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TESTO Un dono da accettare, condividere, restituire.

Marco Pedron   Marco Pedron

Santissimo Corpo e Sangue di Cristo (Anno A) (26/06/2011)

Vangelo: Gv 6,51-58 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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51Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

52Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 53Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. 54Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 55Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. 57Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. 58Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

La festa di oggi è relativamente recente. Per mille anni, cioè, non si è celebrata.

Siamo nell'estate del 1263 (o forse 1264) e un sacerdote boemo, Pietro da Praga, è assalito dal dubbio sulla presenza reale di Cristo nel pane e nel vino consacrati ("Ma vuoi proprio che il Cristo sia presente nel pane e nel vino?", si chiedeva). E' così in difficoltà da mettere in dubbio la sua stessa vocazione. Decide, quindi, di andare a Roma, a pregare sulla tomba di Pietro per placare i suoi dubbi di fede. Preghiera e meditazione a Roma gli rinfrancano l'animo e ritorna a casa sereno.

Sulla strada del ritorno si ferma a pernottare nella chiesa di Santa Cristina di Bolsena. Ma ecco che il giorno successivo di nuovo il suo dubbio: "Ma vuoi che Cristo sia in un pezzo di pane e di vino?". Allora prega incessantemente santa Cristina per avere come lei la forza di non cedere al dubbio.

Cos'era successo a Santa Cristina? Santa Cristina è una martire dei primi secoli (III-IV secolo). Suo padre era governatore della zona del lago di Bolsena, acerrimo nemico dei cristiani. Ma la figlia, invece, simpatizza con i cristiani e con la nuova religione. Scoperto ciò, suo padre stesso la tortura e la incarcera. Ma Cristina non cede e morirà trafitta dalle frecce. Pietro prega per avere la stessa forza di Cristina, che non cedette. E così avviene.

Cosa succede infatti durante la celebrazione? Ecco il miracolo: alla frazione del pane, l'ostia diviene carne da cui stilla miracolosamente abbondante sangue. La situazione è incredibile e imbarazzante: così Pietro cerca di nascondere tutto, avvolge tutto nel corporale di lino usato per la purificazione del calice, che si macchia quindi di sangue e fugge in sacrestia. Durante il tragitto alcune gocce di sangue cadono nel marmo del pavimento e sui gradini dell'altare.

Se si va ad Orvieto, nel famoso duomo, si possono vedere il corporale, i purificati e le lastre con le gocce di sangue.

In quegli anni c'era una mistica belga, la beata Giuliana di Liegi (o Giuliana di Cornillon, 1192-1258), che avrebbe avuto tutta una serie di visioni dove Cristo stesso le avrebbe chiesto l'istituzione del Santissimo sacramento. Tutta la sua vita venne spesa per diffondere questo culto.

In seguito a questo e al miracolo successo a Pietro di Praga, nel 1264 il Papa Urbano IV istituisce la festa del Corpus Domini. La Chiesa nella festa del Corpus Domini ricorda: nel pane e nel vino c'è veramente il Corpo e il Sangue di Cristo. Quando tu mangi il pane consacrato, non mangi solamente un pezzo di pane ma ti incontri con Lui.

Durante la messa si celebra un sacrificio: Gesù si dona per la nostra salvezza. Ci sono due modi di intendere il sacrificio.

1. Il sacrificio di espiazione che tutte le religioni hanno: offriamo qualcosa (in espiazione) per riparare ai nostri peccati, ai nostri errori e alle nostre malefatte.

Per molti secoli, in molte culture (gli Aztechi arrivarono a punte di 15.000 sacrifici in un anno; ma i sacrifici umani erano praticati anche nella cultura inca, slava, egiziana, indiana, polinesiana, fenicia, dorica, ecc.) si sono offerti anche sacrifici umani o di bambini.

Gli ebrei conoscevano quest'uso: il sacrificio (di espiazione) veniva eseguito (un animale) e i sacerdoti, e solo loro, mangiavano la carne. Nel giorno dell'espiazione, il sacerdote doveva poi lavare le proprie vesti.

Nel giorno dell'espiazione (Yom Kippur Es 310,10; Lv 23,27-31; 25,9; Nm 29,7-11) venivano messi simbolicamente su di un capro tutti i peccati del popolo e il capro veniva mandato a morire nel deserto (Lv 16,8-10). Da ciò nasce l'espressione: il capro espiatorio. Cioè: c'è una persona che paga per tutti, che si prende su di sé il fardello e il carico di tutti gli altri.

