TESTO Commento su Matteo 5,1-12a
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Tutti i Santi (01/11/2010)
Vangelo: Mt 5,1-12a

In quel tempo, 1vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. 2Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
3«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
4Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
5Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
6Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
7Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
8Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
9Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
10Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
11Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. 12Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi».
Dalla Parola del giorno
Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
Come vivere questa Parola?
Con facilità e forse anche con una certa superficialità si accosta la beatitudine alla santità: i santi sono beati, si afferma, ma poi, di atto, si considera la beatitudine come un espediente consolatorio riservato a chi in vita non è stato fortunato o non ha saputo fare il furbo. Si relega, infatti, la beatitudine in un futuro che si realizzerà dopo la morte per chi - poveretto! - in vita non ha potuto godersela.
Ma, a una lettura più approfondita, ci si rende conto che nelle beatitudini è rintracciabile il nostro volto più autentico, la nostra identità di uomini, prima ancora che di cristiani. La Genesi dice infatti che l'uomo è stato creato a immagine di Dio, e Gesù esplicita qualificandolo figlio di Dio. Questa è la nostra realtà profonda.
Il santo è colui che, assecondando l'azione dello Spirito Santo, ha lasciato emergere la sua autentica fisionomia di figlio e, quindi, di fratello. Uno svincolarsi dell'io verso la realizzazione piena, un processo di liberazione gaudioso in se stesso. Chiunque intraprende questo cammino sperimenta neces-sariamente una certa beatitudine intrecciata, certo, con l'esperienza della lotta e anche, talvolta, della sofferenza. Qualcosa di analogo a quanto descritto da Gesù con l'immagine della partoriente, la cui sofferenza si fonde, fino ad esserne assorbita, con la gioia dello schiudersi di una nuova esistenza.
Ognuno di noi è chiamato a partorire se stesso! Ed è l'esperienza più gioiosa che si possa fare, l'unica capace di dar senso al nostro vivere, incluso lo stesso soffrire che allora si colora di beatitudine. Non, quindi, beato perché si soffre, ma perché quella sofferenza è assimilabile ai dolori del parto. Ciò che fagocita ogni gioia e spegne la beatitudine è il baratro della mancanza di senso.
Poi, certamente, questa beatitudine, che in terra è in fieri, troverà la sua pienezza nell'immersione totale in Dio, come il ruscello che dopo aver superato le asperità del cammino può tuffarsi nella vastità del mare.
Nella mia pausa contemplativa prenderò la ferma risoluzione di liberare il figlio di Dio che è in me. Per questo mi affiderò, oltre che allo Spirito Santo, a quanti hanno già raggiunto la meta.
Fratelli, che avete lasciato dietro di voi una scia di luce, aiutatemi a non perdere di vista la meta, cioè il pieno dispiegamento del mio essere figlio di Dio, pregustandone già su questa terra la beatitudine.
La voce di un artista
C'è un angelo imprigionato in questo blocco di marmo? Io lavoro per liberarlo.
Michelangelo Buonarroti