noi stessi...

L'amore certamente non è esente da contrarietà e pertanto impone che si debba a volte anche subire e soffrire insinuazioni e cattiverie e magari l'invidia altrui, ma ciò non toglie che anche tutto questo possa apportare vantaggi e garanzie a chi persevera nel bene.

Ovviamente l'amore comporta anche la generosità, il saper dare, la condivisione delle nostre risorse, ma non necessariamente si riduce o si confonde con queste: esso è una virtù radicale che prescinde anche dai singoli atti e che interessa la dimensione dell'essere di ciascuno di noi.

Nella sua famosa pagina che oggi funge da seconda lettura liturgica, Giovanni descrive l'infallibilità dell'amore e la sua portata totalizzante e universale, a condizione che esso sia "da Dio", che cioè non abbia nulla in se stesso di umano o di filantropico, ma che venga da noi esercitato con la previa convinzione di essere stati resi noi stessi oggetto dell'amore da parte di Dio. Nessuno è capace di amare se non è stato amato a sua volta e non ha fatto esperienza diretta di affetto e di predilezione; solo chi è consapevole di essere stato amato da Dio, singolarmente e senza riserve, è capace di amore sincero e generoso capace di trasformare anche il mondo intero.

Solo Dio poteva illustraci il suo amore disinteressato nei nostri confronti. Solo Lui può essere talmente onnipotente da amare l'uomo fino al sacrificio immolativo di se stesso sulla croce realizzando, con il sacrificio, ciò di cui l'uomo non sarebbe capace per il proprio fratello, appunto la donazione completa di sè, senza riserve. Per questo Giovanni può ben affermare che "In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati." Questa idea rafforza in noi la consapevolezza di essere stati amati, ci spinge alla conversione, alla presa di coscienza di essere debitori nei confronti di Dio e pertanto ci motiva verso i fratelli. L'amore è opera dello Spirito Santo del Cristo crocifisso e risorto che nel dono di pentecoste ravviva la Chiesa promuovendo l'unità e discendendo sui singoli soggetti per rinnovarli e fortificarli del coraggio e della solerzia di Dio, come avviene nell'episodio descritto dagli Atti degli Apostoli (I Lettura), nel quale lo Spirito non conosce distinzioni etniche o culturali, ma riveste della sua potenza ogni uomo, giudeo o pagano che sia.

Concepito, stimato e vissuto come dono, l'amore di Dio consolida la nostra appartenenza a Cristo e ci rende spediti e sereni verso i fratelli nel farci appartenere alla Chiesa, istituzione divina di salvezza nella quale si fomenta il vincolo di unità dello Spirito.

Se fossimo davvero innamoati di Cristo che ha donato se stesso per la nostra causa, saremmo di conseguenza solleciti e disinvolti nell'amore verso i fratelli, ma la lacuna maggiore delle nostre parrocchie e delle nostre comunità ecclesiali è il fatto che (forse) non siamo effettivamente innamorati di Cristo. Al di fuori della liturgia e degli incontri di catechesi e di formazione, ben poche volte siamo soliti interessarci di lui, della sua vita, del valore della sua Parola per noi e raramente consideriamo il suo insegnamento tutte le volte che ci troviamo nel vivo delle nostre attività quotifdioane. Poche volte ci si domanda a casa, sul lavoro, al supermercato: "Cosa farrebbe Gesù in questa circostanza?" Cosa mi chiederebbe?" E' mia esperienza diretta che nella vita pastorale la Novena ai Santi, le pie pratiche e le devozioni suscitino tanto interesse quanto non ne suscitino gli argomenti sulla Sacra Scritura o sulla formazione ed è propria soprattutto dei sacerdoti (non tanto dei laici) la scusa banale che l'omelia domenicale non debba essere "eccessivamente lunga" per non stancare i fedeli.

