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TESTO L'umiltà al centro di tutto

padre Gian Franco Scarpitta   S. Vito Equense

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XXXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (30/10/2011)

Vangelo: Mt 23,1-12 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 23,1-12

In quel tempo, 1Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli 2dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. 3Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. 4Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. 5Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; 6si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, 7dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente.

8Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. 9E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. 10E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. 11Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; 12chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato.

Alla luce di quanto suggerisce la Scrittura, ci domandiamo: Qual è la posizione di coloro che nella Chiesa sono preposti all'annuncio della Parola di Dio e al servizio dei fratelli? Quale grado di importanza rivestono al cospetto degli altri battezzati i ministri della Parola e dell'altare, come devono atteggiarsi e come noi dobbiamo atteggiarci nei loro confronti?

Se scrutiamo con attenzione il Nuovo Testamento, va rilevato che i vescovi e i sacerdoti, proprio in ragione del mandato loro affidato da Cristo, non vanno assolutamente sottovalutati da parte del popolo e non è vero che non meritino le dovute attenzioni e particolari onori: Paolo esorta espressamente a che "i presbiteri, che esercitano bene la presidenza siano trattati con doppio onore, soprattutto quelli che si affaticano nella predicazione e nell'insegnamento" (1Tm 4, 17). Essi infatti hanno deciso di consacrare per intero la loro vita per la causa dell'annuncio della Parola e (sempre che svolgano con cura il proprio ministero) sono zelanti nello studio della Scrittura, nella meditazione e nel continuo aggiornamento teologico anche in relazione ai mutamenti della condizione odierna. Sempre che sia veramente genuino e trasparente, lo stesso amore per la Scrittura e per la predicazione dovrebbe essere motivo di ammirazione da parte nostra ancor prima delle loro specifiche funzioni amministrative e di guida all'interno della comunità, perché è appunto a quello che essi sono stati preposti in prima istanza: a predicare e insegnare la sana dottrina del Signore ed è lodevole quando i ministri svolgono tale servizio innamorandosi essi stessi della Parola che predicano e del messaggio che annunciano. Poche volte si considera quanto i ministri debbano dedicare il loro tempo alla formazione personale e alla Bibbia ai fini di accrescere il proprio servizio verso la gente, non di rado anche con grave sacrificio del tempo a loro disposizione e ancora più raramente si considera che proprio l'amore alla Scrittura rende il sacerdote attento alla comunità ecclesiale nelle mansioni ministeriali che essa comporta, in primo luogo il ministero dei Sacramenti, poi l'esercizio della guida spirituale, della carità e la gestione dell'intera chiesa locale ad essi affidata.

La cura pastorale delle anime comporta spesso impegno, abnegazione e dedizione solo ascoltare la gente al confessionale richiede pazienza, umiltà, attenzione e generosità da conciliare sempre con la verità rivelata da difendere; la sola celebrazione dell'Eucarestia, soprattutto per quel che concerne la liturgia della Parola e l'omelia, ci costa a volte non poche critiche, illazioni, giudizi anche su come si legge un Canone; la posizione da assumere inesorabilmente in nome della verità insegnata dalla Chiesa comporta il distacco e lo sdegno da parte di quanti vorrebbero interpretare il Vangelo a modo proprio e non di rado, appunto per difendere la genuinità della Parola di Dio dalle preferenze soggettive di tanta gente, un parroco si trova a dover lottare da solo contro tutti. Solo, con la propria formazione personale teologica che adesso cozza con le comuni preferenze del popolo, senza il sostegno morale di un confratello o almeno di qualcuno che ti incoraggi. E' la condizione in cui si trovavano già gli apostoli e i profeti, ma è anche quella in cui non di rado ci si trova anche noi sacerdoti. Cosicché il succitato apostolo Paolo esorta tutti i fedeli al rispetto franco e disinteressato nei riguardi di coloro che hanno abbandonato anche i propri affetti e la loro casa per il servizio di Dio e del prossimo, specialmente quando si dedicano con zelo e senza riserve al servizio del popolo di Dio, innanzitutto nella predicazione e nell'insegnamento, quindi nella dispensazione della grazia di Dio e nella guida spirituale. E' chiaro che in tutto questo essi sono chiamati anche alla carità operosa, ma i presbiteri vanno apprezzati già per quanto essi sono e fanno.