Il sacrificio di espiazione dice: "Incarichiamo uno a pagare per tutti. Uno è sacrificato per tutti". Non è un dono volontario, è costretto dal gruppo a sacrificarsi. Tutta la comunità è disturbata e si allontana o si incarica uno che paghi per tutti.

Un giorno in classe facemmo uno scherzo al professore. Mettemmo un petardo dentro all'armadio e con un congegno tramite una candela dopo una mezz'ora il petardo scoppiò facendo un rumore tremendo. Tra l'altro noi potevamo vedere l'innesco dell'accensione e quindi eravamo preparati mentre il professore fu colto totalmente alla sprovvista. Fu una bomba: l'armadio di ferro si aprì e il fumo uscì. Noi tutti ridemmo ma il professore no. Eravamo stati in sei-sette a progettare tutto: ma solo uno di noi pagò per tutti. Lui venne sospeso, mentre tutti noi ce la cavammo. E' il capro espiatorio.

Un cucciolo di leopardo si perdette nella steppa e un elefante, per caso, lo calpestò. Poco dopo il cucciolo fu trovato morto e la notizia fu portata al padre. "Il tuo piccolo è morto". Il vecchio leopardo pieno di collera e di dolore disse: "Chi l'ha ucciso? Ditemi chi l'ha ucciso perché io mi possa vendicare". "E' stato l'elefante". "L'elefante?". "Sì, l'elefante!". Allora il vecchio leopardo si fece pensieroso, ma dopo un momento disse: "No, non è stato l'elefante. Sono state certamente le capre! Ma vedrete come mi vendicherò!". E il vecchio leopardo, infiammato di sacrosanta collera, corse sul colle dove pascolavano le capre e sbranò tutto il gregge.

Quando la gente sentiva le parole di oggi del vangelo, inorridiva. E possiamo capire che non capissero. Il vangelo parla più volte di "mangiare la carne" e "bere il sangue". Non a caso ai primi cristiani, fra le varie accuse, fu data anche quella di cannibalismo (accuse di antropofagia; di crimine: avrebbero ucciso uomini per sacrificarli; di infanticidio). La Bibbia era chiara: "Non si può bere il sangue perché il sangue è la sede della vita. E chi beve il sangue dev'essere ucciso" (Gen 9,3s; Lv 17,14).

E il verbo trogo, mangiare, non lascia dubbi: vuol dire proprio masticare. Quindi quando Gesù dice queste parole la maggior parte delle persone pensava ad una cosa: "I cristiani mangiano realmente dei corpi, delle persone".

Gesù, invece, vuol dire tutt'altro. Le sue parole si riferiscono invece al diventare una sola cosa con lui e in lui, così come il pane mangiato diventa noi e noi diventiamo il pane mangiato. Quando noi mangiamo, poi, non possiamo più distinguere ciò che mangiamo da noi. Ciò che abbiamo mangiato diventa "noi" e noi diventiamo il "cibo". Non è un caso che quando ci si ama ci sii dica: "Ti mangerei". E' l'unione che si brama. Io in te e tu in me.

Ciascuno di noi, quindi, è chiamato a lasciare il suo "uomo vecchio" per diventare "Cristo". Deve lasciare l'ego, per diventare il Sé. Deve lasciare il suo "io" per diventare il "Dio in lui".

E non si tratta di un processo semplice o facile: per questo Gv parla di masticare. E' una ruminatio, un'assimilazione graduale, lenta.

In ogni caso è una conversione. Se non ci si converte, non c'è vera fede, autentica. "Che idee ha cambiato Dio nella tua vita? Quanto, dove, come, ti ha sconvolto? Dove lo hai incontrato? Che fuoco ha acceso dentro di te? Che paure, blocchi, Dio vuole che affronti?". Nei vangeli tutti quelli che hanno incontrato il Cristo, non sono più stati gli stessi di prima. E' stato cioè un incontro radicale, potente, sconvolgente: "Mi ha cambiato la vita, il Cristo?". Non si può diventare "Lui" se si vuole rimanere "sé", ancorati alle proprie idee e atteggiamenti (propri o quelli ricevuti dall'ambiente o dalla famiglia).

2. Il sacrificio di comunione.

Gesù però intende il suo sacrificio in maniera totalmente diversa: non di espiazione ma di comunione (e già gli ebrei avevano questa distinzione tra i sacrifici di comunione e di espiazione).

