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TESTO Vivere l'oggi protesi al domani

padre Gian Franco Scarpitta   S. Vito Equense

XXXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (13/11/2011)

Vangelo: Mt 25,14-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: 14Avverrà infatti come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. 15A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito 16colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. 17Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. 18Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. 19Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. 20Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. 21“Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. 22Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. 23“Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. 24Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. 25Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. 26Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; 27avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. 28Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. 29Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. 30E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.

Forma breve (Mt 25,14-15.19-21):

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: 14Avverrà infatti come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. 15A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. 19Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. 20Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. 21“Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.

Vivere in pienezza il presente senza l'assillo continuo del futuro è giusto e conveniente, poiché l'oggi è tutto quello che abbiamo a disposizione e, come dice lo stesso Signore, "ad ogni giorno basta la sua pena" (Mt 6, 25 - 34). Vivere il presente, senza l'assillo e lo sgomento del futuro, che del resto non possiamo anticipare. Questo non vuol dire tuttavia che l'avvenire vada del tutto escluso e perso di vista. Noi tendiamo ad un traguardo, abbiamo di fronte un obiettivo ultimo e aspettiamo il compimento di ogni speranza momentanea. Dio è il nostro presente e anche l'oggi quotidiano, ma in Cristo egli si rende per noi anche Avvenire, meta a cui tendere e appuntamento finale e un articolo della nostra fede ci invita all'attesa del suo avvento glorioso finale, nell'evento che secondo un Dogma antico viene definito il "Giudizio Universale".

Cosicché, mentre si vive il presente, ci si dispone al futuro e ci si prepara all'incontro con Dio che non si realizzerà comunque in un impatto violento.

Ci domandiamo: come occorre prepararci all'incontro finale con il Signore, in modo da non trovarci impreparati? Certamente con le buone opere, con l'esercizio della carità secondo una fede sincera e un cuore elevato e purificato dalla conversione, ma nonostante questa certezza evangelica ci interroghiamo (giustamente) in che misura e con quale criterio vanno vissute al presente fede, speranza e carità in vista del Giudizio definitivo.

Eccoci alla risposta, suscitata dalla parabola odierna e dal triste epilogo della storia di questo negligente servitore. Essa ci invita a considerare innanzitutto questo: come diceva Einstein, Dio non gioca a dadi nell'ordine della natura, e possiamo affermare che questo assioma valga ancor meno con gli uomini: nessuno di noi è nato per caso né è affidato alla fatalità e al destino fortuito e nessuno sin dalla sua comparsa al mondo è abbandonato a se stesso o affidato al caso. Ciascuno è piuttosto stato pensato e posto in essere secondo un determinato progetto che non ha paragoni rispetto agli altri; ciascuno è unico perché nella sua individualità differisce da tutti gli altri e possiede caratteristiche e talenti che altri non hanno, per cui non vale proprio la pena sforzarsi inutilmente di conformarci ai modelli di vita altrui. Al contrario, orgogliosi delle nostre differenze, vanno evidenzi proprio gli aspetti unici e singolari di noi stessi. In tal modo scopriamo che Colui che ci ha posto in essere ci ha strutturati ciascuno secondo carismi e talenti che ci contraddistinguono rispetto agli altri. Ognuno di noi si distingue per i propri doni e per le proprie caratteristiche ed è logico che debba preoccuparsi di coltivare soltanto quelle con il massimo della volontà. Dio ci ha dato anche intelligenza sufficiente e capacità di sfruttare al meglio i nostri talenti ciascuno secondo le proprie forze, concedendoci requisiti adeguati a mettere a frutto le nostre risorse personali. Accanto ai talenti e ai doni divini, ognuno ha ricevuto anche la capacità di attuarli e di metterli al servizio degli altri, cosicché qualsiasi negligenza è ingiustificata: nulla di più costruttivo per noi stessi e per gli altri se non vivere e mettere a frutti gli strumenti e le caratteristiche che possediamo. Non ha motivo di elogio alcuno pertanto l'atteggiamento del servo negligente e fannullone che agisce non in virtù del dono ricevuto ma semplicemente perché succube della paura del padrone: egli aveva tutte le possibilità e tutti i mezzi per far fruttare il suo talento in modo proporzionato alle proprie capacità; sarebbe bastato che recasse in banca il suo talento in modo da ottenere gli interessi; non gli si chiedevano azioni o competenze particolari, ma solamente la buona disposizione ad agire secondo le sue concrete capacità. Ha mostrato invece negligenza e refrattarietà, ma soprattutto, come appena accennato, ha dimostrato un vano servilismo nei confronti del padrone e non ha agito secondo una piena avvertenza etica personale. Se avesse operato non mosso dalla paura, ma dal personale convincimento, avrebbe trovato egli stesso la soluzione al problema fruttando anche molto più di quanto ci si aspettava. La scorsa domenica si parlava della vigilanza interpretando questa come amore che conduce alla carità e alla concretezza operativa; oggi siamo ulteriormente spronati alla vigilanza considerando come siamo stati resi oggetti dell'amore di Dio che ha disposto tutto affinché possiamo essere vigilanti e ogni benvolere dipende esclusivamente da noi affinché al momento dell'incontro finale con Cristo nostro Futuro non ci colga impreparati e a mani vuote, ma ci ottenga copiosi e ingenti frutti da recare al Signore che tutto provvede affinché noi procacciamo il meglio di noi stessi. Il Cristo della gloria che nel Giudizio porrà fine al male per il trionfo del bene è lo stesso Signore che cammina con noi tutti i giorni, che siamo soliti incontrare nella fede come presenza certa e garante, che non delude le nostre attese e la vita presente in Lui è già un saggio dell'incontro ultimo che con lui ci si prospetta. La fede, la speranza, la carità, l'apertura di cuore e la prassi costante del vangelo sono elementi che dischiudono la certezza della speranza, come anticipo del Giudizio.

Impegnarci al massimo affinché si sfrutti il proprio potenziale e non quello di altri mettendo a frutto le proprie risorse per l'edificazione del mondo è del resto anche garanzia di costruzione di un mondo più equo e appropriato dove ciascuno resti al posto che gli compete e nel quale ciascuno viva in funzione degli altri oltre che di se stesso senza che nessuno tenda a prevaricare l'altro e contribuisce così anche alla produttività e all'efficienza del mondo che è alla base di ogni progresso.

Sarebbe l'inizio del nostro reale successo se ognuno di noi iniziasse a scrutare in fondo se stesso per enumerare i propri talenti e le qualità in positivo, per essere pronto a sfruttare solo quelli in modo razionale ed equilibrato. Per orientarci nel presente all'incontro finale con il Signore della gloria.

 

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