TESTO Il dolore innnocente
Santi Innocenti (28/12/2003)
Vangelo: Mt 2,13-18
13Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo».
14Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, 15dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:
Dall’Egitto ho chiamato mio figlio.
16Quando Erode si accorse che i Magi si erano presi gioco di lui, si infuriò e mandò a uccidere tutti i bambini che stavano a Betlemme e in tutto il suo territorio e che avevano da due anni in giù, secondo il tempo che aveva appreso con esattezza dai Magi. 17Allora si compì ciò che era stato detto per mezzo del profeta Geremia:
18Un grido è stato udito in Rama,
un pianto e un lamento grande:
Rachele piange i suoi figli
e non vuole essere consolata,
perché non sono più.
Speciale per il rito Ambrosiano Ger 31,15-18.20 – Rm 8,14-21 – Mt 2,13-18
Il fatto è una tragedia tra le tante – purtroppo: la prepotenza del tiranno che non risparmia neanche i bambini. Del resto Erode aveva già ucciso tutti i figli e tutte le sue mogli per paura gli portassero via il trono.
Ma qui la morte degli innocenti è collegata con Gesù, che invece viene miracolosamente scampato dalla strage; ed è letta dall'evangelista Matteo sullo sfondo delle molte tragedie di Israele, più volte perseguitato, profugo e oppresso, e sempre in qualche forma liberato e fatto risorgere da Dio.
Tocchiamo qui il mistero del male, della sofferenza provocata dalla violenza e il dolore innocente che è l'ingiustizia più grande.
Vediamo quali sono le risposte di Gesù.
1) "DALL'EGITTO HO CHIAMATO IL MIO FIGLIO"
Perseguitato da Erode, Gesù deve fuggire in Egitto; e da lì, morto il tiranno, ritorna salvo in patria. Già Israele, proprio ai primordi della sua storia, era dovuto fuggire in Egitto, e da lì – per l'opera di Mosè – "dall'Egitto – dichiara il Signore – ho chiamato il mio figlio", ho liberato il mio popolo. Altra volta, deportato schiavo in Babilonia, il Signore aveva fatto ritornare Israele, un Resto almeno, che riprendesse la fedeltà al proprio Dio. Dentro le tragedie e le prove della vita l'uomo che si fida di Dio alla fine trova una liberazione e una salvezza; ed anche una sicura giustizia – come afferma Maria nel Magnificat: "Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia".
Sono già due elementi decisivi.
Il primo: Dio salva, Dio opera per la vita, riscatta dalla morte. L'uomo non è solo nelle tragedie; sulla barca sbattuta dalla tempesta Cristo è compagno di viaggio; appena lo si chiama dice: "Taci, calmati!" (Mc 4,39). "Non è mai troppo corta la mano di Dio per salvare" (Is 50,2). Anzi dalla morte riscatta e fa risorgere: "Chi crede in me anche se muore vivrà" (Gv 11,25). Tutta l'opera di Dio è riscatto, persino del cosmo: "La creazione stessa nutre la speranza di essere liberata dalla schiavitù della corruzione" (II lett.). Dio è salvatore; purché, naturalmente, l'uomo vi si rivolga, vi si affidi, e non presuma di salvarsi da sé. Qui sta la vera tragedia, nell'autosufficienza e nel peccato!
Secondo elemento: una giustizia - un giudizio inequivocabile – è garantito sopra le violenze e le malvagità della storia. Quella sete di giustizia che alimenta molta anima del mondo - e che spesso viene frustrata da ingiustizie peggiori, magari di segno opposto – è solo Dio alla fine ad assicurarla e farla. "Beati voi poveri..., guai a voi ricchi" (Lc 6,20-26). "La mietitura rappresenta la fine del mondo:... il Figlio dell'uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente" (Mt 13,39-42). Gesù è esplicito: "Verrà l'ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e ne usciranno: quanti fecero il bene per una risurrezione di vita, e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna" (Gv 5,28-29). E' la speranza dei poveri e degli oppressi, e la loro gloria (e rivincita) nel Signore!
2) "..PER PARTECIPARE ALLA SUA GLORIA"
Ma il dolore stesso in sé ha un valore positivo, nel quadro globale del disegno di Dio. E anzitutto: Dio sa, Dio conosce, Dio non è estraneo al dolore dell'uomo, e soffre come un padre davanti al figlio: "Non è forse Efraim un figlio caro per me, un mio fanciullo prediletto? Per questo le mie viscere si commuovono per lui, provo per lui profonda tenerezza" (I lett.). Se permette il male è per una purificazione e ne tiene conto come di una prova d'amore meritevole di ricompensa: "Io ritengo che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi" (II lett.). Come essenzialmente è stata la prova di Cristo che gli ha meritato la risurrezione. Si tratta, naturalmente, di vivere con lui e come lui la sofferenza: diverremo "coeredi di Cristo se veramente parteciperemo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria" (II lett.).
E si inserisce proprio qui il valore del dolore innocente, quale strumento – sempre in unione con Cristo - di corredenzione e salvezza anche per gli altri. Scrive san Paolo: "Completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo a favore del suo corpo che è la Chiesa" (Col 1,24). Egli, Cristo, è "l'Agnello che porta il peccato del mondo" (Gv 1,29), l'innocente "per le cui piaghe noi siamo stati guariti" (Is 53,5). A questa missione di espiazione vicaria chiama il Signore, nell'innocenza e nella immolazione del cuore, quanti vivono la solidarietà soprannaturale propria della "comunione dei santi", quale membra di un unico corpo. Don Gnocchi ne aveva fatto il cuore della sua missione: riscattare il dolore innocente dei suoi mutilatini quale tesoro prezioso di corredenzione in unione con la croce di Cristo. Cose difficili, ma sono le uniche capaci di riscattare l'inutilità e l'assurdità della sofferenza umana.
Si giunge così anche a dire grazie – nel prefazio – a Dio che sa trarre il bene anche dal male: "Veramente infinita è la bontà del Signore che non permette venga meno la ricompensa a coloro che, pur senza saperlo, sono stati uccisi per lui; nel sangue in cui sono immersi si compie il lavacro che li rigenera, e viene donata loro la corona del martirio". Si tocca così un altro tema misterioso: "pur senza saperlo", il dolore innocente è salvifico. O anche il solo dolore stesso, per il fatto che Cristo s'è unito all'uomo e ha fatto suo ogni momento dell'uomo, riscattandolo. Forse non è solo saggezza popolare quel che si dice: "Ha tanto sofferto, .. Dio non può non tenerne conto!". Il che offre prospettive di grande speranza anche a chi non sempre giunge alla consapevolezza esplicita di essere congiunto al Getsemani di Gesù! Forse il Capo supplisce le membra.
Il Natale è festa di un Bambino che nasce, è festa di ogni bambino che – nonostante tutto – Dio non si stanca di donare al mondo. Ci richiama la loro dignità, l'innocenza da rispettare, perché alla fine Dio è loro padre e tutore, come lo è di Gesù, "primogenito di molti fratelli" (Rm 8,29). In tempi in cui si scoprono con sorprese nuove forme di strage degli innocenti, il Natale mobiliti i credenti a difesa di ciò che di più prezioso l'umanità possiede, il suo domani posto in radice nei bambini che nascono oggi.