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TESTO Commento su Luca 18,9-14

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XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (24/10/2010)

Vangelo: Lc 18,9-14 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù 9disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 10«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 11Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. 13Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. 14Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

COMMENTO ALLE LETTURE
a cura di don Paolo Ricciardi

L'UMILTA' DELLA PREGHIERA

Benedetto sei tu, Padre, perché ai piccoli hai rivelato i misteri del regno dei cieli.

Dieci giorni fa ha colpito tutti noi il tragico fatto di cronaca risoltosi poi in uno splendido miracolo: trentatré minatori rimasti intrappolati a settecento metri di profondità per più di settanta giorni. Qualcosa di assurdo, che ha tenuto con il fiato sospeso tutto il mondo.

Molte persone si sono ritrovate a pregare, dentro e fuori di quella miniera. Quell'evento, con il salvataggio dei minatori uno per uno, ci può far immaginare cosa significhi ritrovare luce, libertà e pienezza di gioia dopo aver sperimentato il buio e il timore della morte. Quanto più grande la gioia per un peccatore che si converte.

La parola di Gesù anche oggi ci "costringe" a scrutare la verità del cuore, a sondare il pozzo profondo e segreto della coscienza, della consapevolezza del proprio essere.

E, lì dentro, non possiamo che essere schierati: o ci sentiamo ricchi di noi stessi e non ci aspettiamo affatto di essere liberati, portati in salvo, o riconosciamo di essere poveri, perché peccatori verso Dio e verso il prossimo, e invochiamo pietà - e saremo perdonati.

La preghiera è questo: tendere la mano a Dio nella gioia come nella prova ed essere certi di essere da lui portati alla luce. Ha detto Sant'Agostino: "L'uomo è un mendicante di Dio".

Il vangelo di Luca in queste domeniche ci ha fatto fare un cammino (seguendo il viaggio di Gesù a Gerusalemme). Siamo partiti dalla domanda dei discepoli: "Accresci in noi la fede", per sentirci rispondere che basta un piccolo seme di fede per fare cose impossibili. Ci vuole però l'umiltà di coloro che sono semplicemente servi. Ci vuole il ringraziamento del lebbroso samaritano. Ci vuole l'insistenza della vedova.

Ora, dopo la parabola del giudice e della vedova, sulla necessità di pregare sempre, Gesù ci offre una seconda parabola sulla preghiera - precisamente sul come pregare - in molti aspetti parallela a quella precedente. Anche qui si tratta di due personaggi, ognuno caratterizzato dal suo stato sociale: il fariseo, che si ritiene giusto, e il pubblicano, ossia l'esattore delle imposte, socialmente considerato un peccatore, che riconosce con umiltà il suo bisogno di essere ascoltato.

Il fariseo è in un atteggiamento di superiorità. Nella società giudaica del tempo di Gesù la classe dei farisei si riteneva l'espressione più nobile dell'Alleanza tra Dio e il popolo eletto. Anche esteriormente il fariseo si mostra superiore: è ritto in piedi, fiero di praticare la legge alla perfezione. Quest'uomo inizia bene. Si comporta come il lebbroso: ringrazia. In qualche modo si comporta come la vedova: è costante nella preghiera, nel digiuno e nelle opere di carità. È un uomo spiritualmente corretto, come tanti cristiani di oggi: "...peccati gravi non li faccio, non rubo, non ammazzo, vengo a messa, prego... non sono come gli altri..." eppure soffre della malattia, come dice Gesù, di presumere di esser giusto e di disprezzare gli altri. Non ha bisogno di chiedere nulla, prega solo per lodare se stesso. Malattia diffusa, questa; una patologia di ogni tempo.

C'è bisogno della medicina dell'umiltà. Quante volte il cristiano "perfetto" si mette al posto di Dio ergendosi come giudice di chi non è come lui: i giovani d'oggi, gli stranieri, i rom e... "questo" che sta al banco dietro a me.

Chissà, forse "questo" al banco dietro a me si sta battendo il petto e dice, ad occhi bassi: "O Dio, abbi pietà di me". È la preghiera che, come dice il Siracide, giunge a Dio anche quando il cielo è coperto, attraversando le nuvole, perché "è lanciata" dall'umiltà. Quando si è veri e sinceri con Dio si può pregare pure con una sola parola. Spesso invece si dicono tante preghiere, le labbra si muovono per recitare interminabili salmodie, ma il cuore non si muove affatto. Dimmi come preghi e ti dirò chi sei.

Nell'essenzialità della sua preghiera il pubblicano apre il cuore di Dio e torna a casa giustificato. Dio ha guardato all'umile e lo ha reso giusto! Dice il catechismo della chiesa cattolica in una splendida pagina (cf. Compendio 422): La giustificazione è l'opera più eccellente dell'amore di Dio, manifestato in Cristo Gesù e comunicato tramite lo Spirito Santo. Sant'Agostino ritiene che «la giustificazione dell'empio è un'opera più grande della creazione del cielo e della terra», perché «il cielo e la terra passeranno, mentre la salvezza e la giustificazione degli eletti non passeranno mai».

Anche san Paolo, giunto quasi al termine della sua vita, scrivendo a Timoteo, confessa di aver sperimentato questo. La sua missione è stata dettata da una continua crescita verso la piccolezza e l'umiltà. Da grande persecutore e maestro della legge, egli si è fatto, per grazia di Dio, apostolo e discepolo del Signore Gesù. Ora è solo, abbandonato da tutti, ma certo della presenza del Signore. Questo testamento spirituale dell'apostolo delle genti è una bellissima professione di fede di un cuore innamorato di Dio.

In questa giornata missionaria mondiale forse potremmo ripartire proprio da qui. Siamo consapevoli di essere peccatori, ma sperimentiamo la bellezza della grazia di Dio e il suo perdono. Testimoniamolo con gioia, senza paura. Tante persone, dietro l'angolo della nostra vita quotidiana, aspettano, attraverso di noi, l'annuncio della misericordia di Dio.

Potremmo concludere con le parole di André Louf: "Ti benedico Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai pietà del peccatore che sono io".

 

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