TESTO Prendere o lasciare
don Alberto Brignoli Amici di Pongo
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XXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (28/08/2011)
Vangelo: Mt 16,21-27
In quel tempo, 21Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno. 22Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai». 23Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!».
24Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. 25Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. 26Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita? 27Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni».
È abbastanza comune, tra noi che ci professiamo cristiani, un atteggiamento di "separazione", di "frattura" tra la fede professata a parole e la prassi, tra ciò che proclamiamo e celebriamo nella liturgia e ciò che viviamo nella nostra quotidianità. La spontaneità propende ovviamente più per la prima che per la seconda: ossia, ci è più facile dire con la bocca che Gesù è il Signore, il Figlio di Dio, che nemmeno dimostrarlo con i fatti, con una vita coerente col Vangelo nel quale diciamo di credere. È facile, e pure bello, proclamare Gesù come "Cristo, Figlio del Dio vivente": è un po' meno facile accettare di "rinnegare noi stessi, prendere la nostra croce e seguirlo". Dimostriamo, quindi, un'incoerenza tutta umana, anche normale, se vogliamo: è capitato a Pietro, il primo tra i discepoli del Signore, volete che non capiti pure a noi?
Il fatto che questo succeda e sia umano non significa però giustificare le nostre incoerenze e i nostri tradimenti nei confronti del Signore. Lui non li giustifica per niente, anzi: vede questa nostra incoerenza come un intralcio al compimento della sua missione di salvezza. E non ce lo manda certo a dire: di fronte alle proteste di Pietro che non accetta un Messia incamminato a Gerusalemme per soffrire ed essere messo a morte, gli appioppa il peggior titolo che un cristiano possa sentirsi dire dal suo Maestro: "satana", ovvero "l'avversario", colui che "divide", colui che intralcia i piani di Dio. E tutto questo perché Pietro, bravissimo poco prima a lasciar parlare dentro di sé la voce dello Spirito ("né la carne, né il sangue te l'hanno rivelato"), ora torna a ragionare "secondo gli uomini e non secondo Dio". Tutto ciò, per Gesù, è "scandaloso".
Lo scandalo non è, come siamo abituati a pensare, un sentimento di vergogna e di annichilamento dovuto ad atteggiamenti riprovevoli ed eclatanti commessi in pubblico. Per Gesù, lo scandalo è soprattutto l'incoerenza tra ciò che diciamo (ovvero che lo amiamo sopra ogni cosa perché lo crediamo il Figlio di Dio) e ciò che facciamo, ossia una serie di azioni, di modi fare, di pensare e di parlare che vanno contro la logica del Vangelo in cui crediamo.
Il Vangelo ha una logica particolare, che non è dettata dagli uomini, ma da Dio. Credere in lui significa accettare che le regole del gioco le detta lui, che la nostra vita la conduce lui, che le nostre scelte le determina lui. Anche se questo ci costa e non ci fa certamente piacere. Non possiamo pensare secondo la nostra mentalità, per la quale seguire un leader come Cristo ci porta al successo, alla fama, alla gloria.
Non possiamo avere la pretesa di seguire Gesù e di giocare a compromessi, come ci viene illustrato più volte nel Vangelo: un tale che vuole seguire Gesù, ma "prima vuole andare a congedarsi da quelli di casa"; oppure quell'altro che "prima vuole che lo lasci andare a seppellire suo padre"; o ancora, il giovane ricco che è dispostissimo a seguire il Signore, anzi, lo sta facendo "fin da quando era bambino" attraverso l'osservanza dei comandamenti, ma poi si tira indietro quando il Signore gli chiede la radicalità di una scelta fatta di abbandono delle proprie ricchezze e delle proprie sicurezze.
E spesso noi siamo come tutti questi personaggi: viviamo la fede in Gesù e il nostro amore per lui come un "sì, va bene, però anche...", "sì, ti seguo, ma questo no...", "sì, credo in te, però intanto...". Siamo onesti: se il messaggio cristiano nel mondo non avanza, e se il mondo oggi non crede più in Cristo non è per l'avanzata di altre religioni o per la persecuzione nei confronti del cristianesimo, che pur rimanendo fatti certi, non sono certo determinanti a scalfire la forza del Vangelo.
L'ostacolo più grande alla fede cristiana, l'avversario, l'atteggiamento "satanico" peggiore, è quello della nostra incoerenza, della logica del compromesso cui vogliamo piegare il Vangelo, in modo subdolo, prendendo "in disparte" il Signore (sì, perché tra l'altro non è che abbiamo il coraggio di dire queste cose a Gesù di fronte agli altri, per paura di essere giudicati), dicendo al Signore "no, questo non sta bene, questo non accadrà mai"!
Non possiamo confondere la logica di Dio e la nostra logica umana a nostro piacere, facendo della fede un ibrido che non ha colore, sapore e sostanza. Dire di credere in Gesù e scendere a patto con i potenti per condividere il loro potere, non è fede. Dire di credere in Gesù e lasciarci guidare dalla logica della ricchezza e del profitto, non è fede. Dire di credere in Gesù e fare di tutto per evitare di sporcarci le mani con il fango delle difficoltà, delle povertà e delle miserie del mondo per non averne dei traumi, non è fede. Dire di credere in Gesù e impedirgli di condurre la nostra vita come lui vuole, non è fede!
Sarebbe come dire a una persona: "Ti amo, ti voglio bene, sei per me la persona più importante, però se fai quello che dico io e finché fai quello piace anche a me". Questo forse può essere un modo di pensare che serpeggia tra gli uomini, anche nel nostro quotidiano: senz'altro, non è il modo di pensare e di fare di Dio.
Con lui non si gioca né si scherza. O lasci stare di pensare solo a te stesso, prendi su di te, come tua croce, la fatica della vita di ogni giorno, e vai dietro al Signore dove lui vuole, o altrimenti devi accettare di sentirti dire da lui che non sei ancora pronto per seguirlo, che devi "tornare al tuo posto, dietro di lui" (come dice a Pietro), smetterla di contrastarlo e cercare di entrare nella sua logica.
Ed entrare nella logica di Dio non è un fattore umano. Non è una cosa determinata dalla nostra coscienza. Non è una decisione della nostra volontà, per altro molto poco incline alla sofferenza e alla croce. È un fatto di cuore. O Dio lo segui perché lo ami, perché ti brucia dentro l'esistenza, nonostante la limitatezza del tuo essere uomo, oppure lasci perdere.
Geremia, nella prima lettura, ce lo spiega molto bene: "Ero stanco di annunciare la Parola di Dio e di essere suo profeta. Per me era solo motivo di contrasto, di vergogna, di presa in giro. Possibile che tutte le volte che annunciavo le parole del Signore dovevo creare tensione intorno a me, mentre gli uomini volevano esser lasciati in pace? E allora, a un certo punto mi sono detto: basta! Lascio perdere! Che senso ha seguire Dio? Lo eliminerò dalla mia vita, e vivrò pacifico e beato come tutti gli altri!". Come se ciò fosse facile...
Quando Dio entra nella vita di un uomo e l'uomo riesce, sia pur con difficoltà, ad innamorarsi di lui, a "lasciarsi sedurre da lui", non riesce più a farne a meno: "Ma nel mio cuore c'era un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo".
La lotta per essere cristiani coerenti continua. Ma non è una lotta contro Dio. È una lotta contro le nostre incoerenze. L'importante è non scendere a compromessi. Prendere o lasciare: con Gesù non c'è alternativa.