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TESTO Commento su Giosuè. 4, 1-9, Romani. 3, 29-31, Luca. 13, 22-30

don Raffaello Ciccone   Acli Provinciali Milano, Monza e Brianza

VII domenica dopo Pentecoste (Anno A) (31/07/2011)

Vangelo: Gs 4, 1-9, Rm. 3, 29-31 Lc 13, 22-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 13,22-30

22Passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. 23Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Disse loro: 24«Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. 25Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. 26Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. 27Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. 28Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. 29Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. 30Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».

Lettura del libro di Giosuè. 4, 1-9
Il popolo d'Israele ha ormai completato il suo itinerario nel deserto ed è alle soglie della terra promessa. Mosé è morto. Egli aveva sviluppato fino alla fine della sua vita il suo compito, e aveva intravisto la terra promessa da lontano, dal monte Nebo.
Ora il popolo ha bisogno di un nuovo mediatore che conosca bene la fedeltà verso Dio, il ruolo di mediazione come l'ha saputo sviluppare Mosé, il compito di reggere le tribù che debbono affrontare situazioni completamente nuove.
L'ingresso nella terra promessa è segnata dallo stesso miracolo che gli ebrei hanno intravisto nel passaggio del Mar Rosso: ciò che poteva fare sbarramento, per la forza di Dio, diventa strada per sviluppare i progetti e la liberazione di Dio. Così Iahvé ordina a Giosuè di scegliere 12 uomini, uno per tribù, perché portassero 12 pietre tolte dal Giordano per costituire insieme, sull'altra riva, un altare e offrire un sacrificio di lode e di ringraziamento al Signore. Un secondo comando viene dato sempre ai 12: portare le pietre nel letto del Giordano perché siano visibili, resistendo all'impeto della corrente.
Anche qui, come in altre situazioni, c'è la preoccupazione di individuare la possibilità di compiere una catechesi per le nuove generazioni: così le pietre diventano occasione di interrogativi. E' dall'interrogativo che nasce l'occasione di una memoria che renda ogni volta il senso della vita attuale come opera di Dio. Tale opera è avvenuta nel proprio passato, ma continua attraverso la fede ancora oggi.
Le pietre sono come il memoriale di una salvezza e conservano una propria validità perenne, allo stesso modo di una celebrazione liturgica.
Il testo sottolinea la continuità di un progetto, fatto per il popolo, indipendentemente dagli attori che, di volta in volta, sentono la colpevolezza della mediazione.
È molto chiaro qui il valore dell'ubbidienza, della responsabilità, della liberazione.
Il testo riprende anche la preoccupazione educativa verso le nuove generazioni e dà dei suggerimenti interessanti: bisogna porre segni, fare segnali, provocare gesti che facciano nascere domande. Se c'è la domanda, esiste anche la possibilità di penetrare nella coscienza di ciascuno, ponendovi il significato religioso. In questo caso l'azione di liberazione che Dio ha compiuto per questo popolo diventa un'azione consapevole di grazia, di dono, di riconoscimento, di coesione di popolo.
Lettera di san Paolo apostolo ai Romani. 3, 29-31