Siamo soliti tacciar e (a volte ingiustamente) di fanatismo i gruppi carismatici e i membri che ne fanno parte solo per qualche forma di esaltazione o di esagerazione nella loro prassi, ma siamo poco solleciti a considerare che proprio in questi movimenti si fomenta quell'interesse reologico per il Signore nella Scrittura e nella vita sacramentale che non si nota nella pastorale ordinaria. Se prestiamo maggiore attenzione, le persone atte alla generosità, all'ascolto, alla carità incondizionata (fatta eccezione per qualche singolo caso) sono proprio quelle attente verso la vita e gli insegnamenti di Gesù, quelle maggiormente votate alla Scrittura.

Se fossimo davvero innamorati di Gesù non disdegneremmo nulla di quanto la Chiesa ci propone in ordine alla formazione e alla catechesi e proprio l'interesse nei Suoi confronti ci spronerebbe alla conversione e all'amore effettivo. Ci si spronerebbe tutti nell'amore vicendevole e nella comune donazione, nell'apertua franca e spontanea gli uAppartenere a Cristo nella Chiesa era il tema della scorsa Domenica. I brani della liturgia odierna sviluppano ulteriormente questo assunto poiché pongono alla nostra attenzione la condizione fondamentale per cui si realizza tale appartenenza: l'amore.

Se esso vigesse davvero come imperativo etico irrinunciabile all'interno delle nostre famiglie, nelle comunità, nei gruppi e nei movimenti, e nelle parrocchie, allora si realizzerebbero le condizioni di serena convivenza e la stessa vita associata, come anche quella individuale, sarebbe molto più stabile e consistente. Accogliere e accettare l'altro senza retorica e riserve, esaltare nel fratello i suoi pregi sorvolando con pazienza sui suoi difetti e sui limiti, intervenire con carità di correzione sui suoi errori senza umiliarlo e senza mostrarci despoti ed invadenti, tentare di venire incontro ad eventuali sue necessità e riconoscere i suoi diritti equivale ad amare senza condizioni e disinteressatamente e tale atteggiamento non può che avere ripercussioni di positività in noi stessi.

Essere pronti a riconoscere e ad ammettere i propri errori senza attribuire colpa agli altri di situazioni e di sbagli che interessano magari soltanto noi, accettare la carità di chi ci corregge e le attenzioni dei fratelli nei nostri confronti è ugualmente sinonimo di attenzione e di amore, anche verso noi stessi oltre che nei confronti degli altri. Come pure essere pronti a rinunciare alle proprie preferenze personali per adeguarsi ad una struttura e ad un gruppo, senza con questo dover perdere la nostra identità o accettare illiceità, valorizzare opinioni e suggerimenti altrui, disporci a riconoscere le regioni degli altri senza pretendere di non avere mai torto noi stessi...

L'amore certamente non è esente da contrarietà e pertanto impone che si debba a volte anche subire e soffrire insinuazioni e cattiverie e magari l'invidia altrui, ma ciò non toglie che anche tutto questo possa apportare vantaggi e garanzie a chi persevera nel bene.

Ovviamente l'amore comporta anche la generosità, il saper dare, la condivisione delle nostre risorse, ma non necessariamente si riduce o si confonde con queste: esso è una virtù radicale che prescinde anche dai singoli atti e che interessa la dimensione dell'essere di ciascuno di noi.

Nella sua famosa pagina che oggi funge da seconda lettura liturgica, Giovanni descrive l'infallibilità dell'amore e la sua portata totalizzante e universale, a condizione che esso sia "da Dio", che cioè non abbia nulla in se stesso di umano o di filantropico, ma che venga da noi esercitato con la previa convinzione di essere stati resi noi stessi oggetto dell'amore da parte di Dio. Nessuno è capace di amare se non è stato amato a sua volta e non ha fatto esperienza diretta di affetto e di predilezione; solo chi è consapevole di essere stato amato da Dio, singolarmente e senza riserve, è capace di amore sincero e generoso capace di trasformare anche il mondo intero.

