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TESTO Gesù cammina sulle acque

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XIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (07/08/2011)

Vangelo: Mt 14,22-33 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 14,22-33

[Dopo che la folla ebbe mangiato], 22subito Gesù costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, finché non avesse congedato la folla. 23Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo.

24La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. 25Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. 26Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: «È un fantasma!» e gridarono dalla paura. 27Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». 28Pietro allora gli rispose: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque». 29Ed egli disse: «Vieni!». Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. 30Ma, vedendo che il vento era forte, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». 31E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?». 32Appena saliti sulla barca, il vento cessò. 33Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Davvero tu sei Figlio di Dio!».

Ascoltavo un giorno la testimonianza di una delle vittime del conflitto armato interno che visse il Perù qualche anno fa e di cui ancora porta le conseguenze.

La signora Ursula, una cara amica, arrivò a Lima da un paesino sperduto sulle Ande, in una delle zone più colpite da quel conflitto. Aveva vissuto anni di terrore: le notti buie in cui i terroristi di Sendero Luminoso facevano incursioni in paese gridando, entrando violentemente nelle case, pretendendo che la gente desse loro da mangiare con i pochi animali che avevano, uccidendo chi non era d'accordo o era stato segnalato da qualcuno come "traditore", "spia". Di giorno i compaesani seppellivano i morti, andavano a lavorare nei campi nel silenzio della sfiducia gli uni verso gli altri perché non si sapeva chi, tra i paesani, era occhio e orecchio dei terroristi. E poi arrivava l'esercito, unica presenza tangibile di uno Stato che si era dimenticato di loro, delle popolazioni indigene, da sempre. L'esercito li accusava di collaborare con i terroristi, arrestava i vicini che mai più ritornavano a casa, uccideva alcuni con processi sommari, si portava via qualche animale per mangiare...

Ursula perse in quegli anni un fratello, qualche zio o zia, più di 50 compaesani.

Alla fine del suo racconto commentava: «Ma chi rimase sempre vicino a noi?, in chi potevamo aver fiducia?, chi non ci tradì mai e sempre ci aiutò e consolò? Nostro Signore Gesù!»

Credo che questa semplice e breve testimonianza ci possa aiutare a comprendere il brano evangelico che la liturgia ci propone questa domenica.

Gli apostoli sono sulla barca scossa dai venti e dalle onde. Mentre la barca si allontana in direzione contraria alla riva i discepoli notano che scarse sono le loro forze e che con difficoltà possono lottare contro la tormenta che si avvicina. É una situazione troppo dura per loro.

Ma ecco che, mentre incomincia a trasparire la luce del giorno, Gesù si avvicina camminando sulle acque. I discepoli si spaventano e, anche se sono uomini duri, abituati a una vita rude, si fanno prendere dal panico. Ma Gesù dice: "sono io, non abbiate paura!".

Anche la barca della nostra esistenza resta sempre esposta a tutte le situazioni felici e tristi, come quella di qualsiasi altra persona: seguire Gesù non significa essere liberi dalle angosce, tristezze e sofferenze della vita.

Aspettarsi che l'essere "buoni cristiani" ci debba preservare dal male e dalla sofferenza come molte volte si ascolta ("Ma che male ho fatto? Appena posso collaboro con la comunità, perché mi succede questo? É una così brava persona, perché...?) è una forte tentazione.

Le prove della vita arrivano per tutti. E Dio si avvicina sempre con la sua presenza liberatrice ascoltando il grido e il clamore di chi soffre, di chi è ammalato, emarginato, escluso. Dio è presente in mezzo a noi, vivo, attuante con la sua bontà gratuita che consola, illumina, da forza.

Di questo, però, ci rendiamo conto solo con gli occhi della fede. É la fede che ci fa vedere la presenza liberatrice di Dio.

É quello che è successo al profeta Elia. Si aspettava che Dio si facesse presente con qualcosa di forte, visibile, impressionante, meraviglioso. Solo la fede purificata gli permette incontrare Dio nella brezza leggera che soffia in una situazione così dura come quella che sta vivendo.

É stata l'esperienza di Ursula e di molti credenti che in quegli anni oscuri hanno incontrato la presenza del Signore nella quotidianità della vita, negli occhi impauriti dei figli che bisognava proteggere, nella mano amica di chi offriva qualche piccolo conforto, nella fede profonda nel fedele Dio della Vita.

Concludeva Ursula: «La notte che fuggimmo dal paese perché non si poteva proprio più resistere, lasciammo tutto, casa, campi, animali... avevamo con noi solo i vestiti che indossavamo. Nel cammino qualcuno si rese conto che avevamo lasciato nella chiesa la Croce patrona e protettrice del paese. Dopo averne parlato un gruppo di noi, rischiando la vita, decise di ritornare a prenderla. Se il Signore non ci aveva abbandonato in quegli anni difficili, come potevamo farlo noi ora in cerca di un futuro con speranza?»

DOMANDE O PROVOCAZIONI?

  • La mia fede mi aiuta a riconoscere la presenza del Signore nella quotidianità della vita?

  • La tentazione del desiderio di un evento miracoloso che mi eviti responsabilità e sofferenze si fa presente in me? Como posso trasformarla in atteggiamento di abbandono fiducioso nelle mani del Dio della vita assumendo insieme le mie responsabilità?

 

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