Una grande consapevolezza ed una quotidiana esperienza di Paolo nella propria vita è la coscienza di non poter pensare la legge come fonte di giustificazione. Paolo non toglie il valore obiettivo della fedeltà ai comandamenti, ma diventa critico sull'atteggiamento soggettivo di autosufficienza dell'osservante della legge. Non è la legge che salva, ma è la fede in Gesù che porta il dono di grazia di Dio. È Dio che libera in una pienezza di accoglienza e non è l'uomo che diventa fonte di salvezza di se stesso. Non è l'atteggiamento di vanto per le opere compiute della legge che merita una salvezza, mentre ci si appoggia su di loro; né è possibile realizzare il proprio destino raggiungendo Dio con le proprie forze. Solo nella fede l'uomo attesta la propria radicale insufficienza e quindi, mettendosi nelle mani di Dio, riceve il suo dono. In questo caso la fede apre gli occhi sulle esigenze dell'amore e incoraggia ad operare per mezzo della carità (Galati 5,6), producendo una operosità secondo lo Spirito (8,2), esso stesso dono di grazia.
L'unico Dio che è di tutti, offre a tutti la strada di novità e di accoglienza al di fuori della legge mosaica.
"Giudei e Greci sono tutti sotto il dominio del peccato": è la coscienza che Paolo ribadisce nei primi due capitoli della "Lettera ai romani". Ma il fatto di essere consapevoli non significa perciò essere capaci di potersi liberare dal male. E' la giustizia di Dio che ci salva, e Dio la compie attraverso un nuovo strumento di espiazione" (3,25: viene ricordato che l'arca, segno della presenza di Dio, aveva un coperchio d'oro ("propiziatorio") che il sommo sacerdote, nel giorno dell'espiazione, aspergeva con il sangue delle vittime sacrificate per ristabilire l'alleanza con Israele). In Gesù c'è una nuova presenza di Dio e il sangue di Gesù, offerto con amore sulla croce, è lo strumento di perdono per la riconciliazione con Dio. La croce di Gesù ci apre orizzonti inimmaginabili di accoglienza che Dio fa per tutti e la fede in Gesù porta a questa speranza di amore che Gesù ha per tutti gli uomini.
Sono allargati fino all'inverosimile gli orizzonti del paradiso per cui incontriamo un'umanità passata e presente che non ha conosciuto Dio attraverso Gesù, ma lo ha atteso, cercato, sperato. Il Signore, con sorpresa di tutti, anche nostra, apre al mondo la pienezza della sua gioia.
Lettura del Vangelo secondo Luca. 13, 22-30
Gesù, dice l'evangelista Luca, sta svolgendo il suo compito educativo attraverso la predicazione mentre ha come meta Gerusalemme: "Passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme" (v 22).
La domanda che gli viene rivolta da uno sconosciuto "Sono pochi quelli che si salvano?", è suggestiva ed ha già ricevuto alcune risposte negli scritti giudaici dell'epoca. Avrebbe aperto un'infinita discussione teologica anche nel gruppo dei discepoli. Alla fine, però, sarebbe diventata inutile e irrilevante.
Gesù non si presta a questi interrogativi curiosi e, addirittura, statistici, ma rimanda alla serietà del problema della salvezza, filtrato tuttavia nel modo di affrontare, da parte di ciascuno, le proprie scelte.
Questo testo è molto più somigliante a brani riportati da Matteo che parla facilmente di fuoco della Geènna, di separazioni tra pecore e capri, di pianto e stridore di denti.
Luca, invece, presenta un Gesù molto più comprensivo e indulgente, misericordioso e paziente. Ma questa volta Gesù profila minacce e condanne.
Si parla di una porta stretta da attraversare e quindi, all'improvviso, i ritardatari o coloro che hanno la presunzione di biglietti personali di invito si sentono respinti perché il padrone ha sbarrato l'entrata. Probabilmente Luca si rende conto che molti cristiani stanno annacquando il messaggio di Gesù, nelle comunità che lui conosce, e che stanno fidandosi troppo della propria conoscenza, dimenticando la responsabilità dell'essere cristiani nel mondo.
"Sforzarsi di entrare per la porta stretta" significa perdere le proprie supponenze, la presunzione di avere strade privilegiate, la garanzia di essere accettati da Dio. Solo colui che è piccolo, e che sa di non meritare nulla, si preoccupa della misericordia di Dio e si sforza di entrare nella prospettiva che il Signore gli apre.
- "Sforzatevi". In questo caso, però, il problema non si pone più su quanto il Signore è disponibile a salvare. Il problema si pone su quanto ciascuno di noi è disposto ad impegnarsi fino in fondo.
