TESTO La speranza che non delude
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XXXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (16/11/2003)
Vangelo: Mc 13,24-32

«24In quei giorni, dopo quella tribolazione,
il sole si oscurerà,
la luna non darà più la sua luce,
25le stelle cadranno dal cielo
e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte.
26Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. 27Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo.
28Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. 29Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte.
30In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. 31Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.
32Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre».
"Ricordati di Gesù Cristo, risuscitato dai morti". È il mistero fondamentale del vangelo. Su di esso riposa la nostra fede e si fonda la nostra speranza. Cristo è entrato nella gloria del Padre. Egli ritornerà alla fine dei tempi per prendere con sé gli eletti e introdurli nel regno eterno della pace e dell'amore: il regno del Padre. Questa è la speranza cristiana.
- Una speranza che trasfigura tutto. Si dovrebbe vivere in una continua angoscia, constatando che la morte si aggira intorno a noi e che dopo aver colpito tante persone che ci sono care, tende il suo agguato anche a noi per precipitarci nella tomba. Ma dopo che Cristo ha trionfato sulla morte con la sua risurrezione, un'immensa speranza è nata nel cuore dell'uomo, che trasfigura la vita presente con le sue pene, i suoi drammi, le sue prove, i suoi lutti. "Se ci rattrista la certezza di dover morire - canta il prefazio dei defunti - ci consoli la promessa dell'immortalità futura".
- Una speranza che libera. Essa spezza le catene che ci legano ai beni effimeri di quaggiù; essa ci libera dal morboso attaccamento a noi stessi e alle cose della terra, comunque si chiamino: superbia, vanità, cupidigia, avarizia, gelosia. Essa ci permette così di aprirci agli altri col cuore pieno di bontà e le mani protese nella carità e nell'amore.
Forte di questa fede, il cristiano porta in se stesso un ottimismo a tutta prova; egli sa che vive e che muore per un futuro glorioso.