Solo Dio poteva illustraci il suo amore disinteressato nei nostri confronti. Solo Lui può essere talmente onnipotente da amare l'uomo fino al sacrificio immolativo di se stesso sulla croce realizzando, con il sacrificio, ciò di cui l'uomo non sarebbe capace per il proprio fratello, appunto la donazione completa di sè, senza riserve. Per questo Giovanni può ben affermare che "In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati." Questa idea rafforza in noi la consapevolezza di essere stati amati, ci spinge alla conversione, alla presa di coscienza di essere debitori nei confronti di Dio e pertanto ci motiva verso i fratelli. L'amore è opera dello Spirito Santo del Cristo crocifisso e risorto che nel dono di pentecoste ravviva la Chiesa promuovendo l'unità e discendendo sui singoli soggetti per rinnovarli e fortificarli del coraggio e della solerzia di Dio, come avviene nell'episodio descritto dagli Atti degli Apostoli (I Lettura), nel quale lo Spirito non conosce distinzioni etniche o culturali, ma riveste della sua potenza ogni uomo, giudeo o pagano che sia.

Concepito, stimato e vissuto come dono, l'amore di Dio consolida la nostra appartenenza a Cristo e ci rende spediti e sereni verso i fratelli nel farci appartenere alla Chiesa, istituzione divina di salvezza nella quale si fomenta il vincolo di unità dello Spirito.

Se fossimo davvero innamoati di Cristo che ha donato se stesso per la nostra causa, saremmo di conseguenza solleciti e disinvolti nell'amore verso i fratelli, ma la lacuna maggiore delle nostre parrocchie e delle nostre comunità ecclesiali è il fatto che (forse) non siamo effettivamente innamorati di Cristo. Al di fuori della liturgia e degli incontri di catechesi e di formazione, ben poche volte siamo soliti interessarci di lui, della sua vita, del valore della sua Parola per noi e raramente consideriamo il suo insegnamento tutte le volte che ci troviamo nel vivo delle nostre attività quotifdioane. Poche volte ci si domanda a casa, sul lavoro, al supermercato: "Cosa farrebbe Gesù in questa circostanza?" Cosa mi chiederebbe?" E' mia esperienza diretta che nella vita pastorale la Novena ai Santi, le pie pratiche e le devozioni suscitino tanto interesse quanto non ne suscitino gli argomenti sulla Sacra Scritura o sulla formazione ed è propria soprattutto dei sacerdoti (non tanto dei laici) la scusa banale che l'omelia domenicale non debba essere "eccessivamente lunga" per non stancare i fedeli.

Siamo soliti tacciar e (a volte ingiustamente) di fanatismo i gruppi carismatici e i membri che ne fanno parte solo per qualche forma di esaltazione o di esagerazione nella loro prassi, ma siamo poco solleciti a considerare che proprio in questi movimenti si fomenta quell'interesse teologico per il Signore nella Scrittura che nella pastorale ordinaria mai si verifica e proprio attraverso questi gruppi e movimenti si sono verificati copiosi approdi al cattolicesimo. Se prestiamo attenzione a questo particolare, fatte le dovute eccezioni di autoesltazione e di esibizionismo, le persone maggiormente votate all'amore e alla generosità incondizionata verso il prossimo sono quelle solitamente votate alla Scrittura, alla catechesi e interessate alla vita di Gesù Cristo, disposte anche trascorrere intere nottate ad informarsi su di Lui. il fascino che suscita il Signore Risorto nello Spirito Santo produce infatti la risultante di una vita palesemente conforme. Se vi fosse maggiore interesse nei confronti del Signore, dei suoi insegnament e se non fossimo così refrattari ad interessarci costantemente della sua Parola, inevitabilmente si promuoverebbe in noi la volontà di conversione che scaturirebbe nell'amore libero, reale ed effettivo. Perché reale ed effetiva sarebbe la nostra appartenza a Cristo nella Chiesa.

 

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