TESTO Commento su Giovanni 13,1-15
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Giovedì Santo (Messa in Cena Domini) (21/04/2011)
Vangelo: Gv 13,1-15
1Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine. 2Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, 3Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, 4si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. 5Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto. 6Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». 7Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo». 8Gli disse Pietro: «Tu non mi laverai i piedi in eterno!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». 9Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!». 10Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti». 11Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete puri».
12Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? 13Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. 14Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. 15Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi».
COMMENTO ALLE LETTURE
a cura di don Nazzareno Marconi
PRIMA LETTURA
Questo testo costituisce un sintetico rituale della celebrazione della pasqua ebraica. Una festa che era nata in ambiente nomadico, forse per festeggiare con la nascita degli agnelli la ripresa del ciclo della vita del gregge, e quindi carica di contenuti di speranza, di fiducia in Dio, di inizio di una nuova vita. La sua coincidenza temporale con gli eventi dell'Esodo dall'Egitto portò Israele a reinterpretarne il significato, caratterizzandola ancora di più come festa della fede in Dio, festa del passaggio dalla morte alla vita, tanto da diffondere un'etimologia polare che leggeva il termine pasqua come "passaggio". Questa storia aprirà a Gesù la possibilità, nell'ultima cena pasquale con i suoi, di una nuova reinterpretazione della festa come il suo "passaggio" dalla vita terrena alla vita della gloria.
SECONDA LETTURA
Paolo, dando norme per il corretto svolgimento delle assemblee comunitarie parla anche della "Cena del Signore". In questo breve brano emergono tre tratti caratteristici dell'eucarestia, il tema della tradizione, il fatto dell'ultima cena, il suo aspetto escatologico. L'eucarestia giunge a noi non da una decisione umana, ma da una trasmissione fedele, di generazione in generazione del comando di Gesù. Un comando che ricollega ad un evento, un fatto concreto e reale che proprio per la sua verità e concretezza salva: la passione di Gesù. Questo evento attua la sua potenza di salvezza dal calvario alla fine dei tempi, quando il corpo glorioso di Cristo ci verrà di nuovo incontro, non più velato dalle specie eucaristiche.
VANGELO
La descrizione dell'ultima cena di Gesù fatta da Giovanni, non fa riferimento all'istituzione dell'eucaristia narrandola, ma piuttosto mostrandone simbolicamente il significato attraverso il racconto della lavanda dei piedi.
E' questa un'operazione tipicamente Giovannea, che stacca risolutamente l'ultima cena dal suo passato di cena pasquale ebraica, per proiettarla verso il nuovo significato della pasqua cristiana. Non c'è più un ricordo volto verso il passato, di un memoriale degli eventi dell'Esodo, ma una proiezione verso il futuro, in un memoriale anticipato della morte in croce e della resurrezione.
Nelle parole dell'Istituzione riportate dai sinottici Gesù annuncia che il suo corpo e sangue sono donati per i discepoli e per il mondo. Questa attitudine di dono totale di sé, che nella passione e morte si rivelerà nella sua pienezza, in Giovanni Gesù la esplicita con il gesto della lavanda dei piedi. Compiendo l'atto di lavare i piedi ai suoi, Gesù ha dato in sé il segno del suo amore supremo che deve fungere da modello per i discepoli. La celebrazione dell'eucaristia e l'esercizio che in essa si compie del sacerdozio ministeriale sarebbe soltanto ritualismo se non fosse nutrito dalla carità fraterna. Qui è il vero centro dell'amore cristiano: essere simili, conformi a Gesù nell'amore fraterno.
Il sacerdozio ministeriale è garantito quanto alla validità delle sue azioni sacramentali: l'eucaristia celebrata dal sacerdote validamente ordinato è valida, perché questa validità consiste nell'agire di Dio che si serve del ministro umano. Però la pienezza di significato e di efficacia della celebrazione passa anche per la piena e generosa collaborazione umana, sia della comunità celebrante che del presbitero presidente. Don Tonino Bello in un suo libro giustamente famoso, ricordava che nella celebrazione eucaristica si intrecciano simbolicamente due abiti liturgici: la stola ed il grembiule. Dal versante umano, accanto alla contemplazione dell'agire divino nel sacramento, si pone un agire umano nella linea della partecipazione alla carità di Cristo, alla dinamica del suo dono totale di sé agli altri. Così che lo scopo, la realtà ultima del sacramento consiste nella carità, nel mettersi a servizio del fratello per costruire l'unità fraterna dell'intera umanità.