TESTO Un saggio della vittoria
padre Gian Franco Scarpitta S. Vito Equense
II Domenica di Quaresima (Anno B) (04/03/2012)
Vangelo: Mc 9,2-10
2Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro 3e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. 4E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. 5Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». 6Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. 7Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». 8E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.
9Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. 10Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.
Abramo è riconosciuto come il simbolo della fede sia per gli ebrei che per i cristiani. Affidarsi a Dio e disporsi a fare la sua volontà è atteggiamento tipico di quest'uomo semplice e umile che senza riserve e tentennamenti abbandona la sua città, Ur dei Caldei, per raggiungere la terra di Carran e poi quella di Canaan (Gen 12, 1-6). Successivamente, dopo una breve parentesi in Egitto, Abramo riceve il Signore che gli si presenta alle querce di Mamre nella persona di tre visitatori che accoglie con zelante ospitalità, ottenendo in dono che la moglie Sara a distanza di un anno possa avere una gestazione straordinaria (Gen 18). L'amicizia con Dio porta Abramo ad intercedere per la città di Sodoma (Gn 18, 16-33) e ad uscire fortificato e vittorioso da ogni situazione avversa.
Quella dell'immolazione del proprio figlio Isacco è la prova più schiacciante e allusiva di questa fede incondizionata nel Signore. Abramo sa benissimo che uccidendo il proprio figlio che Dio stesso sottolinea essere "il tuo unico figlio che ami", perderà la cosa più cara che possiede, fra l'altro ottenuta miracolosamente per un dono divino scaturito da un atto di fede; e sa anche di perdere una discendenza. Quella che viene data da Dio a questo uomo integerrimo e dimesso è quindi una prova molto difficile, poiché consiste in una richiesta troppo sacrificata e insolita per qualsiasi essere umano che si rispetti. Sacrificare il proprio figlio! Per di più, l'unico figlio oggetto di amore speciale in quanto ottenuto per privilegio divino.
Aver fede vuol dire affidarsi, compiere un atto di abbandono che non lesina sulla fiducia aperta e disinvolta in Dio; vuol dire concedere se stessi a Dio in ogni circostanza, sempre pronti a realizzare la Sua volontà nella consapevolezza che il suo volere corrisponde in ultima analisi al nostro vero bene. Di questa fede è il riflesso speculare Abramo, che non esita a sollevare il pugnale per infliggerlo nelle esili membra del giovane Isacco che dovrà servire da olocausto per il Signore. Sa benissimo che sta per perdere l'affetto più caro e prezioso, è consapevole che probabilmente dovrà disperarsi e piangere per tutta la sua vita, però si accinge a compiere quel barbaro gesto, appunto perché la fede nel Signore è reale e suscita in lui grande fiducia e condiscendenza. E questa fede viene ricompensata in modo proporzionato: non soltanto Dio risparmia ad Abramo di immolare il povero Isacco, ma gli dischiude un futuro prosperoso di una grande discendenza che accomunerà nella comune radice Cristiani ed Ebrei.
La fede di cui Abramo è un emblema ci ragguaglia della certezza che essa anche per noi può essere matrice di speranza e con la speranza conseguirà sempre la vittoria e gli obiettivi che ci attendono. Ovviamente una fede aperta e disinvolta non si accontenta di un semplice "credo", ma richiede l'assunzione di uno stile di vita, di una condotta insomma ci immedesima pienamente nel mistero al punto che ce lo fa esperire giorno per giorno. Si tratta della fede "prova delle cose che non si vedono" (Eb 11, 1 -2) che non necessita di verifiche empiriche o di evidenze matematiche ma che corrisponde ad un atto di accoglienza.
Ad incentivare la nostra fede è soprattutto che Abramo ha avuto finalmente risparmiato il proprio figlio, mentre il Padre non risparmierà il suo unico Figlio ma lo darà a tutti noi come sacrificio di espiazione per i peccati.
Proprio il Figlio di Dio Gesù Cristo ci da offre un imput e uno slancio motivazionale per farci vivere intensamente la nostra fede e lo fa attraverso questo spettacolare episodio teofanico che avviene nel monte Tabor, quando Gesù si manifesta a Pietro, Giacomo e Giovanni nel fulgore della sua divinità, prorompente di gloria e di onnipotenza. Egli si mostra come il prefigurato e il Promesso dalla Legge e dai profeti (Mosè ed Elia) e ci ragguaglia che l'obiettivo della passione è sempre la gloria, che alla croce segue la resurrezione e che la fede indiscussa in Colui che ci ha scelti e prediletti non è mai finalizzata a se stessa ma avrà un culmine di gloria e di esultanza futura.
Colui che verrà trafitto è lo stesso Signore che poi risorgerà e che adesso sul Tabor manifesta il suo massimo splendore di gloria e di divinità. Siamo quindi incoraggiati a coltivare la nostra fiducia incondizionata in Dio e in Cristo suo Figlio perché intravediamo già sin d'ora la caparra della ricompensa futura e per ciò stesso siamo protesi a sperare e a perseverare con fiducia.
Se Abramo simboleggia la fede, Cristo è la realizzazione delle promesse di questa fede, il compimento definitivo dell'alleanza, della salvezza nonché della vittoria futura sulla morte ed è per noi adesso un preludio alla Pasqua che ci verrà data come dono definitivo delle nostre attese quaresimali.