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TESTO Commento su Samuele. 7, 1-6. 8-9. 12-14a. 16-17; Colossesi. 1, 9b-14;Giovanni. 18, 33c-37

don Raffaello Ciccone   Acli Provinciali Milano, Monza e Brianza

Domenica di Cristo Re (Anno A) (06/11/2011)

Vangelo: Sam 7, 1-6. 8-9. 12-14a. 16-17; Col 1, 9b-14;Gv 18, 33c-37 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 18,33c-37

33Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: «Sei tu il re dei Giudei?». 34Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». 35Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». 36Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». 37Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».

Lettura del secondo libro di Samuele. 7, 1-6. 8-9. 12-14a. 16-17
Nel secondo libro di Samuele il racconto sulla monarchia si fa ampio e grandioso. Ormai Davide, re di Giuda dopo la morte di Saul, presto diventa re d'Israele. Si stabilizza "la sua casa (la famiglia)" e la sua gloria si espande mentre si allargano i confini.
Così il re fedele capisce che è sotto la protezione del Signore e tutto ciò che ha avuto viene dalle mani di Dio. Cerca, allora, di provvedere in qualche modo a sdebitarsi; cosi può mostrare gratitudine di fronte alla protezione profonda e ineguagliabile di Dio. Egli ragiona da uomo del suo tempo: "Io ho una casa. Ora, anche Dio avrà una casa, cioè un tempio degno della divina magnificenza (ma ovviamente mostrerà anche la magnificenza del re)".
A questo punto tutti sono d'accordo, anche il profeta che ritiene ovvio, nel suo buon senso, che si onori Dio con un tempio splendido. E' ciò che esiste in ogni regno: un tempio splendido al Dio protettore.
Ma Dio stesso interviene e cosi il profeta diventa il portavoce di una parola nuova: "Sarò Io, Javhè, a costruirti una casa". Sarà una discendenza di persone vive, una famiglia nei secoli, una presenza nella storia del mondo. "Te l'ho forse chiesto io di farmi una casa? lo sono andato vagando in una tenda. Io abito il tempo poiché ho abitato con il popolo nel deserto con Mosè, ti ho preso dal pascolo perché tu fossi principe sul mio popolo; e quando i tuoi giorni saranno compiuti, io farò sorgere dopo di te il tuo discendente che uscirà da te".
Il Signore rifiuta che ci si possa sdebitare con Lui poiché egli non ne ha bisogno. Tutto ciò che ciascuno fa è un aiuto per il proprio crescere, per la propria vita. E' un capire meglio se stessi e scoprire il dono del Signore.
Pretendere di sdebitarsi con Dio ci fa pensare ad un rapporto "commerciale", di pretesa giustizia e di autonomia che uccide l'amore e la riconoscenza. Gesù si ribellerà proprio a questa mentalità di un certo mondo di "giusti" del suo tempo, spesso identificati con alcune figure di farisei. Non a caso ci sono i riferimenti al passato lontano (il tempo dei Giudici) e al passato vicino (la scelta di Davide divenuto re). Il proprio passato dovrebbe garantire una lucidità sufficiente per credere che Dio continuerà, nella sua generosità, a mantenere la sua promessa. Il primo discendente sarà Salomone e poi via via un seguito di re. Questa promessa è chiamata da Davide "un'Alleanza eterna, determinata in tutto e ben custodita, stipulata con la sua casa"(23,5). Le interruzioni, le sconfitte, le deportazioni successive, nei secoli, - diranno i profeti - saranno frutto di infedeltà all'Alleanza, ma non faranno cancellare la promessa. Ci sarà un erede universale, il Messia, nella discendenza di Davide. Sarà presentato come figlio, germoglio di Davide (Is. 9,6-7; 11,1; Lc.1,32).
Lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi. 1, 9b-14
La comunità di Colosse, a 200 km da Efeso, è stata fondata da Epafra, discepolo di Paolo, nominato all'inizio della lettera (v7) "nostro caro compagno del ministero". Questa lettera è stata inviata, probabilmente, durante il periodo in cui Paolo evangelizza ad Efeso (54-57 d.C.) ed è ora, temporaneamente, in carcere.
Si stanno diffondendo delle strane teorie sugli spiriti celesti, immaginati come potenze cosmiche e astrali, intermediari tra l'uomo e Dio. Gesù si riduce ad uno di questi intermediari. Epafra ricorre a Paolo perché intervenga a chiarire la fede cristiana. Il testo, che leggiamo oggi e che precede immediatamente il famoso inno Cristologico (1,15-20), esprime e prepara, nello stesso tempo, il contenuto della fede di questa piccola comunità e suggerisce uno stile di vita semplice e coerente con le parole di Gesù.
Così, nella introduzione, mentre esprime i suoi sentimenti di amicizia e di ringraziamento, Paolo traccia il profilo di una comunità cristiana che regge la propria vocazione tra i pagani della città in cui vivono.
-E' necessaria - dice Paolo- "una piena conoscenza della volontà di Dio con ogni sapienza e intelligenza spirituale". E' l'intenzione che l'apostolo garantisce essere al vertice della preghiera per la comunità di Colosse.

-Dalla conoscenza viene un comportamento "degno del Signore".

