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TESTO Commento su Isaia 51, 1-6; Seconda Corinzi 2, 14-16b; Giovanni 5, 33-39

don Raffaello Ciccone   Acli Provinciali Milano, Monza e Brianza

III domenica T. Avvento (Anno B) (27/11/2011)

Vangelo: Is 51, 1-6; 2Cor 2, 14-16b; Gv 5, 33-39 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 5,33-39

33Voi avete inviato dei messaggeri a Giovanni ed egli ha dato testimonianza alla verità. 34Io non ricevo testimonianza da un uomo; ma vi dico queste cose perché siate salvati. 35Egli era la lampada che arde e risplende, e voi solo per un momento avete voluto rallegrarvi alla sua luce.

36Io però ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni: le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato. 37E anche il Padre, che mi ha mandato, ha dato testimonianza di me. Ma voi non avete mai ascoltato la sua voce né avete mai visto il suo volto, 38e la sua parola non rimane in voi; infatti non credete a colui che egli ha mandato. 39Voi scrutate le Scritture, pensando di avere in esse la vita eterna: sono proprio esse che danno testimonianza di me.

Lettura del profeta Isaia. 51, 1-6
Il profeta, detto Secondo Isaia, che scrive queste pagine per le popolazioni della Giudea che rimpiangono Gerusalemme dall'esilio, sente di dover portare speranza alle famiglie desolate dalla lontananza, soggette a Babilonia sotto il comando del re pagano e della popolazione ostile. Se il popolo non è tipicamente schiavo, tuttavia è bloccato in terra straniera e non ha prospettive nuove se non la fine e la morte anche della propria gente.
Il profeta ha compassione di questo travaglio sordo e continuo del cuore dei suoi compatrioti e, prospettando coraggiosamente una visione sul futuro di Israele, incoraggia il popolo ad "ascoltare": un verbo prezioso e di dialogo, qui ricordato almeno tre volte nei primi 8 versetti del capitolo 51.
E' un verbo che Dio usa per farsi capire e per fare intendere la propria singolarità: «Ascolta, Israele: YHWH è il nostro Dio, YHWH solo». E' l'affermazione della fede e, nello stesso tempo, la preghiera di ogni ebreo da millenni (detta Šema): "Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze" (Deut 6,4-5).
Ma "ascolta" è anche la preghiera del fedele che vuol far sentire i propri lamenti e le proprie suppliche a Dio per essere esaudito. Salomone prega nella Dedicazione del tempio: (1Re8,30) "Ascolta la supplica del tuo servo e del tuo popolo Israele, quando pregheranno in questo luogo. Ascoltali nel luogo della tua dimora, in cielo; ascolta e perdona!"
L'orecchio e quindi la bocca sono fondamentali per il propri rapporto con Dio e quindi nelle relazioni con il prossimo.
L'ascoltare suppone un reciproco, alternante silenzio: è attenzione, attesa, fiducia; è aspettare per capire. E il silenzio può sembrare vuoto o eco senza percezione, o solitudine.
Ma è produttivo, è carico di novità. Infatti non ci si scavalca nelle parole, non si urla contemporaneamente la propria fatica o delusione. Quando ci si comporta così, non avviene niente, non ci si capisce. Non c'è fiducia e non c'è speranza.
L'ascolto, qui, apre alla memoria, alla memoria della propria radice e quindi "della cava da cui ogni figlio del popolo di Dio è stato estratto", pietra solida da costruzione: e il Signore promette la continuità, facendo memoria di Abramo e Sara: una famiglia senza figli e quindi sterile. Eppure, ascolta! Dio fa sorgere da loro una progenie e dal deserto un giardino come quello splendido della creazione.
Dio è più grande di qualunque potenza e di qualunque essere umano. Così, dopo aver probabilmente pronunciato la strofa di un inno (v.3), il profeta garantisce, non solo al suo popolo, ma anche a tutte le nazioni, il meglio della giustizia e della pace per tutti: "la legge che procede da Lui, il diritto come luce dei popoli, la giustizia di Dio che è vicina, il potere (le braccia) di Dio come giudizio dei popoli".
E se il tempo logorerà il cielo e la terra e la morte sembrerà che faccia da padrona, la giustizia e la salvezza di Dio dureranno per sempre.
Seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi. 2, 14-16b
Questa seconda lettera ai Corinti, che va collegata con la prima per il suo intreccio di amicizie di attenzione, di responsabilità, di fatiche, è anche una delle più personali di Paolo dove vengono affrontati gravi problemi della Chiesa di Corinto e i molti malintesi di cui Paolo si lamenta. Tuttavia, nelle pagine di questa lettera, Paolo, accusato e respinto dai suoi, o almeno da alcuni, è fermamente deciso a difendere la sua autorità apostolica.
In tutta coscienza "è particolarmente verso di voi" Paolo garantisce che si è comportato "con la santità è la sincerità che vengono da Dio, e non con la sapienza della carne ma con la grazia di Dio" (v 1,12).
