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don Cristiano Mauri   La bottega del vasaio

IV domenica di Quaresima (Anno B) (18/03/2012)

Vangelo: Gv 9,1-38b Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1Passando, vide un uomo cieco dalla nascita 2e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». 3Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. 4Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. 5Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo». 6Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco 7e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe» – che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.

8Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». 9Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». 10Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». 11Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». 12Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so».

13Condussero dai farisei quello che era stato cieco: 14era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. 15Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». 16Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. 17Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!».

18Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. 19E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». 20I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; 21ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». 22Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. 23Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!».

24Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». 25Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». 26Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». 27Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». 28Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! 29Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». 30Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. 31Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. 32Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. 33Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». 34Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori.

35Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». 36Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». 37Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». 38Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui.

Diciassette domande tra quelle espresse in forma diretta e quelle indirette.

Tutto un Vangelo di domande. Domandano i discepoli, domanda Gesù, domanda il cieco, domandano i farisei, i genitori no, loro non domandano e non vogliono domande.

Vengono fatte tutte le domande possibili: chi, dove, cosa, quando, perché, come. Inchiesta attorno al cieco nato, o meglio un'indagine.

E' evidente la diversità in termini di qualità e tono delle varie domande espresse; così come immediato appare il diverso atteggiamento interiore con cui le varie domande sono poste.

L'interrogativo dei discepoli tradisce l'inquietudine che la misteriosità del male suscita e il desiderio, per quel che ne sappiamo autentico, di comprenderne qualcosa. Le questioni dei farisei hanno un fastidioso tono inquisitorio carico di malizia, trasudano arroganza, faziosità. Le controdomande del cieco ormai guarito brillano per ironia e limpidezza, come di chi nulla ha da nascondere né da difendere. Le parole finali di Gesù hanno il tono della questione definitiva.

Una concentrazione di domande forse unica nei Vangeli, che unita alla loro varietà, ci impone di riflettere proprio sul tema del porre le questioni.

Archiviamo rapidamente la categoria dei pruriti da pettegolezzo, la curiosità impicciona e il bisogno di padroneggiare le situazioni: quello è un domandare sciocco - senza se e senza ma - che non merita considerazioni se non il biasimo.

Parliamo invece del domandare inteso come la nobile arte, tutta umana, tipicamente umana, dell'esercizio dell'intelligenza. Quella qualità che si sforza di entrare dentro le cose e alle situazioni, andando oltre la loro superficie per interpretarle, assimilarle e comprenderle nel loro significato ultimo, non per un aumento di sapere fine a se stesso, ma in vista di una crescita progressiva di una vita buona, bella e vera. L'attività di scavo della realtà che conduce l'uomo ad essere sempre più autenticamente tale e le cose a raggiungere il loro scopo. Arricchito dalla prospettiva di fede, tutto questo si traduce nella ricerca crescente di autenticità evangelica.
Semplificando in modo un po' grezzo, si può dire che anche il domandare dell'intelligenza ha nella ricerca della qualità di vita, largamente intesa, la sua essenza; in un'ottica cristiana la qualità di vita evangelica. Chiedo ragione delle cose per qualificare il mio - a l'altrui - essere uomo, per qualificarmi come cristiano. E' una lógica di servizio del bene, personale e comune.
Se dunque l'esercizio dell'intelligenza ha una sua essenza, è possibile viverlo in una logica di essenzialità e sobrietà, temi di questa Quaresima.

Si comincia proprio dalla consapevolezza che c'è un domandare che aiuta la vita - intelligente - e un domandare che invece la intralcia. C'è un interrogare e interrogarsi che alimenta la fede e un altro che la ostacola. Perciò non è affatto vero che tutte le domande vanno bene, che è sempre opportuno domandare e l'episodio evangelico ne è un esempio lampante. Esistono domande che sono inopportune, altre retoriche, oppure faziose, anche insinuanti, non di rado malposte, a volte fuorvianti, spesso fini a se stesse... Va da sé allora che occorre una disciplina.
Proprio perché si tratta di intelligenza, le domande devono essere discrete, fatte con discrezione, cioè frutto di una scelta, risultato di una cernita tra le tante possibili.
E' sempre questione di scegliere le domande giuste e il criterio di fondo l'abbiamo sopra indicato in quel qualificare la vita che è l'obiettivo dell'intelligenza. Già questo, se applicato con serietà, porterebbe ad una notevole sfoltita delle nostre abitudini circa il domandare. Se utilizzato all'episodio del cieco nato, i farisei avrebbero fatto scena muta.

