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TESTO Buono come un agnello

Marco Pedron   Marco Pedron

II Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (16/01/2011)

Vangelo: Gv 1,29-34 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Giovanni, 29vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! 30Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. 31Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele».

32Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. 33Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. 34E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio».

Con questa domenica ricomincia il tempo ordinario che ci accompagnerà per varie domeniche fino alla quaresima. Il vangelo di oggi ci ripropone la figura di Giovanni Battista. Mentre tutti gli altri evangelisti raccontano il Battesimo di Gesù, Gv al posto del Battesimo ha questa scena. Non viene descritto espressamente ma si percepiscono chiaramente gli echi di tale episodio.

Nel Quarto Vangelo (Gv) il Battista non è il precursore come negli altri tre, ma il testimone. Tutti i conflitti e le distanze tra Gesù e il Battista qui sono colmati. Dagli altri vangeli osserviamo che ci fu frizione, frattura, scontro fra i seguaci dei due maestri. Qui tutto questo è lontano; qui le distanze vengono azzerate e il Battista riconosce Gesù.

Il Battista dice: "Io so che è lui; lo so perché io ho visto. Per questo io posso testimoniare". Troppo spesso noi parliamo per sentito dire. Allora bisogna chiedere sempre alle persone: "Ma tu hai visto? Tu c'eri?". "No, ma io ho sentito dire... tutti dicono che...". "Tu c'eri? Tu hai visto? Hai avuto a che fare?". "No". "E allora!?! Allora stai zitto". Il testimone in tribunale è colui che ha visto. Non colui che crede, pensa, ipotizza. E' certo perché ha visto.

Tu cos'hai visto di Dio? Cos'hai visto accadere sulla tua pelle, sulla tua vita? Come puoi dire qualcosa se non hai visto nulla? Se Dio non ti ha fatto diverso, nuovo, più profondo, più libero, più vero, se non ti ha sanato, come puoi dire di conoscerlo? Molta gente parla di Dio, ma parla a vanvera perché fa solo discorsi; in realtà non l'ha mai incontrato. Se l'hai incontrato, allora Dio esiste, altrimenti no, come diceva Andrè Frossard in un suo libro: "Dio esiste io l'ho incontrato".

1915: in Europa c'è la guerra e Albert Schweitzer si chiede se lui (e la società del tempo) abbia fallito. Un giorno finché è in barca ha un fremito e gli esce una voce: "Riverenza per la vita". Da quel giorno, da quell'incontro, la sua vita cambiò e non fu più la stessa. Da quel giorno lui Lo conosceva.

2006: un uomo di 40 anni si rende conto di avere tutto ma di essere vuoto dentro, insoddisfatto. Lascia il lavoro e d'accordo con la moglie si prende due mesi di ricerca per sé e va a vivere in un convento. In quei due mesi incontra Dio. Quanto torna non è più lo stesso. Lui, adesso, lo conosce.

2007: una donna è malata di cancro. Una notte fa un sogno: le appare un uomo che le dice: "Vuoi vivere?". "Sì", dice lei. "Con questa vita non puoi che morire. Se vuoi vivere devi cambiare vita". La donna si risveglia e cambia il proprio modo di vivere. Sei mesi dopo non aveva più neanche il cancro. Lei lo ha incontrato.

La domanda: "Conosci Dio? Credi?" è una domanda mal posta. La domanda è: "Lui cos'ha fatto per te?". Solo se lo hai visto puoi testimoniare; solo se hai visto, sai.

Qui il Battista rende testimonianza a Gesù: "E' lui l'agnello di Dio che toglie il peccato dal mondo". E' l'espressione, centro del vangelo di oggi, che noi ripetiamo tre volte durante la messa.

Gli ebrei erano un popolo nomade, allevatori di bestiame; conoscevano bene agnelli, pecore e caproni. Conoscevano il Salmo 22: "Il Signore è il mio pastore". Conoscevano l'agnello che ogni anno a Pasqua immolavano (tutt'oggi) per ricordare l'uscita dall'Egitto.

Conoscevano il capro espiatorio: c'era un giorno, il giorno dell'Espiazione (Yom Kippur), in cui veniva preso un capro e sul quale venivano caricate simbolicamente tutte le colpe del popolo. Poi veniva mandato a morire nel deserto. Da questo fatto è nata l'espressione "il capro espiatorio": la persona che prende su di sé tutte le colpe degli altri... le colpe non sue. E' una forma primitiva per liberarsi dalle proprie colpe. Tutti i popoli in ogni tempo hanno fatto i sacrifici per liberarsi dalle proprie colpe. Sacrifico qualcosa di caro, d'importante perché Dio abbia misericordia e perdoni i miei errori e sbagli.

