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TESTO Commento su Deuteronomio 6, 4-12, Galati 5, 1-14, Matteo 22, 34-40

don Raffaello Ciccone   Acli Provinciali Milano, Monza e Brianza

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Vangelo: Dt 6, 4-12; Gal 5, 1-14; Mt 22, 34-40 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Lettura del libro del Deuteronomio 6, 4-12
Nel libro del Deuteronomio si racconta, fondamentalmente, il dialogo fra Dio e il suo popolo. Ma la voce di Dio è intesa come terribile, "una voce in mezzo alle tenebre, mentre il monte era tutto in fiamme" e perciò i responsabili, i capi tribù e gli anziani, chiedono a Mosé: "Avvicinati tu e ascolta quanto il Signore nostro Dio dirà e poi ci riferirai quanto ti avrà detto e noi lo ascolteremo e lo faremo" (5, 23-27). Così il resoconto del dialogo si trasforma in lunghi discorsi che Mosé pronuncia al popolo, confermando le clausole dell'Alleanza e garantendo impegni di fedeltà che il popolo stesso pronuncia, incoraggiato dalle promesse e dalla verità del Signore. Così, alle soglie della terra promessa, Mosè annuncia le norme di comportamento di Israele di fronte a Dio e alla collettività (4,44-26,68), concludendo quindi con le benedizioni e le maledizioni (cc. 27-28).
Oggi leggiamo un testo preziosissimo.
Preceduto da una prima parte (vv. 6,2-3), qui non riportata, in cui si formula una esortazione per osservare i comandamenti dati da Dio, quali garanzia delle benedizioni dell'Alleanza ( vita, felicità, molti discendenti), nei vv. 4-12 (lettura odierna) viene ricordato l'atto di fede che l'ebreo pronunciava allora ed ancora oggi pronuncia, almeno 2 volte al giorno. Questo brano, Insieme con Dt 11,13-21 e Nm 15,37-41, costituisce la preghiera sinagogale degli Ebrei fino ai nostri giorni.
Dopo la confessione di fede dell'unicità di Dio ("II Signore è uno"), viene svelato che Dio non ha rivali, perciò è vittorioso. Non può essere raffigurato perché non si abbassa ad essere visibile. E' al di là delle cose limitate e punirà chi oserà dare agli idoli l'amore dovuto a Lui. Il solo suo amore costituisce il popolo solido, vivo e felice.
"Sicché dovrai amare"(questo il senso del verbo ebraico) con tutto te stesso: con tutto il cuore (sede delle decisioni radicali), con tutta l'anima (sede del sentimenti e della vita), con tutte le forze (espressione di tutte le capacitä dell'uomo). E per ogni componente della realtà umana si ricorda che l'amore deve essere vissuto in pienezza: il "tutto" è ripetuto tre volte. Ma anche per Dio c'è un "tutto". Lo stesso verbo ebraico, quando viene usato come espressione della disponibilità di Dio, indica tutto l'amore gratuito, sponsale, materno e paterno di Javhè verso la sua nazione prediletta (Dt 10,15; Os 1,1-3,11; Is 49,15). L'impegno di fedeltà non è semplicemente un rapporto singolo, ma è un impegno di popolo che via via si costituirà nel tempo: elemento di continuità che si svilupperà nelle diverse generazioni attraverso l'educazione e l'insegnamento degli anziani verso i giovani. Perciò occorre che anche le nuove generazioni maturino questa fedeltà alla Parola di Dio, alla sua conoscenza, e alla sua trasmissione. Il ripetere per memorizzare e far presente non deve essere un suggerimento casuale, ma deve accompagnare la vita quotidiana nei momenti fondamentali della convivenza. Si dovranno anzi inventare segni particolari di memoria. Perciò l'ebreo, quando prega, deve legarsi al braccio un piccolo contenitore che conserva tre minuscoli rotoli della legge, ma la stessa Scrittura, come è legata al braccio, deve pendere sulla fronte, in mezzo agli occhi, e un altro piccolo contenitore deve essere inchiodato sullo stipite della porta per cui, entrando e uscendo di casa, viene ripetuto il gesto della sottomissione.
Il brano conclude ricordando che il frutto di questa fedeltà è la possibilità, per un popolo, di vivere in un paese ricco, nobile, strutturato, lavorato. Si risente qui la mentalità antica per cui chi conquista una terra diventa padrone e scaccia gli altri o li asserve al proprio servizio.
Questa è l'esperienza che il popolo d'Israele ha maturato nel suo passato e che dovrà continuamente ricordare come un cammino attraverso cui ha raggiunto, in alcuni periodi, stabilità e benessere, grazie alla forza di Dio che premia.
