TESTO Commento su Atti 4,8-24a; Prima Colossesi 2,8-15; Giovanni 20,19-31
don Raffaello Ciccone Acli Provinciali Milano, Monza e Brianza
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II domenica T. Pasqua (15/04/2012)
Vangelo: At 4,8-24a; 1Col 2,8-15; Gv 20,19-31
19La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». 22Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
24Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. 25Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
26Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». 27Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». 28Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». 29Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
30Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. 31Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.
Atti degli Apostoli 4,8-24a
A Gerusalemme, nelle primissime settimane dopo la Pasqua, la piccola comunità cristiana, incoraggiata e sorretta dallo Spirito di Gesù, opera con molta libertà mentre, insieme, i cristiani frequentano il tempio e sviluppano un'intensa vita di collaborazione, nelle loro case, con gli apostoli. Non fanno grandi piani e grandi progetti per il futuro, ma si affidano alla volontà di Dio, pronti a rispondere ai segni che Egli vorrà offrire.
Pietro e Giovanni sono andati al tempio come buoni ebrei credenti e lì trovano uno storpio dalla nascita che chiede l'elemosina, presso la porta "bella". I due apostoli si scusano di non poter offrire soldi; comunque, intervengono: "Nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina" (Atti 3,1-10). Gli apostoli hanno imparato da Gesù a condividere ciò che Gesù aveva loro offerto: cioè la sua fede.
L'incontro con l'altro non deve prevedere tanto un fatto economico quanto una condivisione. Pietro e Giovanni ritengono che la miglior condivisione è restituire, con la forza della loro fede, una presenza nuova di Gesù che porta salute e che ristabilisce, nella pienezza della sua autonomia, colui che è malato. È chiaro che lo stupore della gente, che ha visto e sentito, ha bisogno di spiegazioni ed essi, pubblicamente, le offrono, parlando di Gesù. Ma proprio questo irrita i responsabili del tempio.
Così fanno arrestare Pietro e Giovanni e li lasciano in carcere fino al giorno dopo (4,3). A questo punto, i due apostoli vengono interrogati e si chiede loro conto delle cose che dicono. Pietro prende la parola (questo è il terzo discorso sugli otto che gli vengono attribuiti nel libro degli "Atti degli Apostoli".)
Questi uomini, che hanno seguito Gesù, sono profondamente e radicalmente cambiati. Essi parlano "con franchezza"; pubblicamente si rivolgono ai responsabili religiosi del popolo d'Israele: capi del popolo e anziani (4,8) con determinazione e chiarezza ("colmati di Spirito Santo") e proclamano con fiducia e libertà che la guarigione dello storpio è opera di Gesù, perché è fatta in suo nome. Pietro sta proclamando due realtà profondamente sconvolgenti. Sta affermando, prima di tutto, che Gesù è venuto a liberare l'uomo dalle sue angosce e dai suoi mali, vincendo la morte anche per noi. Quindi proclama, mentre le restituisce, il valore dell'autonomia e della libertà allo storpio. La novità della salvezza, secondo Pietro che parla e Giovanni che condivide, è vincere la morte e vincere la malattia che deforma e intristisce la vita. Così, alla presenza del malato guarito, viene offerta una nuova e sconvolgente interpretazione di Gesù. Considerato malfattore e bestemmiatore, e per questo giustiziato, Gesù è, invece, costituito dal Padre, fondamento dell'esistenza e della salvezza del mondo. Pietro cita la Scrittura, male utilizzata dai capi che hanno "scartato" Gesù come pietra inutile, e afferma che proprio quella pietra scartata è lo stesso Gesù, che diventa pietra angolare (Sal 118,22). Gli accusatori e i giudici sono ripieni di sconcerto e di disagio poiché delle persone "semplici e senza istruzioni" si permettono di diventare dei maestri che rileggono la Scrittura in modo completamente nuovo, e si permettono, quindi, di interpretare i fatti del presente, di cui essi sono responsabili, come Parola di Dio.
L'unica soluzione, che viene trovata, è quella di minacciare gli apostoli e quindi di proibire loro di parlare, dimenticando tutto il valore della profezia e il coraggio di saper interpretare i segni di Dio nella storia. Coloro che accusano sono spaventati poiché non possono più ricorrere al processo e alla morte come per Gesù perché proprio della morte non hanno paura, anzi la morte fa esplodere la vita e la forza di Dio.