-Questa consapevolezza e questo comportamento debbono avere, come finalità, un unico obiettivo: piacere in tutto al Signore.
-Tutto ciò porta " frutto in ogni opera buona" e fa crescere sempre più nella conoscenza di Dio.
Si può dire che Paolo ha delineato l'impianto di una coerenza cristiana: la conoscenza fedele, un comportamento etico conseguente, lo sviluppo di frutti buoni tra le opere buone e quindi il ritorno ad una più profonda crescita della conoscenza di Dio. Paolo riconosce che, nella comunità di Colosse, questo sviluppo si è incominciato. Perciò chiude il cerchio di maturazione che prosegue nel tempo e incoraggia al ringraziamento perché il Padre "vi ha resi capaci di partecipare alla sorte dei santi nella luce".
È Lui che ci ha liberati e ci ha trasferiti "nel regno del Figlio del suo amore": splendida sintesi di ciò che è Gesù. E qui Paolo, ricordando il perdono dei peccati che Gesù ha portato e quindi la redenzione, ci ricorda che quest'itinerario nuovo è possibile perché siamo stati liberati dal peccato e del male. A questo punto l'inno sul mistero di Gesù si sviluppa e apre gli orizzonti della pienezza della fede. Gesù infatti "é l'immagine del Dio invisibile, uomo-Dio, redentore, colui che svela il Padre, primogenito delle creature".
Lettura del Vangelo secondo Giovanni. 18, 33c-37
Il Vangelo di Giovanni ci propone il dialogo tra Gesù e Pilato, al centro della passione. E tutto avviene con il più grande spregio per un ebreo: essere consegnato nelle mani del potere pagano dai responsabili religiosi d'Israele.
Il racconto si sviluppa a due livelli :
- sul piano storico Gesù è giudicato e Pilato è il giudice
- sul piano della fede è invece Gesù che conduce il dialogo, chiarisce e amplia, mostra e supera la logica del potere con una regalità nuova.
"Sei il re dei Giudei?" Gesù, prima di rispondere, chiede qual è il contenuto di questa domanda.
- Per Pilato è di natura politica: re di questo mondo.

- Per i Giudei è di natura messianica: regalità religiosa, promessa e attesa da Dio per secoli per un progetto di popolo che via via si è andato delineando, ma che è fondamentalmente aperto ad una prospettiva politica di dominio. Riferita a Gesù è un assurdo.
- Per i piccoli e i poveri che si sono alimentati sulla parola dei profeti, la regalità è in linea universale e spirituale piuttosto che militare e nazionalista. Ma sono pochi ad accettarla.
Pilato risponde che la sua interpretazione è solo politica e non ha altre letture. Chi glielo ha consegnato, probabilmente, vede altro ma a lui non interessa. "Sono forse Giudeo? " La responsabilità della "consegna" ricade sulle autorità religiose che lo hanno accusato. Gesù chiarisce la sua regalità:
- È di origine divina ("Sono venuto nel mondo").
- Ha finalità di cambiamento della mentalità del mondo: la regalità di Gesù è testimonianza e ricerca di ciò che conta davvero:"per rendere testimonianza alla verità".
Gesù porta la verità perché il cuore dell'uomo è desideroso di cogliere il senso delle cose, i rapporti schietti delle relazioni, le alleanze coerenti per ciò che vale. Tutto questo stringe alleanze e costituisce un popolo che può permettersi di avere un re che viene dal cielo e che solo può regnare. La verità c'è, è stata offerta, ma non si intravede, si manipola e si equivoca con essa.
Solo quest'uomo, imprigionato e disarmato, è capace di cercare la verità e manifestarla "testimoniandola". Per scelta è un re senza armi e senza eserciti. Solo la non-violenza rende credibile la verità. Egli regna con la Parola, la rivelazione e l'amore, non con la paura.
Il Regno e la sua regalità sono sempre da fare: si costituiscono per accettazione, per scelta di libertà, per accoglienza di una parola pronunciata e ascoltata.
Infatti non ci sono eserciti a difendere dal male, a riscattare dalla ingiustizia, a sottrarre dal potere violento che inganna.
Gesù è libero e solo e sa che quella che sta percorrendo, complici inconsapevoli coloro che lo stanno tradendo, è una manifestazione drammatica di amore e di libertà, di trasformazione e di giustizia nuova.

Mettendo mano al potere sulla terra, mentre ci sembra assurdo che possa comportarsi così, contraddice ai nostri desideri di giustizia, alle nostre fragili volontà di vendetta, alle nostre attese di rivincita poiché il nostro unico criterio che sappia affrontare il male è quello del castigo e della vittoria che schiaccia ed umilia.
Nessuno capisce. Non capisce Pilano che intravede riletture sconcertanti e pericolosissime sui criteri di potenza e di impero, né capiscono i capi religiosi che immaginano Gesù come un "castigato da Dio per colpe che senz'altro porta con sé, anche se non conosciute, né capiscono gli apostoli e i suoi poiché hanno udito certamente le parole di Gesù ma le hanno valutate come desideri, suggerimenti sapienti e pii, prospettive per persone deboli, disarmate e povere, parole di consolazione e rassegnazione.
Eppure la testimonianza è concreta: occorre non dimenticare che, in greco, testimonianza è "martyria-martirio". E il popolo di Dio, pur faticosamente, ha imparato ad accettare i nuovi criteri con sempre maggior accoglienza e stima (i numerosissimi volontari, nei modi più diversi, fanno rifiorire l'umano e così allargano i confini della civiltà dell'amore), L'amore, come dono di sé, chiama al martirio, perché lì e solo lì, come per Cristo in croce, ci sono la gloria, e la bellezza dell'umano. Lì si volgono,, da sempre, gli sguardi di tutti.
La testimonianza passa, anche e particolarmente,, attraverso l'impegno politico e l'impegno sindacale: sono i due ambiti privilegiati per il bene comune, dove vanno rivisti i criteri del potere, ridimensionati sulle esigenze allargate dei piccoli e dei poveri.
Ogni tempo deve rivedersi alla luce di questo Vangelo e chiedersi come ritradurre le ideologie anche religiose, come vanno purificate le attese, come vanno ripensate le speranze e le solidarietà.

 

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