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TESTO Commento su Giobbe 1, 13-21; Seconda Timoteo 2, 6-15; Luca 17, 7-10

don Raffaello Ciccone   Acli Provinciali Milano, Monza e Brianza

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Vangelo: Gb 1, 13-21; 2Tim 2, 6-15; Lc 17, 7-10 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Lettura del libro di Giobbe 1, 13-21
La storia di Giobbe nasce dagli infiniti interrogativi che il problema del male porta
all'umanità. Ci troviamo di fronte ad una ricerca drammatica sul senso dell'esistenza, sull'amore di Dio, e sulla fedeltà verso di Lui.
Ambientata in un paese favoloso, anche per quel tempo, dell'Antico Medio Oriente, il protagonista, Giobbe, un fedele di Dio, prima ricco e felice, e poi improvvisamente colpito dalla sventura, perde i figli, i beni, la salute. Sarà poi afflitto da una piaga maligna, sarà cacciato anche di casa dalla moglie e si rifugerà su un mucchio di immondizie e di cenere. La moglie, stanca di quest'uomo per la sua fedeltà incrollabile, urlerà, alla fine: "Rimani ancora saldo nella tua integrità? Maledici Dio e muori!" (2,9).
L'introduzione presenta due realtà e tre diversi personaggi: in cielo, in una grande assemblea si ritrovano, insieme, Dio con la sua corte e Satan. Sulla terra c'è Giobbe.
L'autore biblico vuol far capire che la storia viene mossa da Dio, ma sulla terra non si intravede nessuna spiegazione comprensibile.
Nell'assemblea dei santi Dio fa l'elogio del suo fedele Giobbe e Satan scommette con Dio: "Se non stesse così bene, non manterrebbe questa fedeltà. Mettilo alla prova e vedrai che cederà".
Quello che abbiamo letto oggi è il racconto della prima prova drammatica, in cui avviene tutta la tragedia possibile. Giobbe non ha più un avvenire, non ha più figli, da ricco, potente e sereno, di colpo si ritrova totalmente abbandonato, povero e solo.
La vicenda si svolge nella terra di Uz: non è territorio di Israele e quindi Giobbe è uno straniero.
In tal modo la rivelazione al popolo d'Israele si completa poiché si indica che Dio è attento ed è presente nel mondo. E Giobbe è una figura universale: l'esperienza di Giobbe appartiene ad ogni uomo, in ogni tempo e luogo.
Giobbe "è onesto e giusto, rifiuta il male perché rispetta Dio" in una corretta relazione con il prossimo e con Dio stesso.
Per questo motivo tale personaggio non ha motivo di essere castigato ed essere corretto.
Satan (personaggio misterioso; un rivale di Dio ed un rivale dell'uomo) lancia la prima sfida.
Il racconto rispecchia la realtà delle corti orientali: c'è sempre un Satan che mette scompiglio e sospetto nella corte, ma Dio è contento di Giobbe e si fida di lui.
Il sospetto che viene suggerito è sulla religiosità interessata. Satan allude: "Si benedice Dio finché va bene, ma se si soffre o si sente Dio lontano, allora lo si abbandona e lo si fa responsabile ingiusto del male che subiamo".
Ma, dice questo prologo, l'uomo è libero e Dio scommette sull'uomo. Così permette la prova, mentre Giobbe non sa nulla di tutto questo.
Nonostante le 4 disgrazie ( notare il numero 4 che è il numero della terra), Giobbe reagisce, mostrando che la sua religiosità non è interessata: "Nudo sono venuto al mondo e nudo ne uscirò. il Signore dà, il Signore toglie, il Signore sia benedetto". La scommessa finirà, alla fine, con una benedizione.
Seconda lettera di san Paolo apostolo a Timoteo 2, 6-15
Paolo scrive, mentre è in carcere a Roma, al discepolo Timoteo. Ha già sperimentato un processo in cui si è trovato solo e nessuno ha testimoniato per lui, poiché i suoi conoscenti erano impauriti del proprio futuro (2 Tim 4,16). Anzi Paolo sa pure che molti lo hanno abbandonato o si sono addirittura schierati contro. Così i pagani lo considerano un malfattore e gli ebrei un traditore mentre nessuno lo ha difeso.
Ma Timoteo non deve scoraggiarsi; deve, anzi, continuare ad essere un buon maestro nella sua comunità (1,3) L'apostolo si sente consolato che Gesù, nonostante la sua grandezza e la sua santità, abbia sofferto prima di Paolo stesso. Questo è stato il cammino di Cristo verso la gloria. Perciò "ricordati di Cristo".
Ci sono tre immagini nei versetti precedenti: "Sii un buon soldato di Cristo" che si preoccupa di fare il proprio dovere senza sviarsi; "Sii un buon atleta che rispetta le regole di gara"; "Sii un buon agricoltore che ha diritto al raccolto poiché ha faticato per primo".
Timoteo ora ha almeno due esempi: quello di Gesù e quello di Paolo in carcere.
Deve potersi fidare del Signore che è presente e non ci tradisce: vengono elencati "4 se". La conclusione di questo seguito di ipotesi, però, non è conseguente al nostra comportamento. E' vero che ci rinnegherà se noi lo rinnegheremo, ma se non saremo fedeli, Lui continuerà ad esserlo anche con noi e per noi. Gesù sa rispettare la nostra libertà, ma sa coltivare in modo infinito la sua misericordia.
Ci sarà un grande lavoro da fare e, come un buon lavoratore ,"sii dispensatore scrupoloso della parola della verità" (2,15).
La fiducia che viene suggerita nasce dalla forza della Parola di Dio. La Parola di Dio non è incatenata" (v 9).
I suggerimenti di Paolo valgono per la Comunità cristiana di ogni tempo: a noi viene offerto l'impegno di saper vedere questo nostro mondo con occhi di giustizia ma anche di misericordia. "Vanno evitate le vane discussioni:" E' aiutando e fidando in una verità che nasce da Gesù e che va "rammentata e dispensata, maturandola come un buon lavoratore che non deve vergognarsi davanti a Dio" che so costruisce, nella nostra fatica, la speranza di tutti.
Lettura del Vangelo secondo Luca 17, 7-10
Il brano, che leggiamo oggi nel Vangelo di Luca, va collegato con il suo viaggio di Gesù verso Gerusalemme, e ci suggerisce alcuni insegnamenti fondamentali, almeno 4 nel capitolo 17, vv.1-10.- Si parla
- dello scandalo e "dell'inevitabilità del male" (1-3a),

