TESTO Il Regno dei Cieli è simile a un tesoro
XVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (28/07/2002)
Vangelo: Mt 13,44-52
In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «44Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo.
45Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; 46trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra.
47Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. 48Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. 49Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni 50e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti.
51Avete compreso tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». 52Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».
In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «44Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo.
45Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; 46trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra.
A conclusione del suo lungo discorso in parabole Gesù ci dice: "Avete capito tutte queste cose?". Avete capito cosa è il Regno di Dio, quale sia cioè la novità, la radicalità e decisività di questo modo specifico di vedere e vivere la vita?
"Gli risposero: Sì". Lo possiamo dire anche noi? Non nel senso che tutti - per nascita, per contesto familiare, per tradizione sociale - "non possiamo non dirci cristiani", e quindi non possiamo non battezzare i figli, sposarci in chiesa, fare funerale religioso...; non nel senso che in fondo il vangelo non è altro che un invito a volerci più bene, ad essere onesti, un po' cioè di buon senso e perbenismo, che non stona in una società borghese che non vuol scocciare nessuno...; ma il sì che si aspetta Cristo da noi è un sì personale, convinto, ben consapevole dei contenuti e dello stile propri che il progetto cristiano costituisce entro appunto la cultura illuministico-secolarizzata che regna ormai dovunque in mezzo a noi.
Chiediamo con umiltà oggi anche noi - come ha fatto Salomone ricordatoci nella prima lettura - "non una lunga vita, né la ricchezza, né la morte dei nemici, ma il discernimento nel giudicare", perché possiamo divenire - come sogna Gesù oggi nel vangelo - discepoli del Regno dei cieli, "capaci di estrarre dal proprio tesoro cose nuove e cose antiche".
1) IL TESORO E LA PERLA
"Il Regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo". Così è per la perla preziosa, dove il mercante esperto... "va, vende tutti i suoi averi e la compra".
Qui si tratta prima di tutto di saper cogliere il valore del tesoro e della perla, di stimare cioè come primario e assoluto il Regno di Dio, al di sopra di ogni altra cosa o persona; di intuire che si è davanti all'occasione unica, alla possibilità che decide di tutta una vita quando si è davanti al vangelo di Gesù. Saper cogliere questo è però quello che noi chiamiamo il dono della fede, per la quale bisogna pregare, ma che richiede sia anche alimentata da una conoscenza ben specifica di quello che è il dono di Dio.
Già Gesù si lamentava con la Samaritana: "Se tu conoscessi il dono di Dio, tu stesso avresti chiesto quest'acqua viva" (Gv 4,10). Molti non sono cristiani perché non conoscono, e quindi non stimano quanto prezioso e assolutamente significativo sia il vangelo per l'autentica e piena riuscita dell'uomo. Non sono cristiani perché non sono credenti.
Ma poi si esige di agire di conseguenza. Se il dono di Dio è il massimo tesoro, a quello si deve relativizzare tutto il resto, e se necessario, sacrificarvi tutto. E' la radicalità della sequela. "Nessuno può servire a due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro, o preferirà l'uno e disprezzerà l'altro: non potete servire a Dio e a mammona" (Mt 6,24). Si tratta di fare tutto il necessario per assicurarsi l'ingresso nel Regno dei cieli; non approfittarne, sarebbe una imperdonabile insipienza.
Nulla è troppo caro di fronte al bene offerto: puntare su questo bene tutto quello che si possiede e si è, significa realizzare l'unico affare straordinario della propria vita. Magari noi siamo anche convinti di queste cose; ma come ne siamo coerenti? Crediamo sì al vangelo, ma come a realtà che tocca solo la nostra coscienza, o al massimo la nostra vita privata. Non sempre siamo totalitari nell'applicarne i principi e lo stile nella nostra vita familiare e sociale.
E forse non siamo sempre così convinti e orgogliosi che il vangelo sia davvero l'unico modo che esprime la più sana umanità e convivenza. Non per imporlo a nessuno, ma per testimoniarlo come un bene e una ricchezza per tutti. Troppo spesso "due morali" parallele guidano la nostra vita e la nostra storia. Ma sta proprio in questa separazione la radice di tanto disagio personale e sociale della nostra convivenza di uomini divisi.
2) LA RETE GETTATA NEL MARE
L'altra, l'ultima parabola di questo capitolo è ancora un invito a considerare decisiva la scelta per Cristo o contro di Lui. Non è indifferente stare dalla parte di Dio o contro di Lui. "Il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva e poi, sedutisi, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi".
Certo che si può vivere anche come si vuole, e infischiarsene di essere "buoni" o "cattivi" rispetto a quel che è il giudizio di Dio. Ma alla fine è la qualità della vita che determina il nostro destino; Gesù è esplicito: "Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridor di denti". Come nella parabola di domenica scorsa, dove si parlava del fuoco che brucia la zizzania.
Domandiamoci seriamente: che cosa significa buono e cattivo? Perché ci deve essere un giudizio su buono e cattivo? Non è la mia coscienza l'ultimo soggetto di riferimento? Perché non sono libero di concepire e attuare la vita secondo miei criteri personali, senza altri riferimenti esterni? Oggi questo è problema radicale in un contesto culturale a forte pressione soggetivista. Ebbene no: noi non siamo liberi, non siamo mai stati liberi rispetto alla felicità, cioè rispetto alla riuscita della propria vita, perché non siamo stati liberi nella progettazione e creazione di noi.
Noi siamo costruiti in un certo modo ben preciso, prima e indipendentemente dal nostro parere; siamo come una macchina costruita in un certo modo che a noi è affidata solo da far funzionare bene. L'ambito della nostra libertà è ben limitato: è del resto nella logica di ogni cosa chiamata a realizzare in pieno il progetto per cui è stata fatta.
Ora l'uomo - lo si voglia o non si voglia - è stato fatto a immagine di Dio, anzi meglio, "predestinato ad essere conforme all'immagine del Figlio suo", è cioè stato fatto e strutturato per essere niente di meno che come Dio, per divenire "simile a Lui". Non c'è altro progetto e altro traguardo che lo possa realizzare e saziare. San Paolo oggi nella seconda lettura delinea addirittura tutto lo svolgersi della nostra esistenza secondo Dio in cinque verbi che scandiscono il suo disegno su di noi: conosciuti, predestinati, chiamati, giustificati, glorificati! Il bisogno di Dio è quindi strutturale in noi; la comunione con lui costituisce il contenuto oggettivo di quello che noi chiamiamo felicità!
E' su questo riferimento oggettivo che si pone il giudizio di buono e cattivo, è rispetto a questo destino, a questa chiamata o vocazione, che viene misurata la moralità o meno di ogni nostro gesto che riguarda la vita. Uno potrà dire che non ci sta, che non gli piace; ma è il dato di fatto; come del bambino che necessariamente è fatto e strutturato ad immagine dell'umanità dei suoi genitori.
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Tutta la passione e la premura di Dio è per aiutare l'uomo a capire e vivere questa proposta e chiamata alla vita piena. "Noi sappiamo - ci dice Paolo oggi nella seconda lettura - che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno". Ecco tutto il punto. Noi sospettiamo di Dio, quasi crederlo nostro avversario, mentre in realtà è lui che vede e vuole il mio bene più di quello che io non veda e voglia di me.
Il suo è un progetto molto più bello e grande d'ogni mio stesso sogno: non ho che da abbandonarmivi con fiducia e docilità evitando di ridurre a miei schemi più meschini un progetto grande quanto il cuore di Dio. Preghiamo il Signore che ci faccia attuare il suo disegno, come Gesù ci ha insegnato a dire: "Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra".