TESTO Commento su Isaia. 60, 13-14; Romani 9, 21-26; Matteo. 15, 21-28
don Raffaello Ciccone Acli Provinciali Milano, Monza e Brianza
V domenica dopo l'Epifania (Anno B) (05/02/2012)
Vangelo: Is 60, 13-14; Rm 9, 21-26; Mt 15, 21-28
21Partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidone. 22Ed ecco, una donna cananea, che veniva da quella regione, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio». 23Ma egli non le rivolse neppure una parola. Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!». 24Egli rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele». 25Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: «Signore, aiutami!». 26Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». 27«È vero, Signore – disse la donna –, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». 28Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita.
Lettura del profeta Isaia. 60, 13-14
Il profeta, nella prospettiva di un popolo che è tornato con grandi sogni e con molta povertà a Gerusalemme da Babilonia, mostra un'abbondanza inimmaginabile poiché intravvede nel futuro la ricostruzione del tempio, splendido, con i materiali migliori che provengono dal legno del Libano, con un popolo di supplicanti che manifesta la devozione al Signore di Gerusalemme, pur essendo i figli degli oppressori di un tempo.
Si scorgono sogni di ricchezza e di splendore e il futuro della città si allarga verso una ricca città cosmopolita per tutti popoli della terra.
Il tempio di Gerusalemme è la casa di Dio, dove il Signore appoggia i suoi piedi (riferimento all'Arca dell'Alleanza, nel Santo dei santi, considerato lo sgabello di Dio. Ora l'Arca non c'è più, ma continua ad esistere il luogo dove Dio si degna di essere presente.). Il tempio è anche il luogo verso cui si dirige il grande pellegrinaggio: vi è sparita ogni forma di violenza e tutti coloro che lo frequentano vivono una dimensione di consapevolezza, di responsabilità e di umile richiesta di perdono. Questi atteggiamenti sono i migliori segni della pace per tutti, anche per i popoli pagani: gli stranieri, che riconoscono il Signore.
Il capitolo 60 inizia con queste parole: "Alzati, rivestiti di luce perché viene la tua luce".
Il brano che abbiamo letto fa riferimento al legno del Libano, prezioso e profumato, che Salomone aveva utilizzato per foderare le pareti del tempio. In tal modo il tempio, ricostruito dopo la distruzione, esprime lo splendore del popolo e di Dio, adorato in un abbraccio unico, anche dai figli degli oppressori.
I capitoli del "terzo Isaia" (così viene identificato questo profeta anonimo che, tuttavia, ha mantenuto il nome del grande profeta Isaia, vissuto circa tre secoli prima) sono particolarmente aperti all'incontro tra i popoli, probabilmente perché l'esperienza dei deportati a Babilonia li ha fatti incontrare anche con popolazioni pacifiche ed ha fatto loro intravedere che anche questi popoli possono entrare nella prospettiva del culto ebraico. Difatti, sempre nel testo di Isaia (56,6-7): «Gli stranieri, che hanno aderito al Signore per servirlo e per amare il nome del Signore, e per essere suoi servi, quanti si guardano dal profanare il sabato e restano fermi nella mia alleanza, li condurrò sul mio monte santo e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera. I loro olocausti e i loro sacrifici saranno graditi sul mio altare, perché la mia casa si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli».
Questo testo è presente nel linguaggio di Gesù quando scaccia i mercanti dal Tempio di Gerusalemme (Matteo 21,13).
Lettera di san Paolo apostolo ai Romani 9, 21-26.
Paolo si pone il grande interrogativo del rifiuto della fede in Gesù e proprio su questo si sfoga con i fratelli e le sorelle cristiane di Roma. Questo abbandono gli procura una grande sofferenza che egli vive quotidianamente attraverso l'esperienza di apostolo: "Provo un grande dolore e una sofferenza continua... vorrei essere io stesso maledetto, separato da Cristo a favore dei miei fratelli... essi possiedono la promessa con tutti i doni che Dio ha fatto. Dovrebbero perciò credere in Gesù e raggiungere la salvezza, ma questo popolo, nel suo insieme, non ha creduto in Gesù" (9,3-5).