Collegato con l'insegnamento che Gesù sta sviluppando nel suo cammino mentre sale a Gerusalemme, lo "sforzatevi" rimanda non tanto ad un allenamento sportivo, ma ad un impegno verso mete attese e conquistate. L'alternativa si gioca nel non essere "operatori di iniquità".
- La parabola del banchetto, a cui però si accede per una porta stretta, e che può essere improvvisamente chiusa, pone infiniti e angosciosi interrogativi.
Quelli che sono entrati sono tanti, da tutto il mondo (c'è il richiamo ai quattro punti cardinali), probabilmente neppure conoscitori di Gesù che pure è al centro del banchetto. Eppure tutti questi, consapevoli o meno, si sono impegnati e si sono sforzati di cercare la strada del Signore.
Quelli che sono rimasti fuori si direbbero conoscenti, ascoltatori e amici di Gesù, alcuni curiosi, alcuni diffidenti, probabilmente, però, molti simpatizzanti del messaggio che Gesù propone. Questi bussano con violenza, insistono e, per quello che dicono, pretendono che la porta si apra per loro.
Chi sono coloro a cui Gesù si rivolge? Certamente, Gesù fa riferimento ai suoi contemporanei che lo hanno ascoltato, ma non hanno accettato né le scelte che ha suggerito e né l'insegnamento come traduzione della volontà di Dio nell'oggi. Ma i riferimenti sono anche rivolti ai cristiani che Luca ha davanti, mentre scrive, e a cui ha proposto il messaggio di Gesù. E i riferimenti sono rivolti alla Chiesa di oggi, costituita anche da credenti che non accettano di impegnarsi nella linea della giustizia e della responsabilità. Certamente Luca, nel rileggere la proposta di Gesù, non dimentica di passare attraverso la misericordia di Gesù che continua ad essere accogliente, ma che sta dalla parte dei poveri e vuole loro portare speranza. Luca continua a raccontare l'abbraccio del Padre con il "figliol prodigo che torna". Ma questo non significa che allora il messaggio di Gesù sia insignificante, superficiale, generico, banale.
Nell'impegno dello "sforzarsi" ci sono la ricerca di un cambiamento, il coraggio di sgretolare le incrostazioni, la fiducia nel ritrovare il senso più profondo della parola che Gesù insegna, la sua passione ("Gesù cammina verso Gerusalemme"), il superamento della delusione e della disperazione attraverso la risurrezione di Gesù e nostra.
Alla fine Gesù, alla domanda iniziale, risponde. Sono infiniti coloro che si salvano, e i loro volti saranno una sorpresa perché verranno da tutte le nazioni. Ma ciascuno saprà di avere avuto un rapporto unico con il Signore, personale, legato alle esperienze di vita, alla parola di Gesù maturata e macerata nella fatica, magari senza saperlo, nel proprio "sforzarsi di passare per la porta stretta."
Certamente, nella riflessione su questo testo bisognerebbe esemplificare, lasciando ai fratelli e alle sorelle le risposte.
Che cosa significa porre il problema dello sforzarsi nel lavoro, nella giustizia, nelle relazioni, nel rispetto della legge, nella conoscenza delle povertà, nelle chiusure personali per non essere disturbati, nelle competenze, nella politica?

Che cosa significa vivere la crisi, scoprire che esistono intere popolazioni di sfruttati, di affamati, di profughi?

Che cosa significa fare in modo che si rispettino le previdenze? Quali criteri di equità stanno alla base degli interventi per ridimensionare lo Stato sociale quando si moltiplica la povertà e aumentano disoccupazione e il precariato? Quali intelligenze e progetti di riforma soggiace alla ricerca, alla formazione continua? Siamo proprio consapevoli che pagare le tasse in modo corretto ed esigere che ci sia più sobrietà siano un problema di giustizia e di coerenza? E qual è la porta stretta in tutte queste situazioni?

 

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