Il dovuto onore verso coloro che predicano, pascono e insegnano non legittima tuttavia nessuno dei ministri all'altezzosità e alla protervia, né tantomeno all'abuso della propria posizione per il predominio indiscriminato sui fedeli. Ottenere onore e rispetto al contrario è di sprone ad accrescere nei ministri l'umiltà e lo spirito di amore e di servizio con cui prodigarsi verso il popolo da loro affidato, omettendo ogni atto di superbia e di tracotanza.

. Chi predica agli altri si fa carico infatti di una responsabilità enorme per cui rende se stesso destinatario primario del messaggio che sta annunciando; di conseguenza è tenuto ad essere esempio effettivo e vivente della Parola che insegna, essendo stato egli stesso educato ed elevato dal messaggio che ha prima accolto e meditato e di cui ora diventa latore. Ciò suggerisce che egli metta in pratica la Parola di Dio non spadroneggiando sul gregge, ma facendosi suo modello e suo servitore (1 Pt 5, 3), principalmente in quella virtù che è alla base della carità e di ogni altra disposizione evangelica: l'umiltà.

Nell'insegnamento evangelico odierno essa comporta la fuga da ogni falsità, doppiezza e ipocrisia e la coerenza con quanto si sta proferendo al prossimo; comporta la fuga dalla vanagloria e dalla presunzione e richiede che si eviti ogni forma di autoesaltazione e di imposizione sulla massa.

. E' desolante notare che non pochi presbiteri siano attratti dalla cosiddetta "carriera ecclesiastica" e sedotti dall'immediata prospettiva dell'episcopato e delle cariche di prestigio, ruoli che in realtà richiedono il massimo dell'umiltà e dell'integrità di vita. Vi sono dei casi in cui ci si preoccupa delle mete ambiziose piuttosto che prodigarsi nel ministero sincero, umile e attento nei confronti della gente e ad alimentare una simile, stupida, tendenza contribuisce anche l'uso purtroppo invalso nella Chiesa di titoli onorifici quali Monsignore, Eccellenza ed Eminenza, che non hanno parte alcuna nelle pagine della Scrittura e non erano certo prediletti dal Signore. Non possiamo negare che nella Chiesa, che adesso lecca le proprie ferite delle armi anticlericali, vi sia stata e vi sia tuttora una certa vena di incoerenza e di ipocrisia.

Riguardo all'appellativo "padre", in verità lo si potrebbe anche concepire nell'ordine della "paternità spirituale" per la quale anche Paolo si definisce "padre e pedagogo" poiché partorisce nella fede i fratelli (1Cor 4,14-16; 1Ts 2, 7-14): il sacerdote è chiamato "padre" perché esercita una paternità che in senso spirituale gli deriva dal suo ministero di guida e di indirizzo spirituale che non pregiudica in se stessa l'umiltà e non contraddice il monito che Gesù rivolge agli interlocutori di questa pagina evangelica. A condizione tuttavia che tale paternità non diventi un pretesto di predominio e di preponderanza sui fratelli e che venga difesa e mantenuta la suddetta umiltà e disposizione al servizio. E' infatti l'attitudine cattiva e presuntuosa che Gesù condanna nei fariseismo di chi vuole farsi chiamare "padre", non tanto il titolo il sé medesimo e non è affatto smentito che la vera paternità appartiene al solo Dio vivente. Non trovano invece giustificazione titoli impropri come quelli appena ricordati o altri atteggiamenti di autoesaltazione e di superbia per nulla ottemperano al Vangelo dell'umiltà e della bontà di spirito.

Servire il gregge e collocarsi dalla parte delle singole pecore è il ruolo irrinunciabile di noi pastori e conformarsi con coloro ai quali annunciamo la Parola, collocandoci nella loro stessa dimensione e assumendo i loro stessi problemi è la reale linearità di coerenza con la divina chiamata al ministero sacerdotale. Innamorarci noi per primi della Parola di Dio, assumerla fino in fondo e farne l'unica ragione di vita equivale a vivere della Parola medesima e ad entusiasmare anche gli altri verso di essa attraverso il nostro atteggiamento sincero e disinvolto di carità che trasuda dall'umiltà. Predicare la Parola comporta essercene convinti ed entusiasmati al punto da affascinare gli altri con l'esemplarità di vita.

Diversamente correremo il rischio descritto dal profeta Malachia, di essere "spregevoli e abietti davanti a tutto il popolo" con la conseguenza che non saremo più noi a guidare le pecorelle ma che diventeremo noi stessi il loro gregge.

 

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