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TESTO Guardate i gigli del campo: come crescono!

mons. Gianfranco Poma

VIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (27/02/2011)

Vangelo: Mt 6,24-34 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 6,24-34

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: 24Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza.

25Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? 26Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? 27E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? 28E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. 29Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. 30Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? 31Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. 32Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. 33Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. 34Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena.

La pagina del Vangelo di Matteo che la Liturgia della domenica VIII del tempo ordinario ci fa leggere (Matt.6,24-34) è certamente una delle più belle di tutta la Bibbia: dovremmo fermarci ad ogni parola, gustare l'esperienza che ogni espressione suscita nel nostro cuore, sentire la bellezza che nasce dentro di noi e che fa nuova la nostra vita. Siamo sempre nel "discorso della montagna" nel quale Gesù descrive per i suoi discepoli la "giustizia" a cui essi sono chiamati, che "supera quella degli scribi e dei farisei", che non è più fondata sull'osservanza della Legge ma su una relazione nuova con Dio, il Padre che ama i propri figli. Quella che Gesù descrive dunque, è la vita dei figli di Dio, che nasce dal cuore nuovo che il Padre dona loro, una vita che va oltre la Legge: è la vita secondo lo Spirito, nella quale si manifesta la "pienezza" (la perfezione) che è l'Amore.

La lettura continua che stiamo facendo in queste domeniche, omette (purtroppo) una parte (Matt.6,1-23) che ritroveremo nel tempo di Quaresima. Per la corretta interpretazione di tutto il discorso, è importante sottolineare che la parte omessa è quella centrale, nella quale Matteo mostra come la novità del Figlio di Dio rinnova il senso delle pratiche religiose tradizionali, l'elemosina, la preghiera, il digiuno. Il vertice del discorso è il momento nel quale Gesù insegna ai suoi discepoli il "Padre nostro", la preghiera dalla quale nasce una vita di totale appartenenza filiale. A questo punto si colloca il nostro brano: non può non essere affascinante la bellezza della vita che Gesù offre ai suoi discepoli. E' la sua vita di Figlio di Dio: Gesù chiama i suoi discepoli a condividere l'esperienza dell'amore del Padre. Il "discorso della montagna" è anzitutto questo: è Gesù che chiama i suoi discepoli a condividere la realtà di una esperienza nuova di Dio, Padre nostro che fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi, che vede nel segreto, che conosce ciò di cui abbiamo bisogno ancora prima che glielo chiediamo, Padre che perdona, che ricompensa, che nutre gli uccelli del cielo e che fa molto di più per noi che siamo figli, pure se poco credenti. E' Gesù che ci parla della sua straripante e così concretamente umana esperienza della ricchezza inesauribile dell'amore del Padre perché impariamo a fidarci totalmente di lui per iniziare una vita libera da ogni schiavitù. E Gesù parla a noi perché siamo suoi discepoli, perché "abbiamo lasciato tutto e lo abbiamo seguito", perché crediamo in lui: Gesù ci chiede il coraggio della fede. Certo, sarà sempre sproporzionata la gratuità dell'amore del Padre di fronte alla nostra realtà di "credenti piccoli", ma è necessario il nostro coraggio di lasciare la nostra piccola barca, le nostre fragili sicurezze, per poter sperimentare la forza delle braccia del Padre. E ancora, Gesù parla alla comunità dei suoi discepoli, che si sono staccati dalla folla per stare con lui: se è essenziale la dimensione personale della fede, lo è altrettanto quella comunitaria. Infatti, la novità cristiana l'esperienza dell'amore filiale, non può che essere fatta in dimensione fraterna: solo la fraternità di Gesù con i suoi discepoli rende possibile sperimentare ed annunciare l'amore del Padre.

C'è tutta una pedagogia sottesa al "discorso della montagna": Gesù prima mostra tutta la bellezza della vita che egli propone; al culmine pone la preghiera rivolta al Padre perché i discepoli comprendano che tutto è dono e alla fine, ma sempre come risposta piena di stupore di fronte alla infinita grandezza dell'amore del Padre, pone il discepolo di fronte alla scelta che compete alla sua libertà. "Dov'è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore": così Gesù ha avvertito i suoi discepoli, chiedendo loro: "Non accumulate per voi tesori sulla terra, ma in cielo", e prosegue: "La lampada del corpo è l'occhio...se la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra!" Ai suoi discepoli Gesù chiede anzitutto l'onestà interiore e la coerenza con la propria coscienza, per poter discernere il "tesoro" a cui legare il proprio cuore: chiede di "non oscurare la luce che è in loro". E' meravigliosa questa osservazione di Gesù: in noi c'è la luce, l'ha accesa Dio; l'occhio è la lampada del nostro corpo, è la nostra cattiveria che può spegnere la luce e rendere grande la tenebra. Ma se conserviamo il nostro occhio "semplice", tutto il corpo è splendente.

"Beati i puri di cuore: vedranno Dio": la semplicità del cuore, rende luminoso il nostro occhio e ci fa vedere Dio. Gesù continua quindi a chiarire cos'è la "semplicità del cuore": occorre scegliere tra l'accumulare per sé i beni della terra o i beni del cielo; non è possibile servire Dio e Mammona. Ed insiste Gesù nell'invitare i suoi discepoli a "guardare", a contemplare con occhi semplici gli uccelli del cielo, il loro volare libero, e i gigli del campo, la loro meravigliosa bellezza, per saper vedere l'opera del Padre e percepirla in tutta la sua intensità nella stupenda esperienza umana: solo la dimensione contemplativa della vita può renderci capaci di gustare l'amore del Padre nello sbattere delle ali di un uccello o nella bellezza del colore di un petalo di un fiore e poi di sentirlo in ogni attimo della nostra vita, in ogni percezione dei nostri sensi, in ogni vibrazione della nostra intelligenza e della nostra volontà.

E continua così, Gesù, a plasmare l'identità del suo discepolo: attraverso la contemplazione e l'esperienza che partendo dalle cose più piccole arriva a gustare la pienezza dell'amore del Padre, Gesù conduce il discepolo alla libertà. L'uomo è essenzialmente relazione: solo non lasciandosi offuscare gli occhi da ciò che più appare ma è meno vero, l'uomo può entrare in relazione con Dio ed essere libero.

Il discepolo di Gesù, nella relazione libera con Dio, sa mettere ordine nella propria vita verificando le priorità dei valori. Vivere tutto senza essere schiavo di niente è l'insegnamento che anche Paolo dà ai suoi discepoli (1 Cor.3,22-23). "Cercate anzitutto il Regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta": Gesù ci presenta questa sintesi programmatica per la vita del cristiano invitandoci a viverla nella comunità, nella Chiesa. Ogni attimo, ogni scelta, nella Chiesa dovremmo viverla chiedendoci se è nella logica del Regno di Dio e rende visibile la sua giustizia.

E alla fine, come vertice della libertà e momento della più grande maturità, Gesù chiede ai suoi discepoli l'abbandono fiducioso nell'amore del Padre, che non è disinteresse, fatalismo...ma è il vero coraggio, è l'audacia di saper osare, è ancora il "compimento" di Matteo, l'andare oltre ogni limite umano, con la pace, la libertà interiore che si misura solo nella relazione filiale con il Padre. Per sei volte in questo piccolo brano ritorna l'invito a non essere frenati dalle preoccupazioni che derivano da uno sguardo rivolto verso noi stessi. La nostra pur piccola fede ci dà il coraggio di guardare in alto e di fidarci del Padre che sta nei cieli.

 

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