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TESTO Entrare vestiti a festa

padre Gian Franco Scarpitta   S. Vito Equense

XXVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (09/10/2011)

Vangelo: Mt 22,1-14 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 1Gesù riprese a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti e ai farisei] e disse: 2«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. 3Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. 4Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: “Dite agli invitati: Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. 5Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; 6altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. 7Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. 8Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; 9andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. 10Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. 11Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. 12Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. 13Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. 14Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».

 

Forma breve: Mt 22,1-10

In quel tempo, 1Gesù riprese a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti e ai farisei] e disse: 2«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. 3Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. 4Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: “Dite agli invitati: Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. 5Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; 6altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. 7Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. 8Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; 9andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. 10Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali.

Vini eccellenti, cibi genuini, carni grasse e altre prelibatezze della buona cucina sono spesso nella Bibbia metafore atte a descrivere la pienezza dell'incontro salvifico che Dio realizza con l'uomo. Il lauto banchetto è espressione poetica e metaforica della salvezza che Dio indirizza a tutti gli uomini che vengono raccolti nell'unità da ogni cultura ed estrazione.

L'incontro fra Dio e l'uomo cambia la vita ed è sempre una festa, allusivo di gioia che rifulge in ciascuno e che si irradia da noi presso altri.

Nel banchetto, che Isaia descrive più volte anche con i particolari di "vino e latte" donati gratuitamente e senza oneri pecuniari (Is 61, 1), si esprime l'amore che Dio dona senza riserve e senza condizioni al suo popolo, la benevolenza a volerci salvare, non tuttavia nella forma di una salvezza "in extremis" da un pericolo, per la quale subito dopo si spasima, si ansima e si piange per lo scampato rischio ricordando poi con angoscia l'evento angoscioso trascorso. Dio ci salva donandoci mettendoci in condizioni di gioire dei suoi favori e della sua misericordia, rendendoci partecipi del suo disegno di amore nonché cooperatori nella dinamica del Regno; una salvezza insomma attiva e protagonista e non semplicemente ricettiva, per la quale chi comprende di essere salvato entra nella comunione di gioia con Dio. Tale è l'idea del pasto luculliano, del banchetto di festa al quale solitamente non si rinuncia (salvo particolari situazioni di attrito fra parenti) e partecipando al quale si dovrebbero mettere da parte malanimo e discordia, disunione e malignità, e dare spazio alla gioia e alla spensieratezza. Soprattutto in un banchetto di nozze.

La gioia salvifica non ha destinatari vivisezionati e non è parziale né frammentaria, ma universale e tutti quanti vi sono invitati appunto come ad un lauto pasto. Questa è anche l'espressione vivace che ce ne da' il Cristo, che realizza la sua Festa con noi nell' avere la Chiesa come sua Sposa nel vincolo indissolubile dell'unità e dell'amore. Per la sua Sposa Cristo si è immolato e in essa non esistono più etnie e divisioni culturali, ma tutti quanti formano un unico Corpo, essendo ogni uomo destinato alla salvezza.

C'è anzi molta più gioia quando un disperso o un peccatore ritrova il suo sentiero imboccando nella comunione con Cristo (nella Chiesa) il luogo della riconciliazione con Dio e con i fratelli, in altre parole quando un peccatore si converte, fosse pure troppo triste il suo passato.

Eppure, nel suo racconto parabolico Gesù sembra porre un'eccezione, anzi una condizione perché si possa restare nel salone delle feste: l'abito nuziale. Per entrare nel salone non occorreva alcun biglietto da visita e nessuno controllava l'abbigliamento dei convenuti, ma all'interno della sala, mentre si svolgono le danze e si consumano i pasti, il re non tollera la presenza di persone a cui manca la veste di nozze.

Essa rappresenta la correttezza morale, la volontà di emendare la nostra vita in conseguenza dell'amore di cui Dio ci ha resi destinatari poiché così ammonisce Paolo: "O ti prendi gioco della ricchezza della sua bontà, della sua tolleranza e della sua pazienza, senza riconoscere che la bontà di Dio ti spinge alla conversione?" (Rm 2, 4-5). Essere amati da Dio è esaltante e apporta letizia; fare esperienza della sua bontà è incoraggiante e induce alla fiducia e all'autostima, ma quando tale amore divino si trasforma in un motivo di trastullo personale, è infruttuoso e controproducente e vanifica perfino la nostra salvezza. Essere amati da Dio reca l'entusiasmo del cambiamento e della radicale trasformazione per la quale siamo atti ad amare gli altri e attraverso la nostra condotta irreprensibile condurli alla stessa meta della salvezza. Insomma, essere amati da Dio è di monito alla conversione e non alla negligenza e pertanto, seppure siamo tutti destinati alla salvezza, omettere l'abbigliamento morale equivale a non accettarla.

Lo stesso linguaggio parabolico della festa di nozze peraltro è molto chiaro: l'abito elegante è anche nelle nostre usanze simbolo di condivisione della gioia dello sposo ed espressione della letizia e della gioia che noi proviamo per quella particolare scelta di vita che un nostro amico o parente ha deciso di intraprendere. E' vero: non è l'abito a costituire lo spirito festoso e la vera irreprensibilità non la si vede certo nel lusso e nel vestiario attillato o nel fare compassato e dimesso; anzi tutto questo può anche essere indice di ipocrisia e di falsità. Tuttavia l'abito esteriore è biglietto da visita della nostra interiorità e della gioia di poter essere liberi per amare e per servire, insomma di entrare nella dinamica del Regno di Dio, nella quale si viene coinvolti per intero, nell'interno e nell'esterno. Nel linguaggio che Gesù adotta in questo racconto l'abito è il simbolo della conversione avvenuta, cioè della carità che "che sgorga da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera" (1 Tm 1,5) e non serve essere salvati se poi nella mancata carità non si persiste nella salvezza.

Non si può vivere la gioia se la coscienza ci rimprovera l'irresponsabilità e la malizia delle nostre azioni e il male commesso o il rancore e l'odio che coviamo interiormente non può concederci la serenità di una festa di nozze e pertanto, seppure ammessi nel Regno, non possiamo pretendere di persistervi se non dopo aver emendato il nostro comportamento verso una logica e una direttiva di rettitudine e di giustizia.

E' sempre festa nella casa del Signore ma se qualcuno di noi ama vestirsi a lutto è proclive a procurarsi lui stesso le lacrime della tristezza che favoriscono il maligno e chiudono le porte all'amore di Dio, che è re universale che ci ammette a regnare con lui.

Fa parte della nostra vocazione incontrare il Signore nel salone delle feste e della nostra coerenza personale entrarvi vestiti a festa. La coerenza delle opere è indice di credibilità della nostra fede.

 

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