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TESTO Commento su Isaia 60,16b-22, Prima Corinzi 15, 17-28, Giovanni. 5, 19-24

don Raffaello Ciccone   Acli Provinciali Milano, Monza e Brianza

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Vangelo: Is 60,16b-22 1Cor 15, 17-28 Gv 5, 19-24 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Lettura del profeta Isaia 60,16b-22
Stiamo leggendo un testo di Isaia, tratto dai suoi ultimi dieci capitoli (cc 56-66), in cui sono descritti il ritorno del popolo liberato e la ricostituzione di Gerusalemme dopo l'esilio di Babilonia (587-538 a.C.). È attribuito ad uno o più profeti che gli studiosi chiamano Terzo Isaia, vissuto durante la ricostruzione del Tempio di Gerusalemme e negli anni successivi (dal 520 a.C. in poi).
Tutto il capitolo 60 è un canto di speranza per Gerusalemme e un sogno sul futuro. Inizia con: "Alzati, Gerusalemme, rivestiti di luce perché viene la tua luce..." (v. 1) e apre l'orizzonte della ricchezza che si riversa attraverso i popoli che arrivano al tempio. Nel tempio ricostruito, infatti, affluiscono le ricchezze. La pace regna nella città e la gloria di Dio si irradia nel benessere. Gerusalemme diventa un riferimento fondamentale di speranza non solo per il popolo, ma anche per tutto l'universo.
Gli elementi culturali propri di una realtà povera, e spesso sconfitta, si giocano sulla sicurezza (le porte spalancate e, l'abbondanza del commercio esprimono finalmente il superamento della paura, della povertà e della fame); l'abbondanza del legname (v 13) ci restituisce la bellezza e l'abbondanza del tempo di Salomone che, prima, aveva utilizzato il legno delle foreste del Libano per il tempio ed ora lo stesso legname può essere utilizzato per la città.
I popoli oppressori si prostreranno al Santo di Gerusalemme e la città acquisterà tale splendore da diventare "l'orgoglio dei secoli, la gioia di tutte le generazioni" (v 15). Le importazioni abbondano in metalli preziosi, utili per le costruzioni e per lo sfarzo: oro, argento, bronzo e ferro.
Gerusalemme è sorretta, allora, da due valori essenziali: la pace (identificata nel suo benessere totale) e la giustizia, il segno pieno della salvezza di Dio. I versetti dal 10 al 18 richiamano e inglobano questa immagine di sicurezza, nelle mura ricostruite che Dio protegge.
Viene utilizzato il genere apocalittico, nella linea della conclusione della storia umana (e infatti la stessa immagine è utilizzata in Apocalisse 21,23): il sorgere della luna e il sorgere del sole non sono più considerati portatori di luce. Si fa riferimento qui, probabilmente, alle credenze di Canaan in cui si pensava che il sole e la luna fossero divinità. In questo caso, nella Gerusalemme rinnovata, il popolo, "tutto di giusti" (v 21), sarà completamente liberato dall'idolatria e perciò non porrà più la propria sicurezza negli astri divinizzati, perché il Signore stesso sarà luce eterna, perenne per Sion.
La terra d'Israele è ricordata come terra di Dio, lavorata dalle sue mani, perciò abbondante e ricca. I "germogli delle piantagioni del Signore". C'è la eco di Davide, il "Germoglio della radice di Iesse" che diventa, finalmente "un popolo immenso". (v 22).
Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi 15, 17-28.
Paolo, scrivendo ai Corinzi, continua la riflessione sulla resurrezione dei morti, fondamento della speranza cristiana, messa in dubbio da alcuni della comunità stessa. Paolo non si rifà ad una esperienza personale ma alla essenza della predicazione a loro proclamata e che, a sua volta, per fedeltà alla tradizione, egli stesso l'ha ricevuta. Volendo sintetizzare, Paolo afferma che tale fede è costituita da 4 verbi: Gesù morì, fu sepolto, risuscitò, apparve. E nei primi 11 versetti (1 Cor 15,1-11) Paolo ha elencato le apparizioni che, ufficialmente, venivano ricordate alla comunità cristiana. La risurrezione di Gesù è il centro della vita cristiana e della lieta notizia che, finalmente, fa pulizia di tutte le morti e le paure. Perciò questa risurrezione sta alla base della nostra risurrezione ed è garanzia di vita nuova. Se cade l'una, cade anche la lieta notizia di Gesù e tutta la fede sarebbe vana. Cadrebbero la speranza, il perdono dei peccati, il senso dell'esistenza e della fedeltà. Ritorneremmo a vivere nella disperazione del male, ci ritroveremmo in una frustrazione terribile di inutilità e di paura Crollerebbero tutte le novità e tutte le aspettative. Paolo sviluppa questa convinzione con due immagini tratte dall'Antico Testaménto: quello della primizia e quella del re vincitore.