Gli apostoli sono disarmati davanti a loro, ma sono più forti, perché hanno coscienza di aver scoperto l'itinerario che Dio ha tracciato attraverso Gesù. Certo, osano molto, ma arrivano a contrapporre il comando di Dio, che viene dai fatti e dalla esperienza di Gesù, e il comando degli uomini che è quello dei sommi sacerdoti, squalificato per l'occasione perché incapace di capire.
Addirittura gli apostoli pongono il problema di tipo giuridico proprio a loro: "Se sia giusto dinanzi a Dio obbedire a voi invece che a Dio, giudicatelo voi. Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato". Vengono usati due verbi che hanno un significato particolare nella Scrittura: "vedere e ascoltare". "Vedere il volto di Dio" è la grande aspirazione di Mosé, che non ha potuto vederlo se non di sfuggita; "ascoltare" è la grande responsabilità del popolo di Dio che deve interpretare e mettere in pratica ciò che Dio vuole.
Ci vengono richiesti il coraggio di coerenza nell'operare e l'obbligo del chiarire la propria fede, quando veniamo interpellati. Ma questo testo ci incoraggia non solo a prevedere, ma soprattutto a portare speranza anche alle persone più lontane e meno disponibili. I discepoli di Gesù debbono aiutare a far luce a tutti, anche ai più lontani.
Ia lettera ai Colossesi 2,8-15
La comunità di Colosse, distante circa 200 km da Efeso, è stata fondata, probabilmente, da un discepolo di Paolo, Epafra, quando Paolo evangelizza Efeso (54-57 d.C.). Vi circolano idee o interpretazioni derivanti sia dal mondo giudaico che dal mondo pagano, non in sintonia con la predicazione di Paolo su Gesù. In particolare, qui si pretende di imporre l'osservanza della legge mosaica anche ai nuovi cristiani, provenienti dal paganesimo, e si diffondono strane teorie sugli spiriti celesti verso cui si pensa di sviluppare un culto particolare per le loro mediazioni. In queste teorie Gesù si riduce ad essere solo uno di questi intercessori. Si capisce allora come questa lettera sviluppa, particolarmente, il primato assoluto di Cristo, Figlio di Dio, su tutte le creature e su tutto l'universo. In lui è presente la divinità nella sua pienezza e in lui c'è la Chiesa, la sua comunità, l'Israele di Dio che forma il suo corpo. Sempre indispensabile e da ricordare è l'inno Cristologico del capitolo precedente che mostra la fede della Chiesa in Gesù, maturata teologicamente nei primi decenni della sua vita e della sua predicazione (1,15-20).
Il richiamo alla circoncisione ci dice che le difficoltà sorgono, qui, da discussioni sulla religione ebraica. La nuova circoncisione del popolo di Dio, che ha come salvatore Gesù, è il battesimo che ci inserisce nell'Israele di Dio (Gal 6,15-16: "Non è infatti la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma l'essere nuova creatura. E su quanti seguiranno questa norma sia pace e misericordia, come su tutto l'Israele di Dio".
Il battesimo ci toglie la radice del peccato attraverso il gesto simbolico dell'immergersi e dell'emergere dalla vasca battesimale: richiamo alla sepoltura e alla risurrezione di Gesù.
È molto curioso il ricordo del "documento" che fa riferimento alle transazioni economiche e al linguaggio commerciale per cui il debitore, pubblicamente, scrive o fa scrivere i propri debiti che diventano, in tal modo, garanzie per il creditore, ma, nello stesso tempo, tale documento è un pericoloso capo d'accusa se non si paga il debito. Qui, probabilmente, c'è anche la convinzione che esistano degli archivi celesti in cui sono registrati tutti i fatti malvagi che ciascuno di noi ha compiuto e che un giorno potrebbero venire alla luce. Anche oggi i telegiornali, spesso, ci informano della scoperta di documenti segreti che sono pubblicati e improvvisamente creano disagio a coloro che vi sono implicati.
Questi documenti ci sono condonati, distrutti, perché qualcuno ha pagato per tutti. Sono stati tolti di mezzo e inchiodati alla croce. Nessuna potenza, così, può sostituire questo gesto di amore di Gesù.
Chiaramente la riflessione sul perdono non è tanto posta per avere la tranquillità di coscienza, ma, molto di più, per sentirsi profondamente amati ed voluti dal Signore che ci spinge, ricchi del suo Spirito, a vivere con pienezza la sua Parola e a portare speranza. Il nostro andare nel mondo deve portare la garanzia del perdono e, quindi, della speranza come operosità di valore per ricostruire un mondo più degno dell'uomo e quindi di Dio.