-del perdono che viene proposto come elemento costruttivo di cambiamento e di
conversione (3b-4),

- della fede che, se pure è come un granello di senape, può sradicare un gelso e
piantarlo nel mare (5-6),
- del compito del servo e del valore del suo impegno (7-10).
E' una sintetica rilettura delle responsabilità dei 12 apostoli (gli annunciatori, il popolo nuovo) che scoprono la propria povertà in un mondo violento e immorale che scandalizza i semplici (bambini, poveri), che ha bisogno di un perdono illimitato da offrire a chi sbaglia, che necessità di una fede concreta e inimmaginabile, e che, alla fine, non si può pretendere di esibire dei meriti poiché tutto viene da Dio.
Perciò gli apostoli dicono: "Signore, aumenta la nostra fede", poiché troviamo in noi una fede povera, legata all'incredulità. E Gesù risponde: "Anche una fede piccola e povera in me è capace di fare cose portentose, di trasformare il mondo". E se la fede ha, in prospettiva, di far diventare la terra, un giardino che fa frutto, la fede non ti fa diventare padrone né autosufficiente. La fede non ti fa diventare un contraente di affari, né un creditore di meriti da riconoscere. Ti fa servo (schiavo di Dio) che opera gratuitamente (17,7). L'apostolo è paragonato allo «schiavo» (non appartiene a sé) che «ara e pascola» (azioni tipiche dell'apostolo: seminare [l'annuncio] ed il pascolare [la cura dei fratelli]).
L'apostolo scopre ogni giorno di dover ringraziare Dio di quello che ci dà. E nella gratuità la fede ci fa scoprire l'importanza di una collaborazione gioiosa nella Comunità cristiana, sapendo che siamo piccoli e poveri; eppure Egli è capace di fare cose grandi con noi.
Al versetto 10 la traduzione del: "Siamo servi inutili", dovrebbe aiutare a tradurre:"Siamo semplicemente schiavi: ciò che dovevamo fare, l'abbiamo fatto". Chi è cristiano non porta l'orgoglio di aver fatto, ma lo stupore che Dio sappia servirsi anche delle nostre povere mani.
Chi è cristiano non si aspetta la contrattazione sui meriti acquisiti né un grazie riconoscente dal Signore, che pure è capace di benedirci se abbiamo soccorso i poveri (Mt25,31ss). Siamo noi che diciamo il nostro grazie a Lui che ci ha chiamati a costruire il mondo con Lui e a svelare agli altri la sua provvidenza che noi sviluppiamo con le nostre mani.
La gratuità è l'elemento concreto e sempre nuovo del credente in Gesù. Perciò dobbiamo rivedere il senso e lo stile del nostro stesso lavoro quotidiano. Non dovremmo lavorare per il solo guadagno o unicamente per un utile, ma perché, insieme al sostentamento, ci viene offerta l'opportunità di cambiare le cose, di servire per i bisogni delle persone. Anche nel lavoro, come per le grandi scelte della vita, esiste una linea di gratuità che nessun danaro può pagare e il cui valore è dato dall'aver collaborato e costruito con gli altri e per gli altri. E ognuno ha scoperto un suo ruolo, ha maturato le sue risorse; insieme, siamo cresciuti.
Il ministero apostolico è di sua natura gratuito (Mt 10,8). Per Paolo la ricompensa più alta è predicare gratuitamente l'Evangelo (1Cor 9,18). L'apostolo è associato al ministero di grazia e di misericordia del suo Signore per il mondo. Ma ogni cristiano deve poter sentire il gusto e la voglia di fare, al meglio, ciò che sta facendo. In tal modo anche la paga non esaurisce il flusso del dono poiché compiere al meglio è il miglior gratuito.

Visitate il sito www.liturgiagiovane.it ed il relativo blog, sul quale è possibile aggiungere i vostri commenti, osservazioni, suggerimenti, proposte.

 

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