Gesù fa una constatazione: la vita vive a spese di altra vita. Mio padre e mia madre mi hanno dato la vita: non me la sono data io. Mia madre ha pianto, sofferto, si è preoccupata per me, ha perso tempo e "anni" per me. E' il suo dono. Mio padre ha lavorato, si è sacrificato, ha fatto molte rinunce per me. E' il suo dono per me. Io mangio i frutti, le ciliegie, i meloni, ecc.: ma sono un dono della terra. E' il dono della terra per me. Io mangio la carne, le verdure: è la vita di altre creature che io mangio. E' il dono di altri per me. Io respiro l'aria del cielo: è il dono del cielo per me. Perché la vita viva bisogna che altri si sacrifichino.

Un giorno un bambino prende un foglio e scrive: "Per aver portato giù il bidone dell'immondizia: 1 euro. Per aver fatto il letto: 1 euro. Per aver spolverato: 1 euro. Per aver dato da mangiare al cane: 1 euro. Per aver lavato i piatti: 3 euro. Totale: 7 euro." Poi lo chiude e lo dà alla madre. La madre lo apre e lo legge. Allora la madre prende un'altra penna e sul retro scrive: "Per averti portato nove mesi nel grembo: 0 (zero) euro. Per avermi svegliato tutte le notti che piangevi: 0 euro. Perché mi sono preoccupata di te e ti ho allevato: 0 euro. Perché a volte mi hai fatto piangere: 0 euro. Perché in certi giorni avevo ragione e non mi hai ascoltato: 0 euro. Totale: 0 euro." Poi chiude il foglietto e lo dà al figlio. Questi lo apre e lo legge. Poi arrossisce e capisce.

Cioè: la vita è un dono che si riceve. Renato Zero nella canzone "La vita è un dono" canta: "La vita è un dono legato a un respiro... dovrebbe ringraziare chi si sente vivo... E' un dono che si deve accettare, condividere poi restituire". La vita non è mia, non è tua: non è di nessuno. E' un dono che ti viene fatto ma non la possiedi. La vita è il dono che Dio ti fa; il modo con cui la vivi è il dono che fai a Dio. La vita è un dono che ti è stato dato, gratuito; se la vivi, la doni anche tu ad altri.

E' questo che fa infelici tanti uomini e donne: non hanno un motivo per cui vivere. Hanno la vita (un dono) ma non sanno che farsene (non la spendono per niente).

Vedete questa candela: una volta accesa si consuma. La vita è così: quando si nasce, lo si sa già, la vita passa e si muore. E tra l'altro non ce n'è un'altra di riserva o di scorta. La vita passa e si muore. Piaccia o no è così.

La vita non si può conservare: si possono fare lifting, liposuzioni, interventi di chirurgia estetica; si può accumulare fama, gloria, onorificenze, titoli; si può accumulare denaro e rendite, ma la fine è uguale per tutti. Totò diceva: la morte è la grande livella, fa tutti uguali. E' così.

Se non si serve a niente, a nessuno, allora non si è neppure importanti. Se non si ha un motivo per vivere non c'è senso per continuare a vivere, perché la grande domanda è: "Che ci sto a fare? A che cosa servo?".

Se non si ha una ragione per vivere non c'è ragione per vivere. Allora le persone si lasciano vivere nei bar, nelle dicerie, nei giudizi, nel divano davanti la tv, nelle continue liti e beghe che servono per dare un minimo di emozione ad una vita che non ne ha.

Viene un momento in cui bisogna porsi la grande domanda: "Ma io, visto che la vita passa, per cosa voglio spendere la mia?". E quando si trova qualcosa, bisogna chiedersi: "Ciò per cui voglio spendere la mia vita, vale la mia vita?". Perché a volte le persone spendono la vita per delle cretinate. E la vita, invece, è un dono grande... e non si può buttare via.

Un ragazzo chiede al vecchio nonno: "Che fai nonno?". "Pianto alberi". "Ma questi alberi, nonno, ci mettono decine di anni a crescere: non vedrà mai i loro frutti". "E' vero, io ho mangiato frutti di alberi che altri hanno piantato e tu mangerai i frutti che ho piantato io... E quando sarai grande, ricordati di piantare i tuoi alberi". Quali sono i miei alberi?

Allora Gesù dice: "La vita è un dono e l'unico modo di vivere è vivere questo dono: donarsi. Farò della mia vita un dono per il mondo". E' questo che Gesù dice ogni domenica nell'eucarestia: "Prendete, questo è il mio corpo; prendete, questo è il mio sangue" (Mc 14,22-23).

E qual è il dono di Gesù? Gesù ha vissuto l'esperienza di un Dio nuovo, diverso, Padre. Questo è il suo dono: ho vissuto questo e vi dono quello che ho vissuto: "Di Dio, almeno di lui, non dovete aver paura, non abbiate paura; Lui vi ama; Lui vi accoglie".

