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TESTO Commento su Atti 1,1-8 a; Prima Corinti 15,3-10 a; Giovanni 20,11-18

don Raffaello Ciccone   Acli Provinciali Milano, Monza e Brianza

Domenica di Pasqua (08/04/2012)

Vangelo: At 1,1-8 a; 1Cor 15,3-10 a; Gv 20,11-18 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 20,11-18

11Maria invece stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro 12e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. 13Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto». 14Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. 15Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo». 16Gesù le disse: «Maria!». Ella si voltò e gli disse in ebraico: «Rabbunì!» – che significa: «Maestro!». 17Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: “Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”». 18Maria di Màgdala andò ad annunciare ai discepoli: «Ho visto il Signore!» e ciò che le aveva detto.

Atti degli Apostoli 1,1-8 a
Tutto il testo degli Atti degli Apostoli vive in pienezza la speranza di una fioritura splendida nel mondo poiché la Comunità che si raccoglie attorno a Gesù sente con gioia questa continua presenza del risorto. Essa porta nel cuore l'esperienza della sua morte accettata con amore per tutti e la speranza di poter avere, tra le mani, un tesoro di pienezza e di novità che viene da Dio e che è carico di bellezza e di chiarezze per il mondo presente e futuro.
Non a caso questo testo si apre sulla celebrazione della Pasqua.
Abbiamo ancora gli occhi occupati dalle visioni di morte, di crocifissi, di processi ingiusti, di accuse infamanti, di derisioni. Questo contesto non ci apre alla fiducia ma ci sembra l'esplosione di un male onnipotente che travolge tutto.
La risurrezione, così discreta e senza pubblicità, affidata a persone non molto credibili nella comunità ebraica, a donne e a discepoli impauriti e disorientati, senza cultura e senza posizioni sociali ragguardevoli, è l'antidoto, è il deterrente di fronte al Male. Veramente Dio, in Gesù, ha vinto la morte. Perciò stiamo scoprendo il compito di questa comunità impaurita.
"Il perdono dei peccati e la conversione saranno predicati a tutte le genti" (Lc 24,47).
Questa è la prospettiva con cui Luca, discepolo di Paolo, medico, scrive i suoi due libri attorno all'anno 80 d.C.: il primo è il suo "Vangelo" su Gesù ed il secondo racconta "gli Atti della sua comunità" che ha compiti formidabili ed enormemente superiori alle proprie forze.
Il testo che abbiamo letto garantisce che compito e regalo della risurrezione è la testimonianza al mondo, con la presenza dello Spirito di Dio. Parte da Gerusalemme, dono dello Spirito ai Dodici e agli altri discepoli, raggiungerà la Samaria, la Siria (Antiochia), l'Asia Minore, la Grecia e Roma, centro dell'impero.
Il testo si collega al passato e all'esperienza della risurrezione. Tale passato però è legato al presenze, dà significato al tempo che viviamo, incoraggia sull'operosità e chiarisce anche stili e itinerari. Infatti dal passato si eredita anche l'idea del Regno che si rifà a Davide, alla potenza ed alla autonomia di poteri militari. Con la risurrezione sorgono, stranamente immaginabile, una rivoluzione ed una migliore garanzia di vittoria. Perciò l'occasione ingolosisce: "«Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il Regno per Israele?». "Non spetta a voi conoscere i tempi ed i momenti". La risurrezione ridimensiona anche i progetti umani, i sogni di gloria, di potenza, magari legati al trionfo di Cristo. Gesù non è venuto per essere potente e a noi non chiede di emergere, ma di essere ricchi dello Spirito di Dio e di testimoniare.
I nuovi luoghi sono la casa e il banchetto: la quotidianità e la condivisione, lo stile di vita semplice e la fiducia, la coerenza e il coraggio di credere nel Padre che alimenta di forza il nostro cammino.
