TESTO Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati
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IX domenica dopo Pentecoste (Anno A) (14/08/2011)
Vangelo: Mt 4,18-22
1Entrò di nuovo a Cafàrnao, dopo alcuni giorni. Si seppe che era in casa 2e si radunarono tante persone che non vi era più posto neanche davanti alla porta; ed egli annunciava loro la Parola.
3Si recarono da lui portando un paralitico, sorretto da quattro persone. 4Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dove egli si trovava e, fatta un’apertura, calarono la barella su cui era adagiato il paralitico. 5Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico: «Figlio, ti sono perdonati i peccati».
6Erano seduti là alcuni scribi e pensavano in cuor loro: 7«Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può perdonare i peccati, se non Dio solo?». 8E subito Gesù, conoscendo nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: «Perché pensate queste cose nel vostro cuore? 9Che cosa è più facile: dire al paralitico “Ti sono perdonati i peccati”, oppure dire “Àlzati, prendi la tua barella e cammina”? 10Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra, 11dico a te – disse al paralitico –: àlzati, prendi la tua barella e va’ a casa tua». 12Quello si alzò e subito presa la sua barella, sotto gli occhi di tutti se ne andò, e tutti si meravigliarono e lodavano Dio, dicendo: «Non abbiamo mai visto nulla di simile!».
Agli inizi del suo vangelo, Marco vuole progressivamente mostrarci "chi" è quel singolare rabbi itinerante di nome Gesù. Dapprima Lo abbiamo visto predicare, compiere esorcismi (Mc.1,23-7) e guarigioni (Mc.1,29-31 e 40-45). Nell'episodio di oggi compare un elemento nuovo: il perdono.
Un paralitico viene portato sul suo lettuccio da quattro persone, che, non potendo entrare nella casa dove si trovava Gesù a causa della gran folla che sbarrava l'ingresso, decidono con molta prontezza di salire dalla scala esterna e di praticare un'apertura nel tetto, che, come si usava allora, era costituito da un graticcio di canne, rami, fieno e travi, impermeabilizzato con uno strato di argilla.
Essi riescono così a calare il lettuccio all'interno, proprio nel punto dove si trova il Nazareno, dimostrando con il loro notevole impegno di nutrire la massima fiducia nella potenza risanatrice di Gesù. Quest'ultimo - dice il testo - "vista la loro fede"......la fede di chi? certamente quella dei quattro barellieri e probabilmente anche quella del paralitico, che aveva voluto farsi portare fin lì.
A questo punto tutti si aspetterebbero che Gesù, in risposta ad una fede così grande, compia il miracolo della guarigione. E invece Egli dice: "Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati" (v.5).
Perché mai?
Si può rispondere a tale interrogativo con una serie di considerazioni.
Anzitutto nella mentalità del tempo peccato e malattia erano strettamente collegati, essendo ritenuto il primo la causa della seconda, con conseguente disprezzo ed emarginazione per chi dichiarava così palesemente le proprie colpe; Gesù sapeva di questa mentalità e conosceva anche l'affermazione della Mishnà (= la raccolta dei commenti rabbinici alle Scritture): "il malato non può risorgere dalla sua malattia finché non gli sono stati rimessi i peccati". Dunque, pronunciando quella frase, Gesù ha mostrato di andare alla radice della malattia stessa e di poterla cancellare.
Ma forse c'è un altro intento nel Maestro; di fronte ad una fede così grande, Egli non vuole limitarsi ad un gesto di misericordia, ma far capire che davvero in Lui sono iniziati i tempi messianici, quelli in cui "nessuno degli abitanti dirà: - Io sono malato -; il popolo che vi dimora è stato assolto dalle sue colpe" (Isaia 33,24) e, come dice il Signore, "Io perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò più del loro peccato" (Geremia 31,34).
Ancora: è evidente l'intento di Marco di presentare in questo episodio la divinità di Gesù. E' solo Dio che dice agli uomini "Figlio!" e Gesù chiama il paralitico proprio con questo epiteto. Non solo, ma subito dopo Egli mostra di conoscere istantaneamente quello che pensano gli scribi in cuor loro e anche questa è una prerogativa di Dio, che solo "scruta i cuori" (Ger.17,9-10; Salmo 44,21-22).