Ma soprattutto conoscevano il famoso episodio di Abramo che immolò, al posto del figlio, un agnello. Al tempo di Abramo (abbiamo attestazioni nella Bibbia) si immolavano ancora uomini! Nell'Islam, alla fine del Ramadan, si immola un agnello proprio a ricordare l'episodio del sacrificio di Abramo.

Cosa vuol dire quel racconto così strano, dove Dio sembra così perfido da chiedere un figlio? E visto che poi non lo fa', perché mette alla prova? Perché tenta Abramo? O vuol dire qualcos'altro?

Abramo aveva un figlio, Ismaele, dalla schiava Agar (Gen 16) ma non da sua moglie Sara. A novantanove anni Dio conclude con Abramo un alleanza (il segno è la circoncisione) e annuncia ad Abramo che sarà padre di una moltitudine di popoli (Gen 17, 5). Ma Abramo (e lo possiamo capire!) obietta: "Ma ad uno che ha cento anni può nascere un figlio? E Sara, all'età di novant'anni, potrà partorire?" (Gen 17,17).

In ogni caso, nonostante l'incredulità di Abramo, lui e tutto il suo popolo accetta l'alleanza e si fa circoncidere. Dio mantiene la promessa e quando Abramo ha cento anni, sua moglie Sara gli partorisce un figlio: Isacco. Nel frattempo Ismaele e la schiava Agar sono stati allontanati (Gen 21).

Se voi prendete la Bibbia troverete che il nome Abramo ad un certo momento diviene Abraham e che Sarai diviene Sarah: in entrambi si aggiunge una "h" (het). L'"h" è il nome divino (i-h-w-h): se non c'è Dio nella loro vita, non c'è fecondità. Non può nascere nulla se non c'è lo Spirito che scende su e dentro di te.

Si possono partorire figli e figlie, lavori e cose, ma si rischia di rimanere nella materia se non c'è un alito, un afflato, uno spirito più alto, più elevato, se non si sa guardare oltre.

Allora: Abramo a cento anni ha un figlio. E' la cosa più cara che ha; è la cosa più preziosa che ha. E' un ebreo, e per un ebreo la discendenza, un figlio, è la cosa più importante che ci sia. La discendenza vuol dire: vivo in te anche se io un giorno morirò. Isacco è, per Abramo, tutto. E' chiaro che ha un sacco di aspettative su di lui, di pretese, di desideri: il suo agnello sarà sacrificarli all'altare di Dio perché dovrà imparare ad amare suo figlio perché "figlio" e non perché "suo".

Cosa succede? Succede che un giorno Dio dice ad Abramo: "Abramo, Abramo, prendi tuo figlio (e sottolinea), il tuo unico figlio che ami, Isacco, e offrilo in olocausto" (Gen 22,2). E Abramo: "Ma come? Ho un unico figlio, l'ho avuto a cent'anni, per miracolo e tu mi chiedi di sacrificarlo?".

Abramo non capisce più niente, è chiaro. Il nostro mentale vorrebbe capire, sapere, avere tutto sotto controllo, sapere esattamente dove si va, il perché e cosa si fa. Abramo deve sacrificare il suo mentale e il suo bisogno di capire: si deve solo fidare.

Dovremmo essere come l'acqua che si adatta a tutto: per questo passa ogni cosa. Invece noi vogliamo decidere e stabilire cosa è buono per noi e dirigere la nostra vita. Ma allora non c'è più fede perché noi stiamo dirigendo la nostra vita e non più Lui.

Quante volte, come Abramo, diciamo: "Non è giusto!". Quante volte diciamo: "La vita me l'ha combinata grossa, questa volta!". Quante volte diciamo: "Ma guarda che cattivo! Ma guarda quanto male mi sta facendo!". E se fosse Dio che ti sta chiamando? E se tu dovessi invece passare di là? Non dire mai: "Cattivo! Che schifo! Bastardo!". Dì piuttosto: "Cosa devo imparare? In cosa devo trasformarmi? Qual è la lezione della vita?".

Un uomo è stato lasciato da sua moglie perché lei aveva un altro. Certo si può dire: "Ma che disgraziata!". Vero, forse... Ma la lezione per quest'uomo è: "Che cosa ho fatto perché rimanesse? Come l'ho amata perché potesse stare con me?". E la sua risposta è stata: "Niente!". Lui ha imparato. Non se n'è andata perché lei è "cattiva", ma perché lui non ha fatto nulla per tenerla e per amarla. Adesso però sa.

Un padre dice: "Mio figlio non mi viene mai a trovare. Ecco, tu fai tanto per i figli, dai la vita per loro e poi questo è il ringraziamento". Vero, forse... Ma questo uomo ha avuto il coraggio di fermarsi e di chiedersi: "Quando viene mio figlio, io cosa faccio? Di cosa gli parlo? Cosa dico? Che clima creo?". Quando veniva suo figlio si lamentava sempre che era solo, e che non veniva mai a trovarlo, e che lui è triste, e che questo non va, quell'altro neppure... Per forza il figlio non ci andava più. Ma adesso lo sa.

Non dire mai: "Ingiusto!". Dì: "Qual è la lezione della Vita per me in questa situazione?".

Il monte del sacrificio è il monte Moria: interessante! C'è qualcosa che deve morire in Abramo. Ogni passaggio di vita ci costringe a far morire qualcosa. Vivere, crescere, evolvere, diventare discepoli del Signore, vuol dire far morire qualcosa.

Abramo parte. Non capisce, ma parte. Finché fanno il viaggio Isacco più volte gli chiede: "Ma dov'è l'agnello da sacrificare?" (Gen 22,7). E non sa che è lui l'agnello del sacrificio. Abramo lega Isacco per il sacrificio ma quando sta per ucciderlo un angelo all'ultimo momento lo ferma: "Non lui, ma un ariete che c'è lì e che ha le corna impigliate in un cespuglio" (Gen 22,12-13).

Abramo (A-v/b-r-m) vuol dire "padre e madre del figlio" (av/b=padre; am=madre; bar=figlio): sarà il grande sacrificio di Abramo. Dovrà sacrificare il "suo figlio" perché quel suo figlio non è suo, ma del Signore. Dovrà cioè smettere di possederlo, di considerarlo suo, una sua proprietà, perché quel figlio è di Dio. L'agnello/ariete che viene sacrificato al posto del figlio, è il dolore del passaggio: Abramo soffre perché deve "perdere" il possesso e la proprietà su quel figlio. Non è suo, è di Dio.

L'agnello, allora, è il sacrificio, cioè il dolore (l'agnello è il simbolo della vulnerabilità, della debolezza) che devo pagare, soffrire, per crescere, per evolvere, per diventare spirituale, puro (non a caso nella parola Abramo c'è contenuta la parola "purezza, innocenza (b-r=bor)).

E' da tanti anni che hai un amico: siete l'uno il confidente dell'altro. Ma ad un certo punto lui trova un altro come suo riferimento. Tu ci soffri e inizi a dire: "Ma come? Ma se si è sempre confidato con me? Non è giusto? Perché preferisce un altro a me? Gli ho fatto qualcosa, forse?". E' l'agnello, il prezzo dell'amore: "No, non gli hai fatto niente, forse. L'amore è libertà". Lo stai imparando e "l'agnello" è il tuo dolore.

Siete un gruppo di amici: da tanto tempo sostenete economicamente una famiglia in difficoltà. Adesso tutti si tolgono perché è crisi per tutti. Tu ti dici: "Ma devo farlo solo io?". E' l'agnello: la sofferenza di portare avanti una decisione mentre altri non ci credono.

Hai sempre avuto paura di fare una scelta controcorrente... l'agnello è il prezzo della libertà. Hai sempre temuto di dire di no agli altri per non farli soffrire... l'agnello è il prezzo dell'autonomia. Hai sempre voluto pianificare e decidere tutto... l'agnello è il prezzo della fede.

Nel mondo dello spirito: ciò che è più grande (l'amore) richiede il prezzo più grande (l'agnello del sacrificio). Ma ciò che richiede il prezzo più grande (l'amore libero) dona la felicità e la pace più grande.