Un giorno un bambino di quattro-cinque anni chiede alla mamma: "Mamma, chi è Dio?". E la mamma non sa cosa rispondere. Poi gli dice: "Vieni qui". Il bambino va dalla mamma, la mamma lo abbraccia forte forte e gli dice: "Cosa senti?". "Sento che mi vuoi bene, mamma". "Questo è Dio".

Il dono di Gesù è il Padre (la conoscenza di Dio) e il dono del Padre è Gesù (ce l'ha mandato per noi).
Gesù è il dono di Dio. Ma anch'io sono il dono di Dio!

Che cos'ho da donare io? Qual è la mia ricchezza? Che "albero" sono io?

Quando si legge la Passione si vede che pure Gesù fa fatica ad accettare la sua missione. Lui è chiamato a "portare Dio" fra gli uomini: è ciò che Lui deve fare. Ci deve mostrare che Dio non abbandona, che Dio salva, che Dio è più forte della morte. Questo è il suo "albero", la sua strada. E ciò che Dio gli chiede, non è molto facile. Anche Gesù fa fatica ad accettare la sua missione: "Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice" (Mc 14,36). E per questa missione sarà ostacolato, deriso, giudicato, condannato come nemico ed eretico, crocefisso. E' un sacrificio che non si può fare se non nella logica del dono.

La domanda che tutti ci facciamo è: "Ma chi me lo fa fare?". La risposta sottintesa nostra è: "Nessuno!". Ma se è la tua missione, allora sai il perché e chi te lo fa fare! E lo fai perché è la tua missione.

Per questo Gesù dice: "Farò di questa mia vita, di questa mia missione, di questo mio sacrificio, un dono per tutti voi. Farò di questa mia vita un dono come il pane, di cui tutti si possano cibare e come il vino a cui tutti possono accedere, bere e rallegrarsi". E il suo "albero": e quest'albero ha dato frutti e vita a tutti noi. E non importa se è difficile perché è la sua missione. Lui è venuto per questo.

Tutti i vangeli quando raccontano sia l'istituzione dell'eucarestia (Mt 26,26; Mc 14,22; Lc 22,19) che la moltiplicazione dei pani (Mt 14,19; 15,36; Mc 6,41; 8,6; Lc 9,16) utilizzano queste tre parole: prendere, benedire, spezzare.

Ogni volta che noi celebriamo l'eucarestia facciamo il memoriale di ciò che ha fatto Gesù e di ciò che tutti noi siamo chiamati a fare e a vivere.

Prendere. Io sono questo.

Gesù nella moltiplicazione dei pani prende quel poco che c'è. C'è tantissima gente e solo 5-7 pani e pochi pesci (forse 2). Avrebbe potuto dire: "Ma dove vuoi che andiamo? Ma non scherziamo, dai!". Invece Gesù prende quello che c'è, anche se sembra poco, anche se sembra di non grande valore, anche se sembra insignificante rispetto alla moltitudine.

Le persone faticano ad accettarsi: "Ah se fossi così... ah, se avessi quello... ah, se non mi fosse successa quella cosa... ah, se la gente, il marito, la moglie, il capo, ecc., fosse diversa... ah, se tornassi indietro... ah, se avessi saputo...". Le persone si vorrebbero diverse, di più, altre. Ma Dio prende questo. E con questo vuole fare il miracolo, il tuo miracolo.

Prenditi per quello che sei, accettati. Sei così e vai bene così. Se Dio ci avesse voluti diversi ci avrebbe creati diversi. Siccome invece aveva bisogno che fossimo così, ci ha creati così.

Ogni mattino mi alzo e mi dico: "Io sono io e vado bene così. Non devo essere diverso o un altro. Mi accetto".

Amare è prendere gli altri per quello che sono: "Tu sei così; tu sei questo. Amarti è prenderti per quello che sei. Volerti diverso è amare qualcun altro ma non tu".

Nasruddin (simbolo in Oriente dell'uomo stolto) divenne primo ministro del re. Una volta, mentre gironzolava per il palazzo, vide, per la prima volta in vita sua, un falcone reale. Nasruddin non aveva mai visto questo tipo di piccione. Così tirò fuori un paio di forbici e spuntò gli artigli, le ali e il becco del falcone. "Adesso sì che sei un uccello decente - disse - il tuo padrone ti aveva trascurato". Così sono tutte le persone che riducono l'universo alla loro mente.

Benedire, ringraziare. Io sono una cosa bella-buona. Eucarestia=ringraziare; bene-dire=dire bene.