Tuttavia la dichiarazione di Gesù circa la remissione dei peccati suscita la prima di cinque controversie con scribi e farisei che si snoderanno nel secondo capitolo del vangelo.
Gli scribi infatti pensano: "Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?" (v.7). Effettivamente fino a quel momento la remissione dei peccati, sia del singolo che di tutto il popolo, avveniva mediante complessi riti e sacrifici, culminanti nella giornata del Kippur o "Espiazione", presieduti dai sacerdoti (per i particolari, si possono leggere i capp. 5, 6, 16 del Levitico). Ogni perdono poteva venire solo da Dio attraverso il sacrificio espiatorio; lo ribadisce anche la 1° lettura di oggi: "dice il Signore: - Io, io cancello i tuoi misfatti, per riguardo a me non ricordo più i tuoi peccati.- " (Is.43,25)
Agli occhi degli scribi attribuirsi un tale potere era una gravissima bestemmia, che doveva essere punita con la pena capitale (come dicono Levitico 24,11 e Numeri 15,30).
Ma Gesù risponde adeguatamente all'accusa, con una dimostrazione tipica del modo di pensare giudaico, una deduzione "dal maggiore al minore": se Egli compie ciò che è " più difficile", è ovviamente in grado di fare anche "il più facile"; ora, dal punto di vista umano "il più difficile" è la guarigione fisica, che può essere osservata e constatata anche materialmente, mentre "il più facile" (sempre dal punto di vista umano) è la remissione dei peccati, che viene proclamata verbalmente e non ha possibilità di riscontro concreto.
Gesù dà prova di saper compiere "il più difficile": con la sua Parola efficace, ordina al paralitico di alzarsi e questi improvvisamente è in grado di farlo, "e tutti si meravigliarono e lodavano Dio dicendo: - Non abbiamo mai visto nulla di simile! -" (v.12)
Ma che cosa aveva detto Gesù prima dell'ordine al paralitico? "Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, ti ordino....." (v.10) L'espressione "Figlio dell'uomo", usata qui per la prima volta da Marco, evoca la visione di Daniele 7, 13-14: "ecco apparire, sulle nubi del cielo, uno, simile ad un figlio di uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui, che gli diede potere, gloria e regno;.....il suo potere è eterno.....e il suo regno non sarà mai distrutto": è la figura del giudice escatologico (cioè della fine dei tempi) dotato di ogni potere divino. Ebbene - dice Gesù - questo "Figlio dell'uomo" (espressione usata solo dal Nazareno e in riferimento a se stesso) già esercita ora, sulla terra (v.10), il potere divino di giudicare e perdonare i peccati, senza che si debba aspettare la fine del mondo.
Il testo non dice nulla della reazione degli scribi, ma se pensiamo ai loro successivi comportamenti (ben documentati dai vangeli), è facile immaginare che non rientrarono certo nel coro della folla meravigliata e osannante; molte altre "prove" in tal senso avrebbe dato Gesù nei tre anni del suo ministero, ma tutte inutili per gli occhi accecati e il cuore indurito di scribi e farisei, visto che proprio l'accusa di bestemmia sarebbe stata nuovamente ripresentata e decisiva al processo di Gesù davanti al Sinedrio, dove per questa "sentenziarono che era reo di morte" (Marco 14,64).
Abbiamo detto che la guarigione del paralitico era "la prova più difficile" dal punto di vista umano, ma non per Gesù, per il quale era al contrario più arduo - e anche più importante - annunciare e attuare il messaggio della salvezza, che è innanzitutto riconciliazione con Dio mediante la remissione dei peccati; qui non si vede ancora come essa avvenga; ma nell'insieme del vangelo appare chiaramente qual è il suo prezzo altissimo: la morte stessa di Gesù. Leggiamo infatti nell'episodio dell'ultima cena: "...poi prese il calice e lo diede loro dicendo: - Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell'alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati" (Matteo 26,27-28).
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