Agnello, in ebraico, si dice con la parola "taljah" che vuol dire sia "agnello" che "servo". Probabilmente Gv Bt intendeva non tanto l'agnello, ma il servo di Dio, quando parlava di Gesù. Ma nel tempo i cristiani lessero quella parola "taljah" come agnello. D'altronde non era forse vero che la sentenza di morte di Gesù era stata pronunciata il 14 di nisan, verso mezzogiorno, proprio nell'ora in cui sgozzavano gli agnelli? Gesù quindi è il nuovo, ultimo e definitivo agnello, che toglie il peccato dal mondo.

E' vero che gli ebrei conoscevano l'agnello da immolare e da sacrificare; ma l'agnello era per loro un'immagine di mansuetudine, di bontà, di non violenza. Quest'immagine è stata persa lungo i secoli.

L'espressione della messa "agnello di Dio che toglie i peccati del mondo" per noi vuol dire: "Dio è morto a causa dei nostri peccati; Dio si è sacrificato per noi". E ci sembra che Dio si sia offerto per noi a causa della nostra cattiveria: come se Dio fosse morto per noi, cioè per causa nostra. Allora ci sentiamo colpevoli di questo.

Gli ebrei come quasi tutti i popoli antichi avevano questa concezione: ogni peccato dev'essere espiato. O tu o tuo figlio o un tuo discendente o qualcun altro (capro espiatorio) deve pagare l'errore. Tu hai sbagliato: qualcuno deve pagare per lo sbaglio. La concezione "occhio per occhio, dente per dente" si rifà proprio a quest'idea: hai sbagliato devi pagare almeno altrettanto.

Questa concezione è passata nella nostra religione. La concezione degli ebrei era: "Chi sbaglia paga". Si diceva più o meno così: "L'uomo con i suoi peccati ha offeso Dio; l'uomo non può da solo riparare l'offesa infinita fatta a Dio; il Figlio di Dio garantisce questa riparazione infinita". Gesù Cristo, allora, è morto per espiare i nostri peccati, è morto per noi, è morto per riparare il nostro errore.

Ma che Dio è il Dio che manda a morire suo figlio per riparare le nostre colpe? Ma che Dio è il Dio che ha bisogno di vendicarsi, che s'arrabbia così tanto da voler poi vendetta e giustizia? Questa concezione ha finito per far sentire gli uomini colpevoli, schiacciati da questa colpa. Come può sentirsi uno che sa che Dio è morto per lui, se non colpevole, sbagliato, uno schifo? Ci ha fatto sentire che era giusto che anche noi soffrissimo nella vita (così espiavamo un po' del nostro peccato); che era giusto che ci sacrificassimo (lo aveva fatto anche suo Figlio); che era giusto e degno di merito che stessimo male e soffrissimo umiliazione (c'è stato un tempo che più uno soffriva e più sembrava santo).

Quella religione diceva: era necessaria la morte di Gesù per poterci farci perdonare da Dio; soffrire è buono perché così espii i tuoi peccati e i tuoi sbagli.

Ma: l'espressione "l'agnello di Dio" vuol dire tutt'altro. Vuol dire un po' il contrario di quello che noi pensiamo. Vuol dire: "Dio è buono come un agnello; Dio non ti farebbe mai del male; Dio è bontà, tenerezza". Dio non è vendicativo: non te la fa pagare se lo ferisci. Dio non è geloso: non si arrabbia se vuoi più bene ad altri che a Lui. Dio non è violento: mai vorrà il tuo male.

L'agnello era l'immagine simbolo della bontà del tempo; noi oggi diremo che Gesù è un abbraccio. Lì puoi sentirti accolto, accettato, avvolto, riconosciuto, stimato, amato. L'agnello non faceva paura: Dio è così. Per nessun motivo al mondo lo devi temere. Lui non tradisce, Lui non volta le spalle, Lui sta sempre dalla tua parte, Lui non abbandona mai.

L'agnello era simbolo di dono: il latte, la lana e la carne; Dio è così: tutto quello che ha te lo da. Lui vuole che tu sia felice e felice al massimo che puoi, che tu sia inebriato di vita.

Quando ogni domenica ripetiamo: "Agnello di Dio che togli i peccati del mondo...", questo non ci dovrebbe fare paura ma ci dovrebbe rassicurare.

Dio è un agnello che mi viene incontro per amarmi, per guarirmi, per darmi tutto ciò che ha, perché io viva e viva al massimo, perché io mi espanda, sia me stesso, ami e sia amato. Che Dio sia come un agnello vuol dire che Dio è buono. Cosa ti può fare un agnello? Un leone, un lupo, una tigre, sono pericolosi, ti possano fare male. Ma un agnello? Dio è così.

