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TESTO Commento Luca 17,11-19

Paolo Curtaz   Ti racconto la Parola

Mercoledì della XXXII settimana del Tempo Ordinario (Anno II) (13/11/2002)

Vangelo: Lc 17,11-19 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

I dieci lebbrosi che implorano la guarigione, sono l'immagine dell'impotenza dell'uomo di fronte alla debolezza fisica e psicologica. Gesù ascolta il loro grido e li guarisce, invitandoli a compiere il gesto della constatazione ufficiale della guarigione davanti ad un sacerdote, unico modo per essere riammessi alla vita della comunità. Uno solo torna a ringraziare, pieno di fede. Gesù, affranto, constata che dieci sono stati sanati, ma uno solo salvato. Dieci lebbrosi, uno di loro è samaritano: la sofferenza ci accomuna. Gli ebrei consideravano i vicini samaritani "cani bastardi" e come tali venivano trattati. Eppure qui tutti gridano ma, una volta guariti, le differenze tornano (mistero dell'umana fragilità!): nove vanno al Tempio e il samaritano, di nuovo solo, senza un Tempio in cui essere accolto, corre dal Tempio della gloria di Dio che è Gesù. E gli altri? - nota Gesù - nulla, spariti, scomparsi. Maillot, un autore francese, commenta questo brano dicendo che: "guarire gli uomini dalla loro ingratitudine è ben più difficile che guarirli dalle loro malattie". Essere guariti non significa essere salvati. I nove ingrati sono la perfetta icona di un cristianesimo purtroppo ancora diffuso, che ricorre a Dio come ad un potente guaritore (una specie di mago...) da invocare nei momenti di guai. Che triste immagine di Dio si fabbricano coloro che a lui ricorrono "quando c'è bisogno", che lasciano Dio ben lontano dalle loro scelte, dalla loro famiglia, salvo poi arrabbiarsi e tiralo in ballo quando qualcosa va storto nei loro (badate, non nei suoi) progetti. I nove sono guariti: hanno ottenuto ciò che chiedevano. Ma non sono salvati. Rimasti chiusi nella loro parziale e distorta visione di Dio, guariti dalla lebbra sulla pelle, non vedono neppure la lebbra che hanno nel cuore. Che rapporto abbiamo con questo Dio cui spesse volte ci avviciniamo nei momenti di bisogno? Non è forse un Dio dei rimedi impossibili quello che spesse volte invochiamo? No: Dio non è il Tempio in cui abitare, ma il Potente da corrompere e convincere. Che triste idea di Dio! Una visione della fede superstiziosa e magica, che accusa Dio delle nostre malattie (dove sta scritto che siamo invincibili? chi ce l'ha fatto credere?), che mette Dio alla sbarra, accusandolo. Davanti alla sofferenza, come i due ladroni sulla croce, possiamo bestemmiare Dio accusandolo di indifferenza. O accorgerci che sta morendo accanto a noi. Cadere nella disperazione, o ai piedi della croce. Gesù ci dice che la salute non è tutto, come spesse volte affermiamo. Certo: è un bene essenziale, prezioso, da custodire ed invocare. Ma non è vero che "basta la salute"; più della salute c'è la salvezza. Conosco malati relativamente felici e pieni di Dio, e splendidi giovani in piena forma che si buttano via nella droga. La salvezza è un benessere più profondo, assoluto, uno scoprirsi al centro di un Progetto d'amore...

Signore, guariscici da ogni lebbra, da ciò che ci allontana dai fratelli ma, soprattutto, salvaci dall'ingratitudine verso di te!

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