Lettura dal Vangelo secondo Giovanni 20,19-31
Il capitolo 20 di Giovanni, all'interno di quel fatto grandioso che è la risurrezione, ci conduce passo passo alla presa di coscienza di Gesù risorto e quindi alla struttura fondamentale della fede in Gesù.
Vi si susseguono alcuni episodi, almeno quattro con una conclusione: la visita di Pietro al sepolcro (vv.1-10), l'apparizione di Gesù alla Maddalena (vv. 11-18), l'apparizione ai discepoli (vv. 19-23), la seconda apparizione alla presenza di Tommaso (vv. 24-29), la conclusione (vv. 30-31). Il capitolo 21 è costituito da un'aggiunta, fatta probabilmente in tempi successivi, dal redattore finale.
Oggi noi leggiamo le due apparizioni ai discepoli e la conclusione.
1. Primo incontro con i discepoli nel Cenacolo (20,19-23).
- Gli avvenimenti della sera di Pasqua portano molti doni da parte di Gesù agli Apostoli:
- Prima di tutto la pace: non quella politica, né psicologica di tranquillità interiore, ma dono divino: "Non come la dà il mondo, io la do a voi" (Gv. 14,27).
- Gesù mostra i segni gloriosi della passione: la morte è vinta e i segni del dolore sono segni di trionfo. Gesù è pienamente uomo-Dio e ha vinto il male e la morte.
- La gioia riesce nuova, spontanea e profonda; è il dono di Gesù all'uomo, dono della propria grandezza di comunione col Padre, offerta ai suoi amici.
- La rinnovazione del dono di pace: riporta alla sintesi dei beni messianici da comunicare in tutto il mondo e ad una umanità amata e, finalmente, liberata.
- La missione si allarga e ci collega, lungo i secoli, alla successione apostolica e quindi a Gesù e al Padre che lo ha inviato nel mondo.
- La ricchezza della missione si innesta alla parola di Gesù e al dono dello Spirito. Il respiro del risorto è il soffio di vita della creazione di Adamo (Gen 2,7); è quindi l'inizio della nuova creazione che infonde il germe della vita immortale.
- Il perdono dei peccati è il regalo della novità totale, motivo della missione e dello Spirito. Non ha la funzione di costruire imperi e potenza, ma la garanzia che finalmente siamo liberati dal male e si compie in noi il segno di una riconciliazione vera tra cielo e terra.
2. La seconda apparizione (vv.24-29).
Otto giorni dopo, la seconda apparizione si gioca tutta sul significato della fede che ha bisogno di fidarsi della parola della Chiesa, senza pretendere di voler toccare con mano.
Probabilmente, nella Comunità cristiana sono sorte perplessità che si incontrano già nei Vangeli stessi:"( 16,14). Gesù rimprovera gli undici per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non hanno creduto a quelli che lo avevano visto risuscitato". "Perché siete turbati e sorgono dubbi nel vostro cuore?" (Luca 24,38). E Matteo ci ricorda che sul monte della Galilea, in alcune apparizioni, "alcuni ancora dubitavano" (Matteo 28,17).
Così Tommaso, in un certo senso, riassume per la sua comunità e per le perplessità che sarebbero sorte lungo i secoli, la sua ricerca e la sua volontà di constatazione. Tommaso è il simbolo della difficoltà per arrivare a credere in Gesù risorto. Il rapporto fondamentale con Gesù è la fede. Non ci sono dimostrazioni o prove scientifiche. Se qualcuno vuole pretendere di vedere, constatare, toccare, deve rinunciare alla fede. Perciò: "Beati quelli che non hanno visto ed hanno creduto" (v. 29). La fede viene dalla testimonianza orale che si tramanda. Essa ci spinge verso una operosità che lotta contro il male e libera le persone. Questo garantisce l'opera di Cristo e Tommaso è, per noi, il testimone affidabile che fa un cammino di fede. Gesù accetta questa sua fatica per tutti coloro che lo avrebbero seguito e Tommaso esprime la sua intuizione più profonda, la più grande intuizione di tutto il Vangelo. A Gesù ripete: «Mio Signore e mio Dio!». È il punto più alto della nostra fede e del nostro cammino.