L'invito a non dimenticare e a ricordare (v 12) è formulato secondo il carattere liturgico di queste pagine scritte per la fede del popolo.
Siamo di fronte ad un riassunto teologale, una professione di fede breve, da memorizzare, destinata ad essere "incisa (fissata) nel cuore" e non solo sulle pietre.
Lettera di san Paolo apostolo ai Galati 5, 1-14
Paolo scrive ai Galati con grande determinazione, ma avendo davanti agli occhi la loro generosità e la loro disponibilità passate ad accogliere il Signore attraverso la predicazione dell'apostolo stesso. Egli ha memoria dei rapporti intensi di solidarietà e di solidità della loro fede. Perciò, scrive questa lettera e richiama alcune loro deformazioni con grande sofferenza perché ha l'impressione che si siano affrettati ad alterare la loro fede, equivocandola, ingannati da falsi annunciatori.
Questi, infatti, stanno pensando che sia necessario riprendere la legge e le usanze ebraiche, in particolare la circoncisione, perché la salvezza non può avvenire se non per la legge di Mosé.
Per questo Paolo scrive con chiarezza: solo Gesù ci ha liberati per costituirci liberi. Importante allora non dimenticare questa diversità, e non immaginare che la circoncisione possa mantenere un grande valore. "Se accettate la legge ebraica, convinti dell'obbligatorietà dell'osservarla tutta, rischiate di non esserne mai sufficientemente all'altezza e di immaginare, nel contempo, che la vostra salvezza si ottenga solo attraverso le opere".
A questo punto i Galati non solo non sono più liberi, ma Cristo non può fare più niente per loro. "Così voi vi angosciate nel seguire la legge e cadete nella disperazione di non sapere più osservarla". La salvezza non viene dalle opere, viene dalla fede che vi rende operosi per mezzo della carità (v 6). Questo versetto è una sintesi splendida di tutta la riflessione morale che Paolo compie.
Bisogna tuttavia ricordare che la libertà non è né capriccio, né la voglia di fare quel che ci piace. Dalla libertà si accoglie la pienezza per unirsi profondamente a Cristo e si imposta una comunione con Lui che ha amato ogni persona e quindi chiede di vivere come Lui, secondo l'amore per il prossimo.
Vengono ricordati qui due modelli di vita che Paolo riconduce alla "carne" e allo "Spirito". La "carne" è principio di peccato. Il comportamento carnale è esemplificato da un "catalogo di vizi" (19-21) mentre lo "Spirito" è azione della grazia che conduce all'amore. In tal modo non si è estranei, né tanto meno sfruttatori del prossimo, ma amici e addirittura "disponibili al servizio".
Così Paolo consegna una grande verifica sulla bontà religiosa di ciò che si sceglie." Tutta la Legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: Amerai il tuo prossimo come te stesso" (14).
Lettura del Vangelo secondo Matteo 22, 34-40
Il Vangelo di Matteo, dopo l'ingresso trionfale in Gerusalemme, presenta alcune situazioni polemiche di persone altolocate che contestano le proposte di Gesù con questioni pericolose e cavillose: attaccano la sua autorità (21,23-27), reagiscono ai suoi insegnamenti (21,28-22,14), tentano (in particolare i farisei 22,15-22) di screditarlo con la gente, proponendo il problema del pagamento delle tasse ai romani mentre, infine, i Sadducei (22, 23-33) lo deridono sulla futura risurrezione dei morti. A conclusione delle polemiche riportate, Gesù viene interrogato dai dottori della legge (22,34-40) sulla gradualità dei numerosi precetti giudaici.
Gesù risponde con lucidità e sapienza, tanto da stupire i circostanti che gli chiedono qual è il più importante comandamento tra tutti quelli della legge.
Al tempo di Gesù esistevano diverse posizioni teologiche:
- la mentalità più rigida dei rabbini rifiuta ogni differenza tra i 613 precetti della Legge. Li ritiene, infatti, tutti ugualmente importanti perché contenuti nei primi 5 libri di Dio, scritti, secondo la tradizione, da Mosè (613 corrisponde a 365 + 248; 365 sono i giorni dell'anno e richiamano azioni proibitive; 248 è il numero delle membra del corpo umano, ricordano le opere positive da compiere. Le donne sono tenute ad osservare solo i precetti negativi).

