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TESTO Non sindacare, ma lascia fare a Dio

padre Gian Franco Scarpitta   S. Vito Equense

XXVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (25/09/2011)

Vangelo: Mt 21,28-32 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: 28«Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. 29Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. 30Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. 31Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. 32Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli.

Quando si vuole mettere in discussione l'esistenza di Dio, uno degli argomenti che solitamente si assurgono ad obiezione è il seguente: "Se Dio esistesse, non ci sarebbe la fame"; "Se esistesse, io non sarei ammalato, affranto, disoccupato..."; "Dio non esiste perché nel mondo c'è troppo male." In realtà a chi è capace di profondità di giudizio e di retta e matura riflessione non sarebbe difficile concludere che simili obiezioni piuttosto che smentire al contrario CONFERMANO l'esistenza di Dio nel mondo e nella nostra vita. Personalmente potrei raccontare di testimonianze di persone che si sono seriamente convertite a Dio proprio in una situazione di miseria o di malattia e gli esempi di fede e di speranza che comunica tanta gente paralitica costretta alla carrozzella o addirittura priva di arti inferiori hanno edificato tante volte anche il sottoscritto. Dio infatti lo si sente vicino tante volte proprio nella sofferenza, nella solitudine e nella malattia e proprio il dilagare della miseria e dell'indigenza ci riferiscono un appello che Lui stessi ci rivolge, poiché ogni cosa dipende da Lui e le nostre sole forze non sono sufficienti a colmare le nostre lacune materiali o spirituali. Conclusioni simili a quelle succitate sull'inesistenza di Dio sono pertanto molto semplici e gratuite, atte a rivelare solamente una sorta di indifferenza di fondo in fatto di religione, una sterile negligenza al confronto e alla riflessione e solo chi è prevenuto può assumere un atteggiamento simile.

Che dire poi di quell'atteggiamento spaccone di Mussolini, che nel corso di una suapropaganda atea affermò per radio che sarebbe stato disposto a credere in lui se entro cinque minuti lo avesse fulminato? Semplicemente ridicolo e tipico di un ateismo non razionalmente motivato, chiamato "indifferentismo religioso o relativismo": Dio non mi interessa e nulla più.

Quanto poi alla domanda se Dio esiste o meno, mi è capitato di confrontarmi con persone ostinatamente non credenti alle quali domandavo: " Ma voi, come provate che Dio non esiste?"; "Quali motivazioni adducete a vostro vantaggio?" Nonostante la loro affermata razionalità e sofisticatezza, non mi sapevano dare una risposta convincente, ma si nascondevano dietro scuse ridicole o giustificazioni in realtà infantili.

Se è vero infatti che l'esistenza di Dio (scientificamente) non può essere dimostrata, è vero in ugual misura che neppure è possibile dimostrare che Dio non esiste, come bene afferma Zichichi, uno degli scienziati più rinomati e attendibili; e il fatto stesso che non si può smentire la sua esistenza ci rimanda alla sua Realtà. Dio certamente non è dimostrabile, egli si manifesta nella rivelazione e lo si accoglie nella fede, tuttavia i percorsi razionali che conducono a Lui sussistono e non sono affatto banali.

Ad ogni buon conto, tutti questi pensieri ci conducono alla Parola dello stesso Signore che attraverso Geremia ammonisce: "Non è retta la mia condotta o piuttosto non è retta la vostra?" Non poche insinuazioni ateistiche non sono altro infatti che un tentativo assurdo di sindacare sull'agire di Dio, sulla sua azione lamentando i nostri problemi e le nostre difficoltà. Siamo insomma fondamentalmente atteggiati al giudizio e alla critica nei confronti di Dio, come pure alle invettive e ai preconcetti, alle obiezioni e il tutto solamente per esternare le nostre insoddisfazioni, le nostre ansie e i problemi. Quando invece occorrerebbe in questi casi confidare in Dio, aprirsi alla prospettiva della sua presenza nella nostra vita, omettere l'esasperazione razionalizzante e porre le ragioni del cuore per avere ragioni di speranza e di confidenza. Piuttosto che sindacare l'essere e l'agire di Dio occorre "lasciare fare a Dio", permettere che Egli si interessi della nostra vita e abbia il primato anche e soprattutto a proposito delle nostre difficoltà. Il che equivale ad aprirsi alla fede, cioè all'accoglienza gratuita di ciò che si può ricevere solamente come dono; il che comporta l'apertura incondizionata al Mistero senza che questo sia costretto ad uscire da se stesso, la sottomissione dell'intelletto e della volontà all'Ineffabile.

Dio si rivela in parecchie circostanze e seppure la sua rivelazione ufficiale si è conclusa con l'ultimo Apostolo, egli continua a manifestarsi nel suo Spirito e a comunicarci la sua pedagogia continua. Anche presso molta gente che si professa credente, pia e devota vi è la tendenza a porre condizioni a Dio, a mercanteggiare la propria fede con un suo intervento immediato e ad avanzare a Dio ogni sorta di pretestuosità, ma è sempre controproducente atteggiarci con presunzione e protervia anziché dire deliberatamente: "credo".

Ma la liturgia di oggi procede abbastanza oltre, poiché da' una scossa anche a coloro che presumono di essere credenti e di aver ottemperato ad ogni obbligo con la fede.

Se abbiamo infatti denunciato l'insensatezza di fondo di coloro che ostinatamente si oppongono a Dio, non possiamo trascurare i torti e l'irresponsabilità di coloro che questo Dio lo professano, ma non lo testimoniano!

Di fronte al mondo secolarizzato e miscredente, oltre alla critica e alla recriminazione, come reagiscono i cosiddetti "fedeli", i sacerdoti, i ministri? Si preoccupano di apportare quella testimonianza di rettitudine e di coerenza che è alla base della missione evangelizzatrice? Si cimentano con solerzia in quelle opere indispensabili a far si che la fede diventi una realtà in atto? Occorre non trascurare che determinati atti di odio e di indisposizione a cui oggi è soggetta la Chiesa, sono il risultato di tanto male commesso in passato, di tante ingiustizie ed ipocrisie.

Come pure occorre non trascurare il severo ammonimento di Gesù: "Le prostitute vi passano davanti nel Regno di Dio". Esso è un rimprovero davvero sconcertante poiché ci porta a considerare che non dobbiamo mai dare per scontato che siamo destinati alla salvezza solo perché credenti ma che piuttosto si salveranno parecchi che, pur non credendo, avranno operato e agito da credenti o hanno vissuto in una fede certa anche se non del tutto palese.

Tali sono coloro che dicono al padrone di non voler lavorare nella vigna, ma poi ravveduti cambiano idea e ci vanni senza neppure informare il padrone.

Ipocriti sono invece gli incoerenti che in un primo momento mostrano la volontà di andare nella vigna ma poi non ci vanno nonostante la presenza del padrone! Come potrebbe questi trattare la loro evidente falsità e doppiezza?

Se da una parte occorre non giudicare Dio e il suo operato, dall'altra occorre adoperarsi con tutte le forze per fare con coerenza qualunque cosa egli ci chiede.

 

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