TESTO Specchio delle mie brame
don Cristiano Mauri La bottega del vasaio
Ultima domenica dopo l'Epifania (Anno B) (19/02/2012)
Vangelo: Lc 18,9-14
9Disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 10«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 11Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. 13Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. 14Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».
Immaginati un mondo senza specchi.
Anche solo pettinarsi sarebbe un problema. E truccarsi, mettere le lenti, radersi, scegliere un vestito? L'elenco sarebbe lungo ma bastano pochi esempi per capire che saresti molto meno autosufficiente e meno capace di aver cura di te. Ci sarebbero delle parti di te che ti rimarrebbero sconosciute. Il tuo volto, più di ogni altra. Non potresti farti bello da solo. Saresti costretta ad affidarti alle mani di un altro ma non - come già adesso fai - solo perché è più abile di te, semplicemente perché lui vedrebbe quel che tu non potresti in alcun modo. Anche per le cose più banali e quotidiane. La presenza dell'altro sarebbe ancor più decisiva e determinante, anzi imprescindibile. Sapresti chi sei solo dalle sue parole. Le sue parole il tuo volto, e viceversa. Ma anche i suoi gesti e il tuo volto. Tutto sulla fiducia, già. Ma quanto conterebbe l'aspetto nel rapporto con gli altri e con te stesso in un mondo simile? Più importante ancora: quale sarebbe il vero ruolo dell'altro in un mondo senza specchi e che tipi di relazioni esisterebbero?
Ma gli specchi ci sono. E non è certo per caso.
Bisogno di vedersi, di sapersi. Desiderio di un'identità chiara e definita. Necessità di potersi determinare così come si vuole, senza sbavature. Nulla di male in sè, anzi aspirazioni positive. E di per sè pure lo specchio, non è certo una cosa cattiva.
"Specchio specchio delle mie brame chi è il più bello del reame?"
Suona più o meno così la preghiera del fariseo. Che già chiamarla tale è fare un torto alla preghiera vera. Un soliloquio, non una preghiera, questo. Il Vangelo non manca già di farci notare che parlava "tra sè", ma le stesse parole del fariseo sono una conferma. Il fariseo non prega, è allo specchio a rimirare i risultati del fitness religioso che non manca di praticare con applicazione, precisione e costanza. Dio è chiamato a dar riscontro come uno specchio. Gli altri uomini - e il pubblicano non ne è che un rappresentante - riflettono al negativo la sua bellezza, come uno specchio rovescio. Nè Dio, né il pubblicano sono qualcosa. Solo un riflesso. Tra il fariseo e il pubblicano la distanza enorme della strumentalità. Con Dio lo stesso.
Chissà se la religiosità legalistica e formale l'ha spinto a una tale distanza dall'umanità o se, viceversa, il prendere le distanze dall'altro l'ha portato a cercare quel tipo di religiosità autoreferenziale e narcisa. Non fa differenza. Ora si trova lì, in un castello di ritualità precise e rigorose che alimentano l'inseguimento di un sè ideale, cercato illusoriamente come la porta della soddisfazione e - pure! - della salvezza. L'autoreferenziale perfezione come bene supremo.
Ora si trova all'inferno. Sì, l'inferno. Perché che altro è mai l'inferno se non l'infinita distanza da Dio e dall'umanità? E l'isolamento del fariseo che sta "tra sè", non è forse la stessa cosa? Infinita solitudine, delirio di autosufficienza, autocompiacimento ossessivo. Una vita passata allo specchio ad inseguire un'ideale irraggiungibile di irreprensibilità nella quale il prossimo è sempre e solo termine di paragone o minaccia del primato, è una vita infernale. La negazione assoluta di ciò che l'uomo è e di ciò per cui è stato fatto: la comunione con Dio nella comunione coi fratelli. Una spirale infernale che si autoalimenta e consolida: ce lo dice anche Luca con le forme verbali usate per il fariseo ad indicare stabilità ormai incrollabile del suo atteggiamento. Il fariseo l'ha creato e ora ne è prigioniero.
La distanza dal pubblicano segna per il fariseo la distanza da Dio. Il disprezzo dell'altro è disprezzo di Dio. D'altronde come può amare l'altro chi dedica ogni energia alla esclusiva cura di sè, fosse anche della propria vita spirituale? Perché non va dimenticato - e la cosa impressiona - che il fariseo stava curando la propria vita di fede, mica altro. E lo faceva pure con apparenti intenzioni sante: il digiuno facoltativo era fatto per espiare i peccati del popolo e la decima non dovuta serviva per la carità. Ma se l'impegno nella vita spirituale è inquinato dalla presunzione dell'autosufficienza e dalla cura ossessiva di sè...
L'inferno può essere uno specchio. Certo una vita allo specchio è una vita d'inferno.
Non è nemmeno necessario arrivare all'espressione esplicita del disprezzo dell'altro. E' sufficiente porsi nei suoi confronti come davanti a un ritorno di sè. Già questo è dispregio. Se più che il fratello, ai miei occhi vale la sua opinione in cui rivedermi; se prima ancora della persona conta il suo esempio da cui seguire; se anziché accogliere l'altro lo considero solo qualcosa da cui distinguermi; se l'incontro con il prossimo è solo l'occasione per far crescere la mia figura spirutale. Tutte queste volte e molte altre apparentemente innocue in cui però rendo l'altro "relativo" a me al pari di un mezzo, esercito una forma lata di disprezzo. Persino un certo modo di guardare ai santi o una certa retorica della testimonianza possono finire in questo gioco perverso.
Il pubblicano invece non sembra avere più nemmeno il coraggio di guardarsi allo specchio. A confronto con il fariseo in piedi a testa alta, pare lui quello ripiegato su di sè, capo chino, voce bassa. Invece l'apparenza è ribaltata nella sostanza. Il pubblicano chiede a un altro di prendersi cura di lui, da solo non lo sa fare, non lo può fare, nemmeno lo vuole. Il fariseo fa', il pubblicano si fa fare. Il primo da vicino è lontanissimo, il secondo da lontano ha Dio come prossimo. E Dio si sa che ha il tocco del Samaritano: il pubblicano se ne va guarito, bello come il sole.
I tempi che viviamo spingono al narcisismo disumanizzante similfariseo: una vita allo specchio, incuranti dell'altro - Dio o uomo - se non per ciò che mi occorre. Non è raro vedere tale atteggiamento anche nei nostri ambienti ecclesiali, magari coperto da un velo di buone intenzioni o corredato da motivazioni inappuntabili, se non addirittura ostentato come la forma del cristianesimo moderno. Non è raro purtroppo vedere gli ambienti ecclesiali porre a modello personaggi che incarnano un tale stile di vita e di fede. Cristiani allo specchio.
Che rischio. Perché la parabola è terribilmente spietata nella semplicità del messaggio: la distanza che ci separa dall'altro è la misura della nostra prossimità a Dio. Ogni forma esplicita o meno, diretta o no di dispregio dell'altro è una ferita seria e grave al rapporto con Dio e alla vita di fede.