- "Cristo risorto, primizia di coloro che sono morti" (v 20), è come il primo covone (fascio di grano mietuto e legato insieme) che viene offerto a Dio come segno e garanzia di tutto il raccolto. Egli è, qui, primizia di coloro che dormono, capostipite della nuova umanità. Secondo il rituale ebraico l'offerta delle primizie era un segno propiziatorio per ottenere un raccolto più abbondante
- Gesù è il Messia, re trionfatore che vince tutti i poteri e le potenze ostili, e "li riduce al nulla". Egli lotta fino a porre, secondo il costume antico, i nemici come sgabello sotto i suoi piedi. Con la risurrezione finale anche la morte sarà vinta.
Così, dice Paolo, Cristo è nemico della morte e, alla, fine, sconfitti finalmente gli avversari di Dio e dell'uomo, sottometterà tutto al Padre che sarà "tutto in tutti" e comunicherà totalmente la sua gloria Paolo non discute ma afferma che la risurrezione dei credenti, a somiglianza di quella di Gesù, esprime una concezione globale della vita cristiana. Cristo è contrapposto ad Adamo, il primo uomo, che aveva aperto la strada della morte. Gesù apre la strada della vita.
Nel linguaggio apocalittico che viene usato nei racconti che riguardano la conclusione della storia, Cristo appare come colui che "consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni principato e potestà e potenza". Gesù, in tal caso, si mostra Signore e Re, capace di vincere i nemici terribili di Dio e dell'uomo, dominatore della storia.
Lettura del Vangelo secondo Giovanni. 5, 19-24
Il testo che leggiamo fa parte di una complessa vicenda scaturita dalle discussioni dell'osservanza del sabato e che Gesù, indirettamente, aveva provocato per un miracolo ad un paralitico. Un tale, che andava in giro, in un giorno di sabato, con un lettino/ branda/ giaciglio sulle spalle, era stato guarito da Gesù "alla piscina, chiamata in ebraico Betzada, presso le porte delle pecore" (5,2) da una paralisi che lo teneva nel letto, incapace di camminare da 38 anni (nel Deuteronomio 38 anni sono praticamente la conclusione della vita (2,14) e quindi in procinto di morire senza speranza (5,5). Portare un peso in giorno di sabato è un grave scandalo, suscitato dalla disobbedienza della legge, chiara sul sabato, e dalla sua tradizionale osservanza. Tale fatto suscita rimproveri autorevoli e minacciosi: "Chi si può permettere di violare la legge del sabato?" Il paralitico, frastornato dal fatto della guarigione, ha ritenuto che l'ubbidienza al comando di questo sconosciuto guaritore fosse doverosa. Così, molto semplicemente e ingenuamente, riporta il comando di Gesù. Ma poiché gli chiedono l'identità di questo strano benefattore, il paralitico guarito, sconcertato, risponde di non conoscerlo e quindi di non sapere chi fosse.
Da qui nasce l'interrogativo che percorre tutto il capitolo quinto: chi è Gesù?
Gesù stesso cerca la persona guarita e la incoraggia: "Ecco, sei guarito. Non peccare più" (v 14). Gesù si fa individuare non solo come guaritore, ma anche come liberatore dal male morale. Così incomincia il confronto con lui.
Sullo sfondo di un processo immaginario tra Gesù e i Giudei, Gesù, l'accusato,
- dapprima difende il suo operato (vv 19-30, autodifesa)
- quindi riporta le testimonianze a suo favore (vv 31-40),
- infine attacca gli avversari divenendo a sua volta accusatore, invertendo così le parti (vv 41-47).
Il primo problema, non marginale in quel contesto, è il richiamo al riposo del sabato. "I Giudei cominciarono a perseguitare Gesù, perché faceva tali cose di sabato" (5,16). Ma già dall'inizio la giustificazione, da parte di Gesù, si pone in un linguaggio che sembra blasfemo: "Il Padre mio opera sempre e anch'io opero". Gesù, infatti, giustifica la sua violazione del sabato, affermando che Dio non smette mai di agire nei confronti del creato. In questo modo però contraddice alla tradizione sacerdotale del libro della Genesi, ove si parla di 6 giorni di lavoro e 1 di riposo. Quello che scandalizza gli ebrei dotti che lo accusano non è che Gesù chiami Dio Padre perché Israele ha sempre considerato Dio come suo Padre; ma Gesù si pone come colui che assolve da grandi peccati e si pone al centro anche del sabato. In tal modo si è fatto uguale al Padre. E' chiaro che qui il testo riporta una confessione di fede nella comunità post-Pasquale, poiché era praticamente impossibile che i discepoli riuscissero a capire qualcosa in coerenza.
Gesù sviluppa due temi essenziali::