Paolo si rende conto che sta tentando di sondare la libertà di Dio. Egli sa che Dio è sovranamente indipendente e che l'uomo deve inchinarsi davanti al suo mistero. Ognuno di noi è come un vaso e il vasaio ha diverse prospettive e diversi scopi da raggiungere nel suo lavoro. Perciò alcuni vasi sono d'ornamento e altri sono di uso comune. Non dobbiamo dimenticare la libertà di Dio né, d'altra parte, dobbiamo dimenticare, comunque, la nostra responsabilità per cui noi possiamo arrivare a rovinare la nostra vita. Ci verrebbe voglia d'immaginare, perciò, che esistano vasi eletti e vasi distrutti qualora non corrispondano al progetto di Dio. E invece ci sono vasi eletti e vasi tollerati. Nella prospettiva della volontà di Dio esiste la misericordia ed esiste, perciò, il progetto della conversione per tutte le genti. Poi, ma alla fine, esiste anche il progetto di una conversione del popolo d'Israele, grazie alla immutabilità del suo disegno di salvezza (cap 11).
Anche in questo testo si fa riferimento alla prospettiva di una salvezza che viene offerta a tutti i popoli della terra e di questa prospettiva Paolo sta facendone un'esperienza, per quanto piccola, nelle sue comunità. Egli scopre che i frutti dello Spirito si sviluppano con coerenza e con soddisfazione, dimostrando così che la venuta di Gesù compie il progetto di Dio dell'Antica Alleanza, aprendosi a tutti popoli della terra.
Certamente noi credenti sappiamo di essere stati amati dal Signore per la fede che Egli ci ha comunicato. Ma ci ha chiamati, anche, ad essere responsabili di questo messaggio attraverso un annuncio completamente nuovo dei valori e della realtà che Lui stesso vive e che propone a noi.
I cristiani hanno, così, un compito esemplare di testimonianza, tanto più importante quanto più possono offrirla in gratuità e in generosità semplice e profonda Dice il profeta Osea che tutti noi siamo figli di Dio, ed è una cosa enorme. Per la nostra testimonianza mostriamo agli altri che anche per loro esiste sia la possibilità di essere figli e anche da loro il Signore si aspetta che maturino uno stile di gioia che i figli di Dio devono avere nel mondo.
Lettura del Vangelo secondo Matteo. 15, 21-28
Questo vangelo rispecchia il problema dell'accoglienza dei pagani nella fede che Gesù predica. La comunità cristiana farà molta fatica ad accogliere i pagani, pur in diverse circostanze e in diversi territori. Matteo vuole allora aiutare ad afferrare alcuni aspetti che già sono presenti nell'opera di Gesù, anche se Gesù non li ha sviluppati a sufficienza poiché egli sentiva che la sua missione era, prima di tutto, una missione nel popolo di Dio. Nella istruzione che Gesù, inizialmente, propone ai 12, ricordata da Matteo, dice: "(10, 5-6) Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dai samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d'Israele".
E tuttavia, quando incontra un pagano che dimostra fede, Gesù ne resta sempre meravigliato, come nel caso del centurione di Cafàrnao. "In verità vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande". E aggiunge: "Io vi dico che molti verranno dall'oriente e dall'occidente e si siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, mentre i figli del regno saranno cacciati fuori nelle tenebre" (Matteo 8,10-12).
Nel capitolo 15, immediatamente prima dell'incontro con la donna cananea, Matteo ricorda una pesante polemica sulla tradizione dei farisei (15,1-20). Si tratta del cibo puro e impuro e Gesù, negando una differenza tra cibi puri e impuri, coglie immediatamente l'occasione per capovolgere le preoccupazioni dei saggi d'Israele sul problema delle discriminazioni e la responsabilità sul male. "Non capite che tutto ciò che entra nella bocca passa nel ventre e viene gettato in una fogna. E invece ciò che esce dalla bocca proviene dal cuore: questo rende impuro l'uomo?" (15,17-18). Non ci sono cibi puri o impuri, non ci sono persone pure o impure. E' il nostro cuore la sede delle scelte e dal cuore sorgono, modificate, le azioni pure o impure.
Questo dialogo suppone anche la convinzione di un orizzonte nuovo anche nei riguardi dei popoli pagani. Questa riflessione, inaudita, viene contestata dalle persone dotte e pie, scandalizzate da una rivoluzione che Gesù suggerisce e che le disorienta fortemente. Gesù deve fuggire dal territorio d'Israele e si dirige verso i territori pagani, la zona di Tiro e Sidone, che però non raggiunge ma resta ai confini. Proprio provenendo da questa terra, una donna cananea cerca aiuto, probabilmente da tempo informata della presenza di questo guaritore che dimostra, ancor più, una grande misericordia e un profondo rapporto con Dio.
