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TESTO Commento su Luca 20,27-38 (forma breve: Luca 20,27.34-38)

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XXXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (07/11/2010)

Vangelo: Lc 20,27-38 (forma breve: Lc 20,27.34-38) Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 20,27-38

In quel tempo, 27si avvicinarono a Gesù alcuni sadducei – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: 28«Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello. 29C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. 30Allora la prese il secondo 31e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. 32Da ultimo morì anche la donna. 33La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie». 34Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; 35ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: 36infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. 37Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. 38Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».

Forma breve (Lc 20, 27.34-38):

In quel tempo, disse Gesù ad alcuni8 sadducèi, 27i quali dicono che non c’è risurrezione: 34«I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; 35ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: 36infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. 37Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. 38Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».

Qui non si parla di poligamia, ma dello sguardo oltre la morte. Nel Vangelo c'è la provocazione dei sadducei sui sette mariti dell'unica donna, nel libro dei Maccabei la storia di una madre che sostiene i figli nel martirio per riaverli nella resurrezione.

Dopo la parabola dei contadini sfaticati e omicidi, gli scribi e i capi dei sacerdoti avevano capito che Gesù parlava di loro e lo provocano con la moneta di Cesare, per restare abbagliati dalla sapienza di Gesù, pietra angolare su cui si sfracella chi la scarta. Oggi si fanno avanti i sadducei, che non credono nella risurrezione, con l'ironia della "parabola" dei sette mariti per una sola donna. La loro domanda mostra, con una logica freudiana, che idea hanno della donna: una "proprietà" che ciascun marito potrebbe rivendicare come "propria". Per loro non importa cosa sarà dopo, ma di chi sarà dopo. I sadducei violentano la Parola di Dio che, nel libro del Deuteronomio, aveva dato quella disposizione proprio per assicurare, attraverso la nascita dei figli, la vita dopo la morte anche a chi è morto senza averne avuti.

Gesù dichiara che la "sconfitta" davanti alla morte riguarda "i figli di questo mondo" che si illudono di perpetuarsi attraverso la generazione biologica, e per questo prendono moglie e prendono marito. I "figli di Dio", invece, non prendono moglie né marito e non possono più morire perché sono "figli della risurrezione". Sposarsi o consacrarsi nella verginità, dalla Pasqua in poi, avrà senso solo in riferimento alla resurrezione e alla vita eterna. L'ultima parola non è la morte, ma la vittoria di Cristo su di essa, la vita di figli di Dio, resi tutti capaci di generare nella forza del suo Vangelo.

Lo sguardo oltre la morte contempla il Dio dei vivi e tutti che vivono per Lui. La morte è vinta. Questa è la sola risposta che spegne tutte le false domande e accende le speranze capaci di vincere la paura che abbiamo d'invecchiare, di ammalarci, di perdere la bellezza avuta da giovani, di restare soli, di morire. Vincere la paura di morire è tornare ad amare la vita, a credere nella vita per sempre, la vita eterna, e indossare la logica di chi si prende cura, usa tenerezza, ha compassione, sa stare accanto.

Commento a cura di don Angelo Sceppacerca

 

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