Andare a fare la comunione è come andare dall'amata: una gioia, un'attesa, un'aspettativa. Andare a fare la comunione è come stare tra le braccia della mamma: si sente quanto si vale e si è belli. Andare a fare la comunione è come stare tra le braccia del papà: ci si sente al sicuro.

E qual'è il peccato che viene a togliermi, che l'Agnello porta via?

Avete presente cosa fa una mamma. Quando vede suo figlio troppo vicino al fiume gli dice: "Stop, non si va oltre. Fermati". Lo fa perché gli vuole bene, tanto bene. A volte Dio fa così con noi. C'è un uomo che si lamenta sempre di tutto: "Questo non va; mio fratello mi fa così; il mio vicino di casa mi fa colà, ecc.". Tutti ce l'hanno con lui. Allora Dio come una buona mamma, come un agnello che gli vuole bene, gli dice: "Stop, smettila di lamentarti. Smettila di piangerti addosso. Adesso basta e smettila. Non devi più andare avanti".

Avete presente quando il bambino non trova il suo maglione. Allora arriva la mamma e glielo fa vedere: era lì davanti ai suoi occhi... ma lui non lo vedeva. Ci sono delle cose che non vuoi vedere, allora Dio come una buona mamma, ti dice: "Ecco qua!" e ti fa vedere ciò che devi vedere, perché a volte non vorremmo vedere.

Avete presente quando il bambino non vuole fare i compiti: "Sono stanco; non ho voglia; è difficile; non sono capace". Allora arriva la mamma che gli dice: "Adesso si fanno perché ne sei capace. E siccome bisogna farli, si fanno!". Perché le cose, difficili o no, se sono da fare, sono da fare.

Avete presente quando il bambino deve imparare a nuotare: "Ho paura!". Allora arriva la mamma che gli dice: "Ci sono io qui. Io so che sei capace. Adesso provi e io rimango qui, in caso di bisogno". Il bambino prova e poi quando vede che ci riesce si dimentica della mamma.

Dio è quest'agnello. Il nostro peccato sono il limite, la paura, i blocchi, i condizionamenti. Allora Lui, come una Grande Madre, Buono come un Agnello, ci prende per mano perché noi possiamo affrontare tutto questo.

Dio si è mostrato al mondo come Bambino perché voleva che non avessimo paura di Lui. Se voleva che lo temessimo si sarebbe mostrato forte e potente. Ma che può farti un bambino? Dio è come un agnello, come una madre, è l'Agnello, la Madre che ci ama infinitamente.

E se qualche volta ci mette alle strette, ci da una tirata d'orecchie o è fermo con noi: "Stop... adesso basta... smettila... si cambia... no... sì... alzati... vieni fuori... esci... stai zitto..." è solo perché ci vuole bene e perché vuole che diventiamo grandi, adulti e soprattutto felici.

C'è una storia andina che dice che una feroce banda di predoni scese dalle vette delle Ande, attaccarono il villaggio, portarono via tutte le ricchezze e anche un bambino. La gente del villaggio fece una squadra per andarsi a riprendere il bambino, ma era gente della pianura e non ne sapeva niente delle alte vette delle Ande. Ci provarono lo stesso: scelsero i migliori uomini e provarono a scalare le montagne. Ma non ci fu verso: dopo giorni e giorni erano ancora bloccati lì. Ad un certo punto rimasero tutti sbigottiti: la madre del bimbo era salita fino lassù, aveva - non si sa come - preso il bambino ed era tornata giù. Allora le chiesero: "Ma come hai fatto tu? Noi, in tanti, uomini forti e vigorosi, non siamo riusciti e tu sì?".

E lei: "Non era vostro figlio!". Dio è come quella madre.

Pensiero della settimana
Dio poteva presentarsi in tante maniere:
come un leone e tutti ne avremmo avuto paura,
come una volpe e tutti avremmo saputo quanto era furbo,

come un serpente e avremmo saputo che è meglio non fidarsi troppo;

come un rapace o come un felino e così avremmo imparato a starcene lontano o a scappare via da lui;

e, invece, si è presentato come un agnello perché nessuno lo temesse.

 

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(es.: Mt 25,31 - 46):
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