- Altri invece distinguono tra precetti grandi, piccoli e minimi.
- Altri ancora sostengono che tutti i precetti sono contenuti nel comandamento di amare Dio (Deut. 6,4s.) e in quello di amare il prossimo (Lv.19,18). E quindi non vale la pena distinguere.
Gesù, qualunque posizione vorrà prendere, pensano, può essere accusato di poco rispetto alla legge. Chi lo interroga è "un esperto della legge": egli deve saggiare la sua preparazione e competenza.
Gesù conosce discussioni e polemiche e Matteo usa una parola greca: "Krematai" che significa "appendere", richiamando così il gancio principale: "a questi due si agganciano (pendono) tutta la legge e i profeti".
Sembra che Gesù non porti novità. E, infatti, sceglie proprio dalla Legge di Mosè una frase dal Deuteronomio e una dal Levitico.
Ma l'elemento nuovo è nel passaggio dal primo al secondo comando, ove si fanno luce reciprocamente e dove l'amore di Dio e l'amore degli uomini mostrano una straordinaria somiglianza. Esiste così un principio unificatore della legge, mai molto esplicitato prima insieme. Ma ogni persona è coinvolta nell'amore totale con Dio e, per questo, diventa portatrice del messaggio concreto della presenza del Signore.
I due amori, posti sullo stesso piano, si rispecchiano l'un l'altro. Si può dire che è l'amore del prossimo la verifica dell'amore di Dio e non viceversa. La sottolineatura, attraverso la fede e l'esperienza, si ritrova continuamente nella Prima Lettera di San Giovanni.
Se nel vangelo di Matteo la domanda "è un voler mettere alla prova Gesù, nel vangelo di Marco (12,28-34) la stessa domanda, posta a Gesù, non è tanto un tentativo per screditarlo con la gente, ma l'espressione della volontà di ricerca. Tanto è vero che alla stessa risposta data da Gesù, l'interlocutore approva con entusiasmo e aggiunge: "Amare il prossimo vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici". A lui Gesù risponde, compiaciuto: "Tu non sei lontano dal regno di Dio (Marco 12,34).
Ma Gesù ripete anche la dualità che non si può cancellare:
- il servizio di Dio non può diventare pretesto per dispensarci da quello dell'uomo (5,23 s), ma neppure il servizio dell'uomo può dispensare da quello di Dio: "non di solo pane vive l'uomo" {4,4). Gesù va a pregare nel deserto, insegna a pregare (6,5-15), esalta la sacralità del nome di Dio, del tempio (5,33-37; 23,16- 22).

- Dio non si identifica col prossimo né il prossimo con Dio ma si richiamano, si rinviano l'un l'altro, si rafforzano senza ridursi all'altro e quindi senza dissolversi. Nel Giudizio finale Gesù ringrazia chi ha aiutato un piccolo nel bisogno, poiché ha aiutato uno della famiglia di Gesù, pur senza valore o grandezza: "Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25,40).

- Al giovane ricco Gesù prima elenca i comandi della legge verso il prossimo (19,18-19) poi dice: "Se vuoi essere perfetto, va, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri (attenzione al prossimo); poi vieni e seguimi (scegli il volto concreto di Dio in Gesù)" (19,21).
Il mondo ha bisogno più di "testimoni" che sappiano amare, che non di accusatori che denuncino. Ha bisogno di persone coraggiose che facciano entrare Dio nella loro vita e il prossimo nella loro fede.

Visitate il sito www.liturgiagiovane.it ed il relativo blog, sul quale è possibile aggiungere i vostri commenti, osservazioni, suggerimenti, proposte.

 

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