Viene ricordato anche il numero 40: tempo dell'attesa, della purificazione, del ritorno al Signore, della consapevolezza che Dio è fedele alle sue promesse. E' il tempo delle decisioni mature. Nella Scrittura non è un dato aritmetico ma biblico, un messaggio per indicare un tempo opportuno di grazia:Noè (nel diluvio quaranta giorni e quaranta notti nell'arca, e quaranta giorni, dopo il diluvio, prima di toccare la terraferma, salvata dalla distruzione: Gen 7,4. 12; 8,6); Isacco a quaranta anni decide di costruirsi la sua famiglia; Mosè vive 120 anni, scanditi in tre periodi di 40 anni: alla corte del faraone, in fuga nel deserto, responsabile del popolo che emigra; sul Sinai rimane con il Signore, quaranta notti e quaranta giorni per accogliere la Legge; il profeta Elia impiega quaranta giorni per raggiungere l'Oreb, il monte dove incontra Dio (1 Re 19,8); Giona predica e 40 sono i giorni durante i quali i cittadini di Ninive fanno penitenza per ottenere il perdono di Dio (Giona 3,4); Saul (At 13,21); Davide (2Sam 5,4-5) e Salomone (1Re 11,41) regnano, ciascuno, 40 anni. Anche per i rabbini 40 era una cifra che indica un tirocinio completo.
Ia lettera ai Corinti 15,3-10 a
Nella prima lettera ai Corinzi, il capitolo 15º può costituire, particolarmente, un piccolo trattato sulla resurrezione della carne: dalla resurrezione di Cristo e le sue prove (vv. 1-11) si passa alla resurrezione dei fedeli a somiglianza di Cristo (vv. 11-34) e quindi alla dimensione misteriosa di questa vita nuova (vv. 35-58).
Nel mondo greco è difficile accettare la risurrezione del corpo perché viene ritenuta impossibile e, comunque, il corpo è indesiderabile. Il corpo è male, una prigione, una catena contro la pienezza di vita. Il mondo greco arriva ad accettare l'immortalità dell'anima.
Paolo immediatamente affronta la discussione e insiste che la risurrezione di Gesù è una realtà centrale della fede. Non si parla tanto di visioni personali, ma della naturale consapevolezza della tradizione della comunità cristiana, nata a Gerusalemme. La sintesi della fede richiede tutti e tre gli elementi su Gesù, dice Paolo, "così come li ho ricevuti". "Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risorto il terzo giorno secondo le Scritture". Paolo porta le prove che costituiscono le garanzie ufficiali e sono sei: " Apparve a Pietro, ai 12, a più di 500 fratelli, a Giacomo, a tutti gli apostoli e, per ultimo, a lui stesso". L'elenco non segue le testimonianze dei Vangeli, ma fa riferimento a un catalogo particolare, tanto è vero che manca, qui, l'apparizione alle donne, e nei Vangeli manca l'apparizione ai 500 fratelli. Quest'ultima ha un particolare significato perché è coinvolgimento della Chiesa stessa: la comunità, in senso pieno, apostoli e fedeli, di cui la maggior parte, ancora vivente, potrebbe essere interrogata. Ad un certo punto si fa riferimento ai 12, ma per sé il numero dei 12 apostoli non c'è più, mancando Giuda, e non è ancora stato sostituito da Mattia (At 1,23-26).
La risurrezione ha una dimostrazione ancor più fondamentale perché ha fatto cambiare vita ai molti a cui Gesù è apparso ed ha sostenuto la loro fede, portandoli ad una trasformazione coraggiosa e generosa, nonostante i limiti e le paure. Dice Paolo: "L'ho verificato in me, che pure ero persecutore della Chiesa di Dio". La risurrezione è stata la garanzia, il varco aperto per la grazia e il Signore gli ha permesso di faticare con fiducia nella missione delle comunità in cui si è trovato ad operare.
C'è coscienza che la risurrezione è come l'inizio e l'avvio di una speranza e di un annuncio che dissolve la disperazione e apre finalmente il cammino verso il Padre, attraverso Gesù, per tutto il mondo.
Lettura dal Vangelo secondo Giovanni 20,11-18
S. Giovanni ha riflettuto lungamente sugli avvenimenti della risurrezione poiché è stato uno dei protagonisti e, primo, tra gli apostoli, insieme a Pietro, a verificare la tomba vuota. Così Giovanni racconta quegli avvenimenti passati, unendo insieme anche le esperienze dei primi testimoni, in questo caso, di Maria Maddalena.
