TESTO Sono io, non temete
Paolo Curtaz Ti racconto la Parola
XIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (11/08/2002)
Vangelo: Mt 14,22-33

[Dopo che la folla ebbe mangiato], 22subito Gesù costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, finché non avesse congedato la folla. 23Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo.
24La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. 25Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. 26Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: «È un fantasma!» e gridarono dalla paura. 27Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». 28Pietro allora gli rispose: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque». 29Ed egli disse: «Vieni!». Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. 30Ma, vedendo che il vento era forte, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». 31E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?». 32Appena saliti sulla barca, il vento cessò. 33Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Davvero tu sei Figlio di Dio!».
Pietro, Elia, il popolo di Israele: oggi la Parola ci presenta questi tre modelli di discepolato con cui confrontarci nella concretezza della nostra vita di fede.
Il Vangelo, anzitutto: Gesù fugge il delirio della folla che lo vuole fare re, dopo la moltiplicazione dei pani e dei pesci, e si rifugia nella preghiera, da solo, sulla montagna. Gesù non brama un messianismo ridondante e celebrativo, non vuole una fede - che spesse volte ahimé è la nostra - basata sui miracoli. Pietro e gli altri devono nuovamente attraversare il lago di Tiberiade e lì, sul fare del mattino, vengono investiti dalla tempesta.
Questo racconto è un'icona della Chiesa: aspettando il ritorno del Maestro, anche noi dobbiamo attraversare la Storia su di una fragile barca sbalottata dai venti. Ma è quasi mattino, fratelli. Questi duemila interminabili anni di cristianesimo hanno rappresentato una dura prova di fede per i cristiani: spesse volte dimenticando il Vangelo, spesse volte travolti dalle persecuzioni (che continuano!) i discepoli hanno assaporato e assaporano la fatica della fede vivendo - come diceva sant'Agostino - tra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio.
Come ciascuno di noi d'altronde: appena la Parola gettata dal seminatore attecchisce, pur convivendo con la zizzania che tende a soffocarla, ci mettiamo alla ricerca della perla preziosa nel segno della condivisione e - state certi - arriva una qualche prova nella fede. Una sofferenza, una stanchezza, una depressione: il vento gelido del dubbio, l'assenza del Maestro (sì esiste, ho incontrato il suo sguardo di compassione, ma ora è assente) ci allontanano dalla fede, ci restituiscono la vortice dell'inesorabile quotidianità, ci rendono pagani.
Così Elia, dopo avere sfidato la regina Gezabele e il suo culto idolatrico a Baal, deve fuggire per non essere ucciso e vorrebbe morire, così Pietro e gli altri turbati dal vento contrario, stanchi di remare, così noi, fragili discepoli chiamati a sopravvivere dentro una modernità che anestetizza la nostra interiorità e ci allontana dal sé e dal vero.
Ma proprio quando l'onda è alta su di noi, proprio quando ci sembra di essere sconfitti, qualcosa accade. Gesù cammina sulle acque tempestose e ci ripete: "coraggio, sono io, non abbiate paura". Pietro si tuffa', anche lui vuole camminare sulle acque, sulle difficoltà: si fida, muove i primi passi e poi miseramente sprofonda nel lago agitato. E Gesù, garbatamente, lo prende per mano.
Davanti ai dubbi di fede, davanti alle tempeste della vita, il discepolo è chiamato, come Elia, ad ascoltare nel suo cuore il silenzioso mormorio di Dio, recuperando quella dimensione assoluta che è il silenzio, la preghiera, l'ascolto meditato del grande e quieto oceano della presenza di Dio.
Troppo pagano è diventato il nostro cristianesimo, troppo efficentista, troppo rumoroso. Urge riscoprire un modo nuovo di pregare e meditare, un modo che attinga all'immensa tradizione cristiana usando parole nuove, adatte alla sfida attuale. Come Pietro, il discepolo è chiamato a gettarsi nelle braccia di Dio, sul serio. La fede è fidarsi, la fede è slancio nel vuoto, la fede è concreto abbandono.
Ma troppe volte la nostra è una fede condizionata, tentennante, dubitativa: lasciamo aperta una via di fuga, convinti ma non troppo. E allora beviamo. Quando la smetteremo di tenere in mano il timone della nostra barca invece di affidarlo a Dio? Fidati, affidati, confida, diffida delle tue (piccole e fragili) sicurezze.
Infine Paolo ci indica la fedeltà di Israele come modello: una fedeltà da imitare, una custodia della Parola che ammiriamo, fedeltà conservata con tenacia nella continua tempesta che Israele ha attraversato (e noi cristiani pure a bucargli la barca!). I nostri fratelli maggiori, amati, vivono ancora e sempre della fiducia nel Dio dell'Alleanza, di generazione in generazione. Animo, dunque, altri hanno già vissuto ciò che viviamo, altri hanno già attraversato il mare in tempesta.