I dialoghi sono due. Il primo è con i discepoli che si preoccupano delle grida e delle insistenze di questa donna che li stordisce e li mette a disagio. "Mandala via", dicono (e non "esaudiscila" come nella traduzione, E' lo stesso verbo che è stato usato quando, dopo la predicazione di Gesù, a sera ormai, e prima della condivisione del pane spezzato, i discepoli si preoccupano che la gente non abbia da mangiare. Essi dicono a Gesù: "Manda via la folla perché vada nei villaggi a comprarsi il cibo" 14,15).
Gesù motiva il suo silenzio e noncuranza, dicendo loro di essere stato inviato alle pecore perdute della casa d'Israele. Esiste un compito prioritario: l'elezione di Israele. Egli deve mantenere ed assolvere le promesse di Dio al suo popolo.
Ma questa donna, che chiama Gesù una volta "Figlio di Davide", cioè Messia, lo chiama tre volte "Signore". In lei si fa strada una fiducia religiosa grandissima Il secondo dialogo è con la cananea e Gesù si comporta con durezza, come un buon Israelita credente. Non le rivolge la parola, non si degna di uno sguardo.
Alle insistenze della donna, Gesù si fa ancora più duro. La chiama "cane", addolcito con "cagnolino" (nel testo) in confronto agli Israeliti che sono le "pecore perdute". Il cane è considerato un animale impuro e così vengono chiamati i pagani. Ma la donna ribatte: "Non voglio il pane, ma le briciole che cadono. (Non voglio entrare nella sala del banchetto come ospite di onore ma almeno aspetto quello che avanza)". E' umile e tenace. Riconosce che ci sono persone scelte ed altre non scelte. Riconosce la libertà di Dio e di Gesù, ma, in sé, intuisce che il Signore sa essere misericordioso. Al di là delle apparenze, essa è entrata nella logica del Signore più di tutti gli altri.
Gesù, finalmente, smette di recitare la parte dell'Israelita "integro" per ricordare che il rapporto con Dio si gioca sulla fede e quindi sulla libertà che si apre. E questa donna ha una tale fede che meraviglia anche Gesù. Con la fede vengono esauditi il desiderio, la richiesta di guarigione e l'incontro con il Signore-Messia.
Gli avanzi, le briciole, sono già pronti nelle 12 ceste, quando, alla fine, dopo aver sfamato la folla, Gesù ha comandato di raccoglierli. Ce n'è per tutti, per il nuovo popolo di Dio del mondo intero costituita dalla Parola di Gesù e annunciato dai credenti della sua Chiesa(Mt 14,20). «Pietà di me»". E' il "kyrie eleison" che poi è entrato nella liturgia della Chiesa.
Così l'evangelista, nella crescita della fede della donna, vuole educare la crescita della fede dei discepoli. Gesù non ha compiuto alcuna azione, Gesù non ha cacciato il demonio. La fede della donna è ciò che caccia il demonio. in questo brano l'evangelista vuole educare la comunità cristiana ad aprirsi ai pagani e far comprendere che i pagani non vanno dominati secondo la tradizione del Messia figlio di Davide, ma vanno serviti secondo la novità del Messia Figlio di Dio
Riporto una riflessione di don Tonio Dell'Olio, Responsabile internazionale di Libera, e fa parte di Pax Cristi, particolarmente impegnato per la pace. E' un testo interessantissimo e lo ringraziamo. 18 gennaio 2012 -
"Pensare il mondo come la tua casa. Quindi ripensare il mondo. Sentirti dappertutto una parte del tutto. Non essere estraneo a nessuno e non trattare nessuno da estraneo perché non ci sono barbari da cui non poter apprendere un nuovo alfabeto. Non ci sono persone tanto lontane da non poter sentire vicine. Prossimi. Sono tutti prossimi. Che vale la pena incontrare e riconoscere. Persino amare. Magari col fascino delle loro stravaganze e dei loro cibi piccantissimi. Un mondo di profumi e di albe sui mari o dall'oblò di un aereo. E ridere di gusto dinanzi all'apparente somiglianza di vocaboli che hanno tutt'altro significato.
Vale la pena abitare la casa del mondo. Perché il mondo è una casa. Talvolta affollata e talvolta vuota. Dipende da te e da quanto tu ti senti figlio di questa vita. Che in definitiva è un viaggio con tanti passeggeri. Viandanti e pellegrini in cerca, come te, di abitare il mondo con la leggerezza degli ospiti e non con la sicurezza di chi sa dov'è l'interruttore della luce. Per questo vale la pena annotare nomi sul taccuino dell'anima e riconoscere il mondo in uno sguardo che non è il tuo".