TESTO L'Amore che fa nuove tutte le cose
don Alberto Brignoli Amici di Pongo
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VII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (19/02/2012)
Vangelo: Mc 2,1-12
1Entrò di nuovo a Cafàrnao, dopo alcuni giorni. Si seppe che era in casa 2e si radunarono tante persone che non vi era più posto neanche davanti alla porta; ed egli annunciava loro la Parola.
3Si recarono da lui portando un paralitico, sorretto da quattro persone. 4Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dove egli si trovava e, fatta un’apertura, calarono la barella su cui era adagiato il paralitico. 5Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico: «Figlio, ti sono perdonati i peccati».
6Erano seduti là alcuni scribi e pensavano in cuor loro: 7«Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può perdonare i peccati, se non Dio solo?». 8E subito Gesù, conoscendo nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: «Perché pensate queste cose nel vostro cuore? 9Che cosa è più facile: dire al paralitico “Ti sono perdonati i peccati”, oppure dire “Àlzati, prendi la tua barella e cammina”? 10Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra, 11dico a te – disse al paralitico –: àlzati, prendi la tua barella e va’ a casa tua». 12Quello si alzò e subito presa la sua barella, sotto gli occhi di tutti se ne andò, e tutti si meravigliarono e lodavano Dio, dicendo: «Non abbiamo mai visto nulla di simile!».
"Ciò che è stato sarà, e ciò che si è fatto si rifarà; non c'è niente di nuovo sotto il sole. C'è forse qualcosa di cui si possa dire: «Guarda, questa è una novità»?".
La straordinaria e sempre attuale saggezza di Qohelet ci mette di fronte alla cruda realtà dell'esistenza, dove effettivamente ci risulta difficile trovare elementi di novità in ciò che sperimentiamo e viviamo quotidianamente. Niente di nuovo nelle proposte culturali, in quelle della politica, della società e dei mass-media. Si fatica a trovare qualcuno che proponga un respiro nuovo, una visione nuova, prospettive nuove nel modo di guardare al futuro. E questo, nonostante la tecnologia faccia passi da gigante e il mondo dell'informazione viaggi ormai alla velocità della luce. Prova ne sono le nuove generazioni, che di nuovo non hanno proprio nulla: stanche e annoiate sin dalle prime ore del mattino, tutto ispirano - guardandole - meno che vitalità, voglia di fare, di realizzare, di essere creative e innovatrici.
Nemmeno la comunità dei credenti, la Chiesa, è esente da questo senso di affaticamento e di stanchezza; non ci sono prospettive di rinnovamento, manchiamo di slancio profetico, fatichiamo a dire qualcosa di credibile e di stimolante all'uomo contemporaneo, e sinceramente parlando non abbiamo bisogno del ciarlatano di turno che venga a ricordarcelo blaterando facilmente dal palcoscenico di un teatro affermazioni "inutili e ipocrite" come quelle che egli ha la pretesa di denunciare. Noi uomini di Chiesa e noi cristiani comuni sappiamo bene quanta fatica facciamo a trasmettere oggi la novità della fede: e per giunta, noi non abbiamo mai la possibilità di salire alla ribalta dei riflettori per gridare questa fatica. Sperimentiamo la fatica, ce la teniamo e andiamo avanti, cercando nonostante tutto di parlare di Dio e del Paradiso, anche quando agli altri di questi discorsi non gliene importa nulla. E se non gliene importa nulla non è perché noi non ne parliamo, ma perché in ciò che diciamo, forse, non riusciamo a trasmettere nulla di nuovo rispetto a tanti anni fa. Anzi, sembra che la novità di una Chiesa che camminava al passo dell'uomo contemporaneo si sia esaurita cinquant'anni fa, quando terminava il Concilio, l'ultima grande opera di rinnovamento della Chiesa.
Sì, anche noi credenti, noi per primi sentiamo la fatica della stanchezza, perché abbiamo davvero la sensazione di non essere più capaci di novità. Corriamo dietro alle mode del momento, anche dal punto di vista ecclesiale: nuovi programmi pastorali, nuove proposte di animazione, adeguamento della pastorale alle nuove tecnologie, nuovi modi (in realtà vecchissimi) di celebrare l'Eucaristia, nuove forme di coinvolgimento dell'assemblea... ma in fondo ci manca qualcosa che renda "nuova" la nostra esperienza di fede e il nostro annuncio. Anche l'evangelizzazione, oggi, si sforza di essere "nuova", e tenta davvero con serietà di trovare la modalità giusta per tornare ad annunciare Cristo a un mondo senza Dio; ma anche lì, fino ad ora, niente di particolarmente convincente.
Forse, allora, non si tratta di andare alla ricerca di qualcosa di "nuovo", ma di annunciare ciò che è veramente "nuovo". Isaia quest'oggi ci dà una mano; il vangelo di Marco, in quest'ultima domenica prima dell'inizio del cammino quaresimale, pure lui.
"Ecco, io faccio una cosa nuova", annuncia il profeta al popolo d'Israele in esilio; "Non abbiamo mai visto nulla di simile!", gli fa eco la folla che assiste alla guarigione del paralitico. Entrambi i brani, così distanti anche temporalmente tra di loro, hanno in comune la profonda verità che vogliono annunciare: Dio cambia in positivo l'esistenza di chi crede in lui, e lo fa dimenticandosi dei suoi peccati. La vera novità del Dio rivelato da Gesù Cristo è la misericordia: "Figlio, ti sono perdonati i peccati". Il Dio dell'Antico Testamento solo in parte mostrava il proprio volto misericordioso, nonostante la storia della salvezza appaia tutta come un gesto di grande misericordia di Dio nei confronti del suo popolo. Il Dio del Nuovo Testamento, invece, annuncia la novità dell'alleanza parlando apertamente di misericordia, e ne dà prova attraverso le parole ma soprattutto attraverso i segni di pietà compiuti da Gesù Cristo che sana i malati, considerati a quel tempo oggetto del castigo di Dio a causa delle loro colpe.
Ecco, questa è la "novità" dell'annuncio cristiano: Dio non condanna, Dio non giudica, Dio non emargina, Dio non castiga. Il Dio di Gesù Cristo assolve, ridà fiducia, avvicina a sé, e addirittura premia. Premia con iniezioni di vita il nostro sforzo di uscire dall'ombra della morte, e ci ridona speranza.
Non credete che sia sufficiente questo per dire al mondo che il messaggio cristiano è qualcosa di nuovo?
Non credete che se noi cristiani iniziassimo ad annunciare un Dio che perdona e ridona speranza nonostante tutto, molta più gente crederebbe in lui?
Non credete che se la Chiesa si mostrasse meno matrona e più madre, molte più persone la amerebbero?
Non credete che se passassimo da una religione delle norme, del proibizionismo e della morale negativa a una spiritualità della gioia positiva, dell'amore, e della solidarietà, molta più gente riscoprirebbe il senso delle cose di Dio?
Non credete che se guardessimo al malato, al povero, all'emarginato e al forestiero come alla presenza di Dio nella nostra storia, noi cristiani saremmo più credibili che qualsiasi omelia, che senza una profonda e coerente vita di carità si dimostra certamente "inutile e ipocrita"?
Allora certamente non avremo più bisogno di falsi profeti e predicatori da palcoscenico che ci ricordino le nostre incoerenze; e nemmeno dovremo più perdere tempo a controbattere le loro fesserie. Il linguaggio dell'amore basterebbe a rendere nuove tutte le cose.