Quando all'inizio della storia Dio crea il mondo, dopo ogni creazione dice che era una cosa "tov". "Tov" vuol dire bello e buono. Io, che sono una creazione di Dio, sono una cosa bella e sono una cosa buona.

Si può ringraziare solamente quando si percepisce il proprio valore. Se non si percepisce di essere qualcosa di importante, di bello, di utile, allora non c'è nulla di cui ringraziare.

Qualunque cosa io sia, io sono "tov", bello, buono. Se non si è "tov" allora ci si butta via. I rifiuti si buttano; i gioielli si tengono e si custodiscono con amore e attenzione.

A Calcutta c'era un uomo cieco, paralizzato e mendicante, vicino ad una delle case di madre Teresa, che cantava e ringraziava continuamente Dio. Un giorno un uomo che passava gli disse: "Ma che hai da ringraziare nella tua condizione? Guarda come sei preso!". E lui: "Io ringrazio Dio perché tu vedi cose che io non vedo, ma anch'io vedo cose che tu non vedi".

In una chiesa africana, durante la raccolta dei doni dell'offertorio, gli incaricati passavano con un largo vassoio di vimini, uno di quelli che servono per la raccolta della manioca. Nell'ultima fila di banchi era seduto un ragazzino che guardava con aria pensosa il paniere che passava di fila in fila. C'era chi dava qualche soldo, chi del pane, chi della frutta. Ognuno dava qualcosa. Ma lui non aveva proprio niente da dare. Così quando arrivò il paniere a lui, lui si alzò e si sedette sul paniere: "L'unica cosa che possiedo sono io; io offro me stesso al Signore".

Amare è dire bene degli altri. Invece di guardare a quello che tu non hai, io guardo quello che tu hai.

Spezzare. Io sono un dono per altri.

Io sono un dono: un dono è qualcosa di atteso, di cercato, di desiderato.

Tanti anni fa avevo preparato un regalo per il compleanno di un'amica: ma il giorno in cui dovevo darglielo lei è morta. Così il suo regalo mi è rimasto lì. Un dono inutile!

Essere un dono vuol dire che il mondo ha bisogno di noi, ci aspetta, vuole noi. Essere un dono vuol dire che noi siamo importanti per questo mondo.

Un bambino aveva piantato un osso e anni dopo lì vi era un grande albero. Anche il ragazzino era cresciuto e adesso voleva sposarsi. Ma non aveva soldi. Così l'albero gli disse: "Prendi i miei frutti e vendili al mercato, avrai i soldi per il matrimonio". E così fece. Qualche anno dopo, la famiglia del giovane si ingrandì con l'arrivo di alcuni figli. In casa non c'era più posto. Ma il giovane non aveva soldi per un'altra casa: "Prendi i miei rami, tagliali e fatti una casa nuova". E così fece. Qualche anno dopo il giovane tornò dall'albero: era inverno faceva freddo e aveva finito la legna. L'albero gli disse: "Prendi il mio tronco, taglialo e brucialo, così avrai calore per te e per la tua famiglia". Il giovane gli disse: "Ma se faccio questo tu morirai". "E' vero, disse l'albero, è il mio dono per te: un albero è stato creato per questo". E prima di tagliarlo, dopo averlo ringraziato, il giovane gli disse: "Tu non morirai, tu vivrai in me".

Quali sono i miei doni per questo mondo? Cosa posso donare se neppure so di aver qualcosa da donare?

Amare è "spezzarsi" per gli altri: non nel senso di spezzarsi in due dalla fatica o di distruggersi per gli altri ma di fare della propria vita un dono.

Ogni volta che io vengo a messa non solo il pane, ma anch'io mi "prendo", "mi benedico" e "mi spezzo". E se faccio questo "mi trasformo" così come il pane e il vino in dono di Dio.

Due amici si ritrovarono dopo una lunga separazione. Uno era diventato ricco, l'altro era povero. Mangiarono insieme e rievocarono i ricordi comuni. Poi il povero si addormentò. L'amico, colmo di compassione, prima di partire gli fece scivolare in tasca un grosso diamante di valore inestimabile. Ma al risveglio il povero non trovò quel tesoro e continuò la vita di sempre. Un anno dopo le circostanze fecero nuovamente incontrare gli amici. "Ma", disse il ricco all'amico, vedendo che era ancora in miseria, "non hai trovato il tesoro che ti avevo messo in tasca?". E il povero: "Quale tesoro?".

Siamo un dono, un tesoro, preziosi... ma spesso non lo sappiamo.


Pensiero della Settimana

Chi non può ricordare il passato è condannato a ripeterlo.

 

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