Con la fiducia, perciò, e la riconoscenza propria da offrire a Dio che lo ha chiamato alla vittoria di Cristo, Paolo fa ricorso a due immagini che si intersecano tra loro: Cristo trionfa nel mondo come un imperatore che ha conquistato e vinto i nemici. Nel suo itinerario che si svolge tra ali di folla osannanti, il vincitore passa in una scia di profumi che proviene da bracieri che venivano accesi lungo la strada per l'occasione. Le essenze più diverse e forti inebriavano gli spettatori che si sentivano, perciò, esaltati da questo profumo inebriante di gioia.
Paolo sente, a buon diritto, di essere riconoscente perché al seguito di Gesù vincitore che ha vinto la morte, attraverso il suo vangelo, vince ovunque l'ignoranza e sparge "il profumo di Cristo". A questo trionfo Paolo, con il suo apostolato, sente di collaborare con Gesù, portando "il profumo della sua conoscenza di Gesù nel mondo intero" (v 14). E ricorda che questa diffusione avviene anche attraverso l'esperienza e la testimonianza degli altri discepoli, "per mezzo nostro". C'è una bellissima attestazione di consapevolezza e di grazia: "noi siamo infatti davanti a Dio il profumo di Cristo". Ma come Cristo è stato il segno di contraddizione nel mondo (Lc 2,34), e pietra d'inciampo (Mt 21,42-44), così anche noi, con il nostro comportamento coerente, possiamo diventare anche pietra d'inciampo laddove il messaggio di Gesù è rifiutato con lucidità, e può diventare "odore di morte per la morte".
Lettura del Vangelo secondo Giovanni. 5, 33-39
Gesù è entrato in una dura polemica con i Giudei. L'occasione è la guarigione che ha offerto ad un paralitico che da 38 anni era malato e che, sotto i portici "alla piscina, chiamata in ebraico Betzada, presso le porte delle pecore" (5,2), era in permanenza desideroso di potersi buttare nell'acqua quando "un angelo, ad intervalli scendeva nella piscina ed agitava l'acqua. Il primo ad entrarvi dopo l'agitazione dell'acqua, guariva".
La guarigione avviene nello stupore di tutti ma anche nella indignazione, tanto più che il paralitico, ora guarito, porta sulle spalle il suo pagliericcio per tornare a casa. Frastornato ma anche consapevole che chi lo ha guarito, senza guardare il calendario della settimana, ha una autorevolezza che supera la stessa legge del sabato, diventa il centro di un contenzioso tra la liberazione di una persona e il rispetto della legge. Certamente il mondo delle autorità religiose resta confuso ma inizia una discussione pesantissima e feroce: non se la sente di porre in dubbio il valore della legge in confronto alla guarigione. E Gesù non mitiga per niente il contrasto, anzi risponde: "Il Padre mio opera sempre e anch'io opero" (5,17). Esplodono ancor più l'odio e la volontà di vendetta poiché: "i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo, perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio (5,18).
Gesù sente di dover rendere una sua testimonianza poiché il passaggio oltre la legge è troppo forte. D'altra parte ogni profeta doveva poter giustificare l'autenticità della sua missione da parte di Dio.
Gesù elenca le diverse «testimonianze» in suo favore, che provengono tutte da Dio (v 32): quella del Battista (vv 33-35), quella dei miracoli (v 36), quella del Padre (vv 37-38) e quella delle Scritture (v 39).
Giovanni stesso, "che è solo un uomo ed è solo lampada", ha anticipato la testimonianza per loro, dichiarandosi inviato a preparare la strada, testimone veritiero a cui i Giudei hanno creduto. Ma poi ci sono da parte di Dio direttamente le opere di salvezza dei malati e dei poveri che ritrovano fiducia e libertà, Le attestazioni del Padre e le Scritture, che i giudei ritengono fonte di vita, testimoniano a suo favore.
La presenza di Dio è quella della misericordia, dell'attenzione al suo popolo, della vicinanza verso il mondo dei poveri e dei disperati. Questo è lo stile di Dio che si manifesta in Gesù. Il mondo delle autorità ebraiche non sa vedere la sofferenza del popolo, mitizza la legge e la fa diventare angoscia e oppressione. Così non si rallegra della liberazione dalla malattia e dal male. Non può capire. Infatti, malgrado queste testimonianze, i Giudei rifiutano di credere in Gesù (vv 40-44); così essi saranno accusati dallo stesso Mosè, nel quale pongono la loro speranza (vv 45-47).
Quando Gesù sarà salito al Padre suo, lo Spirito renderà testimonianza. Scenderà sul suo popolo e sui discepoli i quali riprenderanno l'attenzione e i sentimenti di Gesù per il popolo in cui vivono.
Noi siamo gli ascoltatori della parola di Gesù e i testimoni.
E' difficile avere lo stesso stile di Gesù ogni giorno, poiché richiede intelligenza e profondità, fedeltà e silenzio, oltre, ovviamente, la grazia di Dio. L'udire, spesso, non ci sembra sufficiente e ci fidiamo di più del vedere, dell'illusione, dell'impressione, della vanità come il mondo greco che privilegiava la vista. Il mondo ebraico e quindi cristiano privilegiano l'ascolto: "Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!» (Gv 20,29).
Il Signore ci ha dato i cinque sensi per metterci in relazione e in comunione con la realtà, ma siamo incoraggiati all'ascolto, all'attesa operosa, cambiando nella speranza e nella libertà questo nostro mondo.

 

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