- di fronte al primo rifiuto nei confronti della sua persona, Gesù ribadisce la sua autorità di Figlio e chiama a testimoni Giovanni Battista (vv33-35), il Padre (5,36), le Scritture (vv 39-40 e Mosé (vv 45-47).

- L'autorità del Figlio, ricevuta dal Padre, implica il potere di giudicare, di dare la vita, di resuscitare i morti e di salvare i credenti.
Certo Gesù, con l'evangelista che scrive, pretende senza mezzi termini una enorme fiducia verso la sua parola.
Gesù insiste in questa dipendenza-figliolanza unica dal Padre. Anzi, nel progetto di Dio, aggiunge Gesù, ci sono opere di risurrezione che il Padre opera, "ripromettendosi di meravigliare" (v 20) e garantisce che sarà data al Figlio la capacità di offrire la vita, di aprire il giudizio e di ricevere lo stesso onore che Dio esige per sé (vv 21-23).
Gesù dà una grande testimonianza all'opera del Padre, affermando che tutto ciò che è, viene da lui. "Da me io non posso fare nulla" (v 30).
Tutto questo discorso di cui noi, oggi, leggiamo solo in parte, è fondamentale perché esprime una pienezza di disponibilità di Gesù verso il Padre poiché, per un certo verso, si presenta come un apprendista che impara con grande fedeltà davanti al maestro che insegna (v.19). L'agire di Gesù si fonda su un rapporto di amore senza riserve del Padre verso il Figlio e tutto il Vangelo, in particolare quello di Giovanni, vorrà dimostrare questa fedeltà totale di ascolto da parte di Gesù che sviluppa e matura la volontà di Dio nel tempo.
In fondo ciò che Gesù si ripromette è drammatico e sconcertante: egli propone nella vita, nel rapporto con sé e con gli altri, l'azione concreta che Dio vuole e che svilupperebbe Lui stesso qualora il Dio d'Israele, avesse preso carne e si fosse reso visibile e operante tra i suoi. Gesù si rende profondamente conto che questa è una situazione paradossale e che nessuno lo può capire perché è Dio che opera e noi invece continuiamo, ovviamente, a valutare e a pensare la realtà secondo i nostri criteri e i nostri giudizi.
Da qui il dono della misericordia di Gesù e l'invito a fidarsi di Lui.

Visitate il sito www.liturgiagiovane.it ed il relativo blog, sul quale è possibile aggiungere i vostri commenti, osservazioni, suggerimenti, proposte.

 

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