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TESTO Missione: tutta un'altra umanità

don Alberto Brignoli   Amici di Pongo

XXXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (30/10/2011)

Vangelo: Mt 23,1-12 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 23,1-12

In quel tempo, 1Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli 2dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. 3Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. 4Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. 5Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; 6si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, 7dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente.

8Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. 9E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. 10E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. 11Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; 12chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato.

Il mondo ha sempre assistito a scene di parzialità e di doppie misure nell'amministrazione della giustizia. Corruzione e amministrazione della giustizia, da che mondo è mondo, vanno pari passo.

Non c'è potente che accetti di essere sottoposto a regolare giudizio come tutti gli altri comuni mortali: cerca quasi sempre di corrompere, e laddove non vi riesce chiede perlomeno che gli siano usati dei riguardi, e che ciò che avviene per gli altri in tempi molto dilazionati, a lui venga fatto con rapidità e in maniera assolutamente indolore. Perché lui non si ritiene come gli altri. Lui non è figlio dello stesso Dio di cui tutti siamo figli; lui non è stato creato dallo stesso Dio da cui noi siamo stati creati.

Sono parole dure, quelle che oggi ascoltiamo uscire dalla bocca del profeta Malachia: parole che non lasciano scampo ai potenti, a coloro che credendosi superiori agli altri si permettono di schiacciare tutto e tutti al loro passaggio. Queste parole a me, personalmente, provocano un senso di grande vergogna e di imbarazzo, perché Malachia (e Dio, per mezzo di lui) le rivolge ai sacerdoti, dai quali di certo ci si aspetterebbe tutto, ma non atteggiamenti di prepotenza, di abiezione, di corruzione, di favoritismo. In definitiva, non può un sacerdote pretendere di essere per gli altri una guida (così come dal suo ministero è richiesto) se lui stesso non si lascia prima guidare da quella Legge di Dio della quale si gloria di professarsi maestro e difensore.

Episodi di incoerenza di vita tra coloro che hanno consacrato la loro vita al Signore, al Vangelo, ai fratelli, sono sotto gli occhi di tutti e sono notizia quotidiana, spesso buttata di proposito in pasto ai "media" più accaniti, spesso nascosta nel silenzio delle piccole vicende provinciali e paesane delle nostre strade e delle nostre piazze. E non mi riferisco solo o soprattutto a ciò che riguarda la sfera dell'affettività, che tranne i casi in cui è sintomo di forte devianza e di perversione, alla fine è la sfera più umanamente comprensibile dell'incoerenza degli uomini e delle donne consacrati a Dio.

Ciò che più spaventa è quello che Malachia definisce con questa frase: "Voi vi siete allontanati dalla retta via e siete stati d'inciampo a molti con il vostro insegnamento". In definitiva: la cosa che più stride nell'incoerenza delle persone che si consacrano a Dio non sono le loro debolezze umane, ma il fatto che queste spesso si ripercuotono negativamente e in maniera ineludibile sul cammino di fede delle persone a cui essi si sono dedicati, soprattutto dei più deboli e fragili.

Allora, non saranno mai le debolezze umane in sé a far problema. Quelle ci stanno, purché le si riconosca come tali e si faccia il possibile da una parte per essere più forti, dall'altra parte per essere misericordiosi con chiunque faccia fatica. Anzi, chi ci vuole bene apprezza ancora di più la nostra sensibilità di fronte alle altrui e alle nostre stesse debolezze. Ciò che fa problema è quando queste debolezze concorrono a rovinare il cammino di fede dei più deboli. Spesso ci allontaniamo dalla Legge di Dio, come ogni uomo, e questo è un male perdonabile: ma non riconoscere questo, e a volte giustificarlo in base a nostre malsane teorie, porta quasi sempre a creare nelle persone che fanno già fatica a riconoscere il cammino di Dio un disorientamento totale, di cui siamo assolutamente responsabili.

Non so cosa di peggio ci possa essere per un pastore se non disorientare il suo gregge facendolo finire in dirupo, e cercando al tempo stesso di mettersi in salvo... Da qui, tutte le invettive di Gesù verso scribi e farisei, di cui il brano di vangelo di oggi è solo una piccola espressione, e nemmeno delle più forbite. Qui in realtà Gesù si mantiene calmo: esorta addirittura a seguire le parole di scribi e farisei, che rimangono valide perché dette in nome di Dio. Ma chiede esplicitamente di non imitare l'ipocrisia dei loro comportamenti.

Del resto, che ci sia ipocrisia in essi non è certo una novità: desiderare onori e poltrone è tipico di quei potenti che attraverso la loro posizione si sentono autorizzati a trattare gli altri come delle nullità. Invece, siamo tutti sulla stessa barca: religiosi, religiose, laici, sacerdoti, consacrati, appartenenti a movimenti, gente iscritta a gruppi di preghiera, volontari, gente comune, praticanti e non...noi siamo tutti fratelli, siamo tutti alunni. Il Maestro è uno solo: il Padre, pure. Signori del cielo e della terra ce ne sono ben pochi, anzi, anche qui, uno solo: a che serve comportarsi da signori, per stravolgere a nostro favore l'autorità che ci è stata conferita come servizio?

Ma voglio concludere il mese missionario con l'omaggio a un'altra umanità. Un omaggio a quelli "veri", a quelli che padroni della fede degli altri non si sentiranno mai. A quelli che non scandalizzeranno mai i piccoli, perché sono da essi tanto amati che qualsiasi limite viene loro perdonato. È Paolo che parla di loro, descrivendo il suo servizio a Tessalonica.

Ascoltando, alla fine, queste parole, torniamo a respirare speranza perché ci danno motivo di credere che esistano ancora tante donne e tanti uomini innamorati di Dio e dell'umanità, i quali forse non fanno notizia come coloro che provocano scandali, ma di certo costruiscono passo dopo passo il cammino del Regno: amorevoli...come una madre che nutre e ha cura delle proprie creature; affezionati al punto da dare agli uomini non solo il Vangelo di Dio, ma la loro stessa vita, perché erano loro diventati cari; lavorando notte e giorno per non essere di peso ad alcuno.

Ed invece di vantarsi del bene fatto, rendono grazie a Dio continuamente, perché avendo da loro ricevuto la parola divina della predicazione l'hanno accolta non quale parola di uomini, ma com'è veramente, quale Parola di Dio.

È di un'umanità vera, come questa, che la Chiesa anche oggi continua a sentire il bisogno.

 

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