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TESTO Ma la sua pace è differente

don Cristiano Mauri   La bottega del vasaio

Ottava del Natale del Signore - Circoncisione del Signore (01/01/2012)

Vangelo: Lc 2,18-21 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 2,18-21

18Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. 19Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. 20I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.

21Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo.

Ma la sua pace è differente. (Omelia del 1.1.12)

«Vi lascio la pace. Vi do la mia pace. Non come la da il mondo la do a voi».

Dopo aver lavato i piedi ai discepoli, all'interno di un lungo discorso dal fortissimo sapore pasquale, Gesù accenna, quasi en passant, al tema della pace. Si parla di partenza e ritorno di Gesù, di "casa del Padre", di preghiera, dono dello Spirito, di fede, obbedienza e compimento; in questo clima marcatamente pasquale risuona la promessa di Gesù.

Promessa e rivelazione allo stesso tempo: la pace per i cristiani è dono, dono pasquale.

Che la pace sia dono da ricevere da Cristo, mi domando se sia una consapevolezza acquisita.

Mi pare più consueto l'approccio alla pace quale esclusivo prodotto degli sforzi degli uomini.

Anche la beatitudine degli operatori di pace viene spesso interpretata in tal senso: la pace consiste in qualcosa da operare, costruire, realizzare, custodire. D'altronde è anche un'idea facile da cavalcare e molto redditizia dal punto di vista dell'immagine, benché si finisca facilmente col pagare il prezzo della retorica pacifista, ormai tipica degli ambienti cristiani. Pensarsi come i paladini della pace in un mondo naturalmente portato alla guerra e alla violenza, per un certo tipo di cristianesimo è però prospettiva appetitosa. E dunque, avanti! All'assalto dei guerrafondai (!).

Eppure le Beatitudini esordiscono con la povertà di spirito, atteggiamento di chi sa di non sapere fare nulla - tantomeno la pace - e di dover ricevere ogni cosa dalle mani di Dio; di chi è consapevole che, anche qualora sapesse realizzare qualcosa, esso sarebbe solo in virtù del sostegno divino. Ma la parte del debole e del povero è difficile da vestire, dunque: protagonismo estremo.

Il resto non è che inevitabile conseguenza di un tale approccio: l'assenza di pace dipenderebbe da un insufficiente impegno o da non adeguate tecniche di pacificazione; ci si concentra sui metodi, sui mezzi, sulle capacità; si arriva a delle incredibili deformazioni come la pace imposta, la pace conquistata, la pace negoziata.

Persino l'impianto educativo nei confronti delle generazioni crescenti diventa conseguente a un tale approccio alla pace. Si tratta di modellare - o addestrare?!? - degli operatori di pace, dunque ecco la noiosa teoria di esortazioni generiche alla tolleranza, alla convivenza rispettosa, alla non violenza, alla fratellanza universale. Al massimo, per chi osa di più, si parla di perdono, comprensione, pazienza. La parte del leone la fanno i forti accenti sull'impegno personale, sull'esemplarità di vita, sulla perseveranza, la forza di volontà e chi più ne ha più ne metta. E la differenza cristiana che fine fa?

E il "dono della pace" cade nel vuoto. Troppo impegnati noi a prepararci a farla, siamo impreparati ad accoglierla.

Persino nelle parole del Santo Padre nell'omelia di oggi trovo un atteggiamento simile (il discorso dell'8 dicembre invece era stato di taglio molto differente):

I ragazzi e le ragazze di oggi crescono in un mondo che è diventato, per così dire, più piccolo, dove i contatti tra le differenti culture e tradizioni, anche se non sempre diretti, sono costanti. Per loro, oggi più che mai, è indispensabile imparare il valore e il metodo della convivenza pacifica, del rispetto reciproco, del dialogo e della comprensione. ... Si tratta essenzialmente di aiutare i bambini, i ragazzi, gli adolescenti, a sviluppare una personalità che unisca un profondo senso della giustizia con il rispetto dell'altro, con la capacità di affrontare i conflitti senza prepotenza, con la forza interiore di testimoniare il bene anche quando costa sacrificio, con il perdono e la riconciliazione. Così potranno diventare uomini e donne veramente pacifici e costruttori di pace. (Benedetto XVI Omelia del 01.01.12)

Tutti a prepararsi come si dovesse affrontare una grande prova, una sfida enorme, una battaglia da non perdere assolutamente, la "battaglia della pace", come l'esito positivo di un grande concerto di buone azioni.

Ma la pace di Cristo è differente.

Perché la pace non si fa ma si riceve, da Dio, la sua provenienza non è di queste parti.

La pace che si costruisce da queste parti è fragile, a termine. Solo una pausa tra una guerra e l'altra, grande o piccola che sia. Abbiamo bisogno di un'altra pace e operatori di pace sono coloro che invocano, attendono, ricevono e condividono il dono di una pace altra. Se è vero che questa accoglienza del dono si attua in concreti atteggiamenti pacifici, partire da questi rischia di trasformarci in volontaristi della pace, autoreferenziali.

Educare a ricevere da Dio. Questo è il primo passo per educare alla pace.

Perché è Lui che ci insegna il Mistero Pasquale. Ecco il secondo aspetto di cui non c'è consapevolezza.

La pace di Cristo è impregnata di Pasqua. Croce, Resurrezione, Assunzione, Pentecoste.

La pace cristiana ha in sé tutti i significati, i valori, le risorse e le potenze dell'evento di Pasqua.

Un amore che abbraccia il rifiuto generando una vita nuova, tanto per chi si è offerto che per chi lo aveva rifiutato: pace di Croce e Resurrezione. Una speranza di armonia che non si esaurisce nell'orizzonte terreno ma attende un compimento ultimo: pace dall'Assunzione. Una comunione che non è patteggiamento di confini che preservi dall'incontro onde evitare lo scontro, ma un creare ponti di cura paziente, sull'esempio del samaritano, perché l'altro sia sempre "storia di me": pace di Pentecoste.

La pace, annunciata e ricevuta da Cristo deve essere - come ogni atteggiamento del cristiano - anzitutto annuncio della Pasqua.

Per questo non è come quella che da il mondo. Per questo la sua pace è differente.

Per essere operatori di pace occorre necessariamente "fare esperienza di Pasqua".

Solo così l'operare la pace non sarà il combattere la "guerra della pace", ma l'annuncio di una pace che è altra e di cui lo stesso operatore non è dispensatore, ma a sua volta fruitore.

Non si opera la pace se non si è strettamente legati a Cristo, nostra pace.

Se per l'anno nuovo potessimo concentrarci su questo - stringerci a Cristo -, basterebbe e ne avanzerebbe.

 

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