"Maria di Màgdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand'era ancora buio, e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro" (20,1). Ha avvisato due discepoli, con angoscia. Essi hanno constatato i fatti e sono rincasati: Pietro perplesso e "il discepolo che Gesù amava" credente.
Ma poi Maria è ritornata, ancora tormentata, alla tomba vuota e nessuno la poteva aiutare a scoprire una verità diversa dalla morte. Non si accorse della presenza degli angeli, o meglio, non seppe interpretare il significato di questi personaggi insoliti: in bianche vesti, seduti uno a capo ed uno ai piedi "dov'era stato posto il corpo di Gesù". Il dolore e la morte non permettevano di avere nessun'altra prospettiva, né conoscenza, né intuizioni nuove. La morte tolse ogni capacità di conoscere il mondo e i segni di Dio nel mondo. Sia gli angeli che Gesù posero la stessa domanda: "Perché piangi?" Gesù aggiunse alla domanda del "perché" anche quella del "Chi cerchi?". Maria non poteva se non cercare il cadavere di un morto, e su quello continuò a interrogare con tutte le sue forze. Ella sentiva dentro di sé il desiderio di compiere i riti della sepoltura, di ungere il corpo del Signore, di stargli vicino con quella commozione e con quella libertà che non avrebbe osato nella vita. Se avesse trovato il cadavere, sarebbe stato tutto suo. Avrebbe riconosciuto un Gesù steso morto, ma non lo riconobbe vivo. Questa cecità di Maria si rifletterà più tardi in quella di Tommaso (20,25).
La domanda a Maria fu la stessa che Gesù ha posto nell'orto degli ulivi a chi lo stava cercando: "Chi cercate?". (18,4.7). Qui, al sepolcro, attese di poter ascoltare la stessa risposta di allora: "Gesù, il Nazareno", per rispondere: "sono io", mostrando, in tal modo, la sua piena libertà e la sua consapevolezza. Maria, tuttavia, non nominò Gesù e continuò a fare riferimento solo al corpo.
La domanda di Gesù pone anche a noi molti interrogativi: "Che cosa cercate nel mondo religioso, nella fede, nella preghiera? Cercate la vostra pace, le garanzie di un vostro modo personale di vedere le cose, il vostro tentativo di trasformare il mondo a proprio consumo, la propria tranquillità?"
Maria si sentì chiamare. E dentro di lei, finalmente, accettò la richiesta fondamentale che la Scrittura chiede ad ogni credente: ".Ascolta".
E' a questo punto che Maria può riconosce un mondo di vita che Gesù le dischiude. La fede, infatti, inizia da un incontro particolare con il Signore che chiama e che noi ascoltiamo. Non si esaurisce in contenuti intellettuali, in generici valori, in abitudini "religiose". E Maria rispose

con un: "Rabbunì", che corrispondeva al "rabbi, maestro" ed aveva, praticamente, lo stesso significato. E tuttavia questa parola, unica in tutto il Nuovo Testamento, aveva anche il significato di "Signore, Marito" e può essere il riferimento allo sposo ideale. Giovanni infatti, in questo testo, continua ad avere in sottofondo il racconto dei "Cantico dei Cantici", a cominciare dal giardino, dalla: "donna", all'ascolto della voce dello sposo, al marito che si fa presente.
Giovanni costruisce qui il nuovo mondo della Chiesa in cui Gesù è il Signore, lo sposo ritrovato perché risorto, colui che entra nel mondo di Dio in pienezza.
Nel racconto di Giovanni il rapporto nuovo tra Cristo e il discepolo non è più quello di stare con il maestro per imparare, ma quello di sperimentare il coraggio di una vita piena e di annunciare la novità di Gesù che tocca tutti coloro che credono in Lui e che formano, con lui, la nuova grande famiglia di Dio. Con Gesù noi scopriamo l'esistenza, la responsabilità di vivere e di annunciare la vita, persino di fronte alla morte. Con Gesù noi costituiamo con tutti una unità che ci fa figli del Padre e fratelli di Cristo.

 

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