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TESTO Commento su Primo Maccabei. 1, 10. 41-42; 2, 29-38, Efesini. 6, 10-18 Marco. 12, 13-17

don Raffaello Ciccone   Acli Provinciali Milano, Monza e Brianza

Domenica che precede il martirio di S. Giovanni il Precursore (Anno A) (28/08/2011)

Vangelo: 1 Mac 1, 10. 41-42; 2, 29-38, Ef 6, 10-18 Mc 12, 13-17 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 12,13-17

13Mandarono da lui alcuni farisei ed erodiani, per coglierlo in fallo nel discorso. 14Vennero e gli dissero: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno, ma insegni la via di Dio secondo verità. È lecito o no pagare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo dare, o no?». 15Ma egli, conoscendo la loro ipocrisia, disse loro: «Perché volete mettermi alla prova? Portatemi un denaro: voglio vederlo». 16Ed essi glielo portarono. Allora disse loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». 17Gesù disse loro: «Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio». E rimasero ammirati di lui.

Lettura del primo libro dei Maccabei. 1, 10. 41-42; 2, 29-38
I 2 libri dei Maccabei raccontano le vicende del popolo ebraico negli anni che vanno dal 170 al 130 a. C., mentre la Palestina è dominata dai Seleucidi che risalgono, con il loro potere, alla spartizione dell'impero, conquistato da Alessandro Magno e suddiviso tra i suoi generali alla sua morte, avvenuta nel 323 a. C.
Nel 174 a.C. il governo viene assunto da Antioco IV Epifane ("incarnazione di Giove") che governa la Siria e che vuole ellenizzare il popolo d'Israele.
Ci sono state diverse vicende e diverse posizioni che sono andate radicalizzandosi fino a diventare scontro religioso e quindi, via via, scontro di eserciti.
Con questi libri il popolo d'Israele vuole far fare memoria della resistenza che si costituisce come una guerriglia partigiana, per lo più, ma anche con scontri di eserciti, per lo meno con quelle truppe che la Siria invia per sottomettere e vincere i rivoltosi. Il cuore di questa resistenza attiva si costituisce attorno alla famiglia dei Maccabei.
Il nuovo re ellenista coltiva la prospettiva di costituire "un solo popolo"; ma il progetto politico diventa pericoloso quando vengono abbandonate le proprie tradizioni, soprattutto religiose, e ci si deve sottomettere a mentalità straniere. Viene così abbandonato il riposo del sabato, vengono accolti culti pagani (da non dimenticare che il tempio di Gerusalemme è stato completamente saccheggiato e, quindi trasformato nel tempio di Giove); sono proibiti e distrutti i libri sacri, pena la morte per chi li possiede, si incoraggiano unioni matrimoniali con i pagani.
La guerra partigiana inizia con la reazione di Mattatia, capostipite della famiglia Maccabei, che rifiuta di sacrificare agli dei, "uccide un giudeo che vuole sacrificare secondo l'ordine del re e uccide, nello stesso tempo, il messaggero del re che vuole indurre al sacrificio" (1Macc 2,23-26).
Tra coloro che si danno alla macchia ci sono persone che, pur di obbedire alla legge del sabato, non si difendono e vengono così trucidate. Mattatia che è diventato, per acclamazione, capo della rivolta, risolve il problema in una decisione unanime, proclamando la legittimità della difesa armata anche di sabato e così viene espressa dalla scuola farisaica: "Noi combatteremo contro chiunque venga a darci battaglia anche in giorno di sabato" (2,41).
Il testo dimostra che l'oppressione comincia quando si deforma con la violenza o con la suggestione la linea morale e religiosa di un popolo. Difendere la libertà religiosa è l'inizio di una libertà più ampia che porta ogni uomo e donna ad essere rispettati nelle proprie esigenza fondamentali e nei propri diritti universali. Come è scorretto accontentarsi della libertà di culto senza procedere all'attenzione di una liberazione profonda delle persone, così non è nella linea credente non occuparsi di una visione più ampia delle nostre attenzioni: ci sono molte povertà materiali e morali che vanno prese in carico, verificate e sostenute insieme.
Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini. 6, 10-18
Il capitolo 6 propone una prima breve raccolta di suggerimenti etici rivolti ai figli, ai genitori, agli schiavi ed ai padroni. In tal modo Paolo ha impostato linee morali di relazioni, legate da rapporti naturali e istituzionali, nella prospettiva di reciprocità e fraternità, a somiglianza di quello che deve avvenire nella comunità.
Ma la vita quotidiana si allarga ad infinite altre situazioni e occasioni per ciascuno che deve vivere con responsabilità, affrontando nella fede, il bene e il male, le potenze e la suggestione, la fatica e la solitudine, lo sconforto e la sconfitta.
Paolo sintetizza la vita cristiana come fedeltà e testimonianza, sapendo che solo il Signore sa offrirne la forza. La vita quotidiana è un combattimento di fronte a cui bisogna attrezzarsi e per cui bisogna pregare.
Ci sono degli avversari potenti, che non sono soltanto persone umane, "fatte di carne e sangue" (6,12), ma sono potenze: principati e potestà, signori della tenebra, potenze demoniache che dominano il mondo, davanti a cui bisogna resistere con forza. Si risentono qui una terminologia ed un mondo propri della mentalità giudaica che esaspera e personifica la lotta contro Gesù e il mondo di Dio e che, quindi, vuole travolgere anche il mondo dei discepoli e dei credenti.
Affascinati dalla potenza e dalla forza dell'esercito romano in assetto di guerra, vengono trasposti sul cristiano le attrezzature e l'equipaggiamento di difesa e di offesa del soldato romano, come esemplificazione di valori e forze di Dio che combattono le potenze del male.
L'armatura di Dio, la cintura della verità, la corazza della giustizia, le calzature, lo scudo, la spada e l'elmo completano la garanzia di una difesa che sa rischiare il pericolo, difendere la fede, percorrere le strade del mondo, comunicare una Parola nuova, offrendo lo Spirito. Tutto l'armamentario è attrezzatura di difesa tranne la spada, la Parola che ricrea, arma offensiva che apre un varco e comunica lo Spirito.
La raccomandazione della preghiera vuole raggiungere più scopi: la consapevolezza della fragilità, la garanzia di essere aiutati e il ricupero della speranza perché ci si attrezza anche di "vigilanza". E la vigilanza si sviluppa " in ogni perseveranza e in supplica per tutti i discepoli", compagni di viaggio delle proprie comunità.
Lettura del Vangelo secondo Marco. 12, 13-17
L'episodio è raccontato in termini pressoché identici in Matteo (22,15-22), in Luca (20,20-26) e in Marco (12,13-17).
A Gesù viene proposto un quesito morale da parte di un gruppo di farisei ed erodiani, che, insieme, vogliono risolvere correttamente e con giustizia un problema di coscienza. Ma il problema è quanto mai delicato e pericoloso ed i presentatori, insieme, sono solo d'accordo nel porre la domanda. La soluzione, essi pensano, comunque fosse formulata, mette in contraddizione l'interlocutore: con l'autorità romana, spalleggiata dagli erodiani nel caso Gesù rispondesse che è illecito pagare un invasore; oppure, nel caso Gesù voglia suggerire la liceità del pagare le tasse, sarebbe sospettato di collusione con il potere e i farisei ne farebbero una propaganda feroce contro. Così una buona fascia di ebrei avrebbe sentito la risposta come un insulto poiché la risposta faceva correre il rischio di incappare anche in una delazione e in un processo, oppure, per lo meno, al discredito davanti al popolo. Così ne soffrirebbe la credibilità del profeta.
Siamo nell'ultima settimana di vita di Gesù che si trova nel tempio di Gerusalemme.
Ogni persona dai 12 anni (se donna) o 14 anni (se uomo), fino ai 65 anni deve pagare all'erario romano un danaro all'anno (testatico), equivalente ad una giornata di lavoro. Per esigere questa tassa si sono fatti i censimenti, considerati, perciò, strumenti di dominio, potenza e sfruttamento.
Gli interlocutori di Gesù iniziano adulando la correttezza e la libertà del "maestro".
Lo hanno chiamato "maestro" e Gesù sente il dovere di rispondere. Chiede una moneta (che Gesù non ha) ma che gli interlocutori trovano facilmente, mostrando però che disobbediscono alla legge poiché, nel tempio, una immagine umana scolpita, anche se su una moneta, lo profana.
Il danaro di Tiberio Cesare, imperatore in quel momento, ha da un lato la rappresentazione dell'imperatore di Roma e sul retro il titolo di Sommo Pontefice e l'immagine di una donna seduta, simbolo della pace, forse Livia, madre di Tiberio.
Se estraggono la moneta, è perché la usano, vengono pagati con questa moneta e al mercato comprano e vendono con questa moneta. Anzi, proprio perché la mostrano, fanno capire di non avere scrupoli di usarla, salvo il momento di pagare le tasse. Ma la moneta è essenziale per la ricchezza, il commercio, la stabilità delle strade, la pace che tutti utilizzano. Allora "Voi pagate, "restituendo" (questo è il vero significato del testo) a Cesare quello che è opera dell'impero" e quindi, giustamente pagate le tasse per un servizio che tocca tutti. Non c'è ragione per un'evasione fiscale: e questo esaurisce il rapporto con l'impero. Resta tutto l'altro. "Restituite a Dio quello che è di Dio" che è l'uomo, che porta l'immagine di Dio come la moneta l'immagine dell'imperatore. E si restituisce a Dio, facendo la sua volontà, offrendo amore a chi Dio ama, migliorando il mondo che il Signore ha fatto con sapienza come dono, ricostruendo, operando, guarendo e perdonando.
Se sfrutti, se schiavizzi, se rifiuti, se strumentalizzi, se domini, non restituisci a Dio la bellezza della sua creazione.
Quando Paolo scrive ai romani la sua lunga lettera teologica, si sofferma anche con molta attenzione a raccomandare ai cristiani un comportamento corretto di cittadini esemplari.
"(Romani 13,1-7) Ciascuno sia sottomesso alle autorità costituite. Infatti non c'è autorità se non da Dio: quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all'autorità, si oppone all'ordine stabilito da Dio. E quelli che si oppongono attireranno su di sé la condanna. I governanti infatti non sono da temere quando si fa il bene, ma quando si fa il male. Vuoi non aver paura dell'autorità? Fa' il bene e ne avrai lode, poiché essa è al servizio di Dio per il tuo bene. Ma se fai il male, allora devi temere, perché non invano essa porta la spada; è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi fa il male. Perciò è necessario stare sottomessi, non solo per timore della punizione, ma anche per ragioni di coscienza. Per questo infatti voi pagate anche le tasse: quelli che svolgono questo compito sono a servizio di Dio. Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi si devono le tasse, date le tasse; a chi l'imposta, l'imposta; a chi il timore, il timore; a chi il rispetto, il rispetto".
Il compito che viene richiamato con responsabilità è quello di preoccuparsi del bene comune e il nostro tempo ha, per fortuna, maturato la consapevolezza che lo Stato debba preoccuparsi delle situazioni più difficili e più povere, insieme con la società civile, perché siano riconosciti per tutti la dignità di una vita decorosa. Di questo debbono preoccuparsi tutti, portando un contributo di solidarietà e di attenzione. Ma la prima solidarietà è pagare le tasse e fare in modo che tutti le paghino con coerenza, in una società che non moltiplica gli sprechi, smantellando quel diffuso senso di illegalità e quella prevalenza di interessi privati che rendono, la nostra società, una realtà di furbi che sfrutta le ingenuità e le povertà dei deboli.
Nella società civile la comunità cristiana dove poter mostrare una lealtà ed una passione tali da riesprimere, attraverso la propria operosità, il senso della solidarietà e l'incoraggiamento al superamento della rassegnazione.
Si rende allo Stato e si rende a Dio un mondo fatto di responsabilità e di libertà, attenti alle fragilità diffuse.

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