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TESTO Nostalgia di profeti

don Alberto Brignoli   Amici di Pongo

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IV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (29/01/2012)

Vangelo: Mc 1,21-28 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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21Giunsero a Cafàrnao e subito Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, insegnava. 22Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi. 23Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, 24dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». 25E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». 26E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. 27Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!». 28La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea.

L'Antico Testamento era tempo di profeti, e Israele la loro terra. La storia di questo popolo è sempre stata ricca di elementi profetici, di qualcuno che parlava "in nome di Dio", che per conto di lui "proferiva parole": prevalentemente parole di saggezza, ma anche parole di condanna, di denuncia, di stimolo e - perché no? - di misericordia.

E stando al brano di Deuteronomio, la profezia nasce in Israele da un'esigenza del popolo: ovvero, dalla necessità di avere qualcuno che facesse da intermediario tra Dio e il popolo stesso. Siamo nel contesto dell'Esodo, dell'uscita dalla schiavitù d'Egitto, contesto nel quale il popolo d'Israele si sta abituando a comunicare con Dio in forma "diretta".

Senz'altro, Mosè è l'intermediario tra Dio e il popolo, perché lui parla faccia a faccia con Dio come nessun altro in Israele: ma lo stesso popolo ha l'opportunità (a dire il vero non sempre molto opportuna) di vedere i prodigi di Dio direttamente con i propri occhi. A partire dalle piaghe d'Egitto fino alle teofanie del Sinai, passando attraverso il Mar Rosso diviso in due parti, Israele sperimenta direttamente la grandezza della potenza di Dio.

E non sempre questo suscita fascino e ammirazione. L'esperienza di Dio è sempre anche un'esperienza tremenda, terrificante, soprattutto quando si manifesta in maniera violenta e inattesa. Ecco perché il popolo d'Israele, viste le continue manifestazioni di Dio, ha paura di esserne colpito e di morirne, e chiede a Dio attraverso Mosè di avere un "profeta", ovvero qualcuno che manifesta loro Dio ma al tempo stesso li salva dalla sua ira.

E Dio mantiene la promessa: darà loro un profeta, a patto che questo profeta sia sempre onesto e parli sempre in nome di Dio, e non a nome suo personale. Ovvero, il profeta non dovrà approfittare della funzione affidatagli da Dio con la presunzione di comunicare al popolo parole sue; pena, addirittura, la sua morte.

Sì, perché il profeta è colui che parla le parole di Dio, non le sue. Il profeta è colui che annuncia una salvezza che non è la sua, una giustizia che non è la sua, una vittoria che non è la sua. Sembrerebbe una persona debole, uno che non ha attributi da avanzare, uno che conta poco: in realtà, la sua potenza è quella di colui che viene a compiere opere grandi e a dire parole forti in nome di un altro. Scaccerà anche i demoni, tanto è forte: ma sarà sempre in nome di Dio. Se prova ad approfittare di questo, con Dio ha chiuso.

Abbiamo nostalgia, oggi di profeti. La società, il mondo, la cultura, la religione, la Chiesa, hanno nostalgia di profeti. Anche questa terra latinoamericana da cui sto scrivendo, teatro di lotte e di rivoluzioni animate da spirito di giustizia e sete di verità, oggi sembra aver perso la profezia.

Un qualunquismo imperante si è impadronito di noi al punto che non abbiamo più voglia di gridare, di annunciare, di enunciare, di denunciare, di dire la verità di fronte alle ingiustizie, di parlare chiaro laddove nessuno parla chiaro. Tant'è, nulla cambia: chi ha i soldi ha sempre comandato, comanda, e sempre comanderà. E allora rimaniamo assuefatti a questo modo di essere, di vivere e di fare, e non ci importa più nulla di parlare chiaro, magari in nome di Dio, per mostrare un modello differente.

Ma il Cristo del vangelo di Marco non ci sta. Il profeta potente in parole ed opere, Gesù di Nazareth, ha ancora la forza di dire "Taci" alla voce dell'ingiustizia; ha ancora il potere di ordinare "esci da costui" alla violenza che alberga nel cuore dell'uomo; ha ancora il desiderio di mostrarci che un mondo diverso è possibile.

Sì, abbiamo nostalgia - e non è solo una constatazione, ma un'esortazione - di uomini forti e profetici che dicano chiare le cose di Dio. Ce ne sono pochi, quasi sono scomparsi, in questo mondo appiattito di fronte all'ingiustizia: ma non per questo noi non continueremo a sperare, e ad invocare, come il popolo con Mosè, che Dio ci mandi qualcuno che parli a lui in nostro favore e che ponga la parola "fine" a un mondo fatto di immobile, statica e dannosa conformazione con il nulla che lo circonda.

Dio dei profeti, se ci sei ancora, infiammaci con il fuoco della tua verità. E che la terra bruci non per l'ira del tuo sguardo, ma per la fiamma ardente della tua parola di giustizia.

 

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