Un criterio secondo con cui potremmo essenzializzare il nostro uso dell'intelligenza è valutare il tipo di "movimento". Va incentivato quell'"interessarci a" che ci porta effettivamente fuori di noi spingendoci a rielaborare le nostre certezze e a ridiscutere le nostre posizioni; va accuratamente evitato l'atteggiamento che va a caccia di elementi nuovi con cui affilare le armi apologetiche. Anche questo, se applicato con rigore, ci libererebbe da tante appendici inutili.

A mo' di esempio, propongo tre digiuni di essenzializzazione da tre atteggiamenti che ritrovo di frequente nelle comunità cristiane sia nelle dinamiche interne che nel rapporto col "mondo". Alla base di essi sta un uso dell'intelligenza che non ha radice nella disponibilità a discutere le proprie convinzioni per rielaborarle e riconsiderarle, ma che si muove imponendo un pregiudizio in continua ricerca di conferme ai propri schemi interpretativi.

Digiuno dal complottismo. Forse anche perché è un'abitudine tutta italiana e sempre più italiana, nelle nostre parrocchie si sta spesso con la convinzione latente che "c'è sempre sotto qualcosa". Per quanto questo possa essere vero in alcuni casi, assumere questo come criterio di interpretazione di ogni situazione non è né più né meno quel che han fatto i farisei con Gesù. L'idea che ci sia sempre un doppio fine, che ci siano accordi sottobanco, obiettivi segreti, manipolazioni oscure inquina l'intelligenza di pregiudizio e, è giusto dirlo, di ottusità.

Digiuno dalle complicazioni. Sembra che ci sia, specie negli ambiti ecclesiali, il gusto della complicatezza delle cose. Pare spesso che una risposta semplice, una ragione evidente, una spiegazione lineare siano un insulto all'intelligenza. Il troppo semplice non è riconosciuto. Davanti ad esso si pensa immediatamente a una lettura superficiale, ad un ragionamento non sufficientemente sviluppato o a un'analisi non adeguatamente approfondita. E ci si avvita in discussioni interminabili che hanno il sapore dell'accanimento dialettico più che dello scavo sapiente. Spesso si sconfina nel vezzo della speculazione e della ricerca del pensiero o della spiegazione più ricercata o più esotica.

Digiuno dalla preoccupazione della completezza. Non è affatto vero che si deve sapere tutto e che più si sa meglio è. L'essenza dell'esercizio dell'intelligenza anche evangelica non è certo una faccenda di quantità, bensì di qualità. Ma non è scontato che lo si abbia presente. L'ansia del saper tutto, aver letto tutto, aver colto tutti i dettagli, spesso tra i cristiani più impegnati è una malattia diffusissima. Domandano a tutto spiano, di tutto e a tutti per non perdere nulla, nella convinzione che questo sia la chiave per saper interpretare correttamente il mondo e il Vangelo. Finendo poi per non digerire nulla e rigettare tutto così come è stato ingerito.

Stavamo dimenticandoci dei genitori del cieco nato e di, come loro, chi si rifiuta di fare e di farsi domande. Ma quelli in fretta e furia, rubando le parole a Gaber, li congediamo con un: "Oh maaamma!".

Visitate il sito www.liturgiagiovane.it ed il relativo blog, sul quale è possibile aggiungere i vostri commenti, osservazioni, suggerimenti, proposte.

 

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