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TESTO Traccia di comprensione per Is 60,11-21; Eb 13,15-17.20-21; Lc 6,43-48

don Raffaello Ciccone   Acli Provinciali Milano, Monza e Brianza

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Dedicazione del Duomo di Milano (Anno C) (17/10/2010)

Vangelo: Is 60,11-21|Eb 13,15-17.20-21|Lc 6,43-48 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 6,43-48

43Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. 44Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. 45L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda.

46Perché mi invocate: “Signore, Signore!” e non fate quello che dico? 47Chiunque viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica, vi mostrerò a chi è simile: 48è simile a un uomo che, costruendo una casa, ha scavato molto profondo e ha posto le fondamenta sulla roccia. Venuta la piena, il fiume investì quella casa, ma non riuscì a smuoverla perché era costruita bene.

Lettura del profeta Isaia 60, 11-21

Stiamo leggendo un testo di Isaia tratto dai suoi ultimi dieci capitoli (cc 56-66), in cui sono descritti il ritorno del popolo liberato e la ricostituzione di Gerusalemme dopo l'esilio di Babilonia (587-538 a.C.). È attribuito ad uno o più profeti che gli studiosi chiamano Terzo Isaia, vissuto durante la ricostruzione del Tempio di Gerusalemme e negli anni successivi (dal 520 a.C. in poi).

Tutto il capitolo 60 è un canto di speranza per Gerusalemme ed un canto di grande speranza. Inizia con: "Alzati, Gerusalemme, rivestiti di luce perché viene la tua luce..." (v. 1). Nel tempio ricostruito affluiscono le ricchezze. La pace regna nella città e la gloria di Dio si irradia nel benessere. Gerusalemme diventa un riferimento fondamentale di speranza non solo per il popolo, ma anche per tutto l'universo.

Gli elementi culturali propri di una realtà povera, e spesso sconfitta, si giocano sulla sicurezza (le porte spalancate, l'abbondanza del commercio esprimono finalmente il superamento della povertà e della fame; l'abbondanza del legname (v 13) ci riporta alla bellezza e all'abbondanza del tempo di Salomone che, prima, aveva utilizzato il legno delle foreste del Libano per il tempio ed ora lo stesso legname può essere utilizzato per la città.

I popoli oppressori si prostreranno al Santo di Gerusalemme e la città acquisterà tale splendore da diventare "l'orgoglio dei secoli, la gioia di tutte le generazioni" (v 15). Le importazioni abbondano in metalli preziosi, utili per le costruzioni e per lo sfarzo: oro, argento, bronzo e ferro.

Gerusalemme è sorretta, allora, da due valori essenziali: la pace (identificata nel suo benessere totale) e la giustizia, il segno pieno della salvezza di Dio. I versetti dal 10 al 18 richiamano e inglobano questa immagine di sicurezza nelle mura ricostruite che Dio protegge.

Viene utilizzato il genere apocalittico, nella linea della conclusione della storia umana (e infatti la stessa immagine è utilizzata in Apocalisse 21,23): il sorgere della luna e il sorgere del sole non sono più considerati portatori di luce. Si fa riferimento qui, probabilmente, alle credenze di Canaan in cui si pensava che il sole e la luna fossero divinità. In questo caso, nella Gerusalemme rinnovata, il popolo, "tutto di giusti" (v 21), sarà completamente liberato dall'idolatria e perciò non porrà più la propria sicurezza degli astri divinizzati perché il Signore stesso sarà luce eterna, perenne per Sion.

Nel mondo ebraico la presenza divina aveva un particolare riferimento al tempio, chiamato perciò spesso "casa di Dio". Dopo Gesù però la presenza di Dio non è più, fondamentalmente, in un edificio.

- Essa è nella fede della comunità cristiana che si ritrova insieme a celebrare nel mistero la presenza di Gesù attraverso i segni consegnatici da Lui nella Chiesa (i Sacramenti).

- E quindi è nella vita quotidiana di ciascuno, attraverso la consapevolezza di essere figli di Dio e l'operosità suggerita dalla volontà di Dio nel cuore di ciascuno.

Lettera agli Ebrei. 13, 15-17. 20-21

Siamo alla conclusione della "Lettera agli ebrei" per cui vengono dati suggerimenti etici di comportamento adatti a credenti in Gesù che fanno parte dell'unica Chiesa.

Con alcune allusioni alla festa ebraica della "celebrazione della espiazione" (ebrei 9,7; Levitico 16) si ricorda ciò che il sommo sacerdote compiva, quando bruciava fuori dall'accampamento il corpo degli animali sacrificati. "Anche Gesù per santificare il popolo con il proprio sangue, patì fuori dalla porta della città"(v 12).

"Usciamo dunque verso di Lui..." (v 13) sviluppando in questo nuovo contesto, fuori dall'antico tempio, liturgie, comportamenti e scelte di vita che ci permettono in Gesù (nuovo tempio, nuovo sacerdote e nuova offerta) di costituire un popolo nuovo.

- Perciò noi svolgiamo "un sacrificio di lode, cioè il frutto di labbra che confessano il suo nome" (v 15);

- A tale offerta di lode, però, va aggiunto il dono della carità (v 16).

- Nel rapporto tra fratelli va sviluppata una profonda docilità e obbedienza ai "capi" perché possono vegliare con gioia, sviluppando il proprio impegno.

Gli ultimi due versetti (20-21) sintetizzano le linee teologiche della "Lettera agli ebrei". Il Dio della pace ha preparato un'alleanza eterna attraverso la risurrezione di Gesù, riconoscendo nel sangue dell'amore versato, un'alleanza eterna. Per noi che crediamo in Gesù quest'alleanza è impressa nei cuori.

Il nostro cammino opera i gesti della pace e della volontà di Dio mediante Gesù e la sua somiglianza. Vi si può leggere qui la conclusione liturgica del discorso-omelia che è stato fatto in questi capitoli.

Lettura del Vangelo secondo Luca 6, 43-48

Il testo di Luca fa parte della testimonianza che l'evangelista offre nella sua redazione delle beatitudini, a somiglianza di Matteo. Egli, tuttavia, porta alcune differenze e angolazioni proprie delle esigenze che l'evangelista, nell'insegnare la linea di Gesù ai suoi interlocutori credenti, intravede.

Il testo andrebbe ripreso dal versetto 39: "Può forse un cieco guidare un altro cieco?". Luca offre questo proverbio ai discepoli perché ci si misuri e si diventi maestri sapienti, mentre Matteo rivolge questo stesso richiamo ai farisei (15,14).

Perciò il quadro che viene fatto qui sui falsi maestri corrisponde alla volontà di maturazione che ogni discepolo deve sviluppare. I difetti, infatti, che verifichiamo da credenti, dice Luca, nella nostra comunità ci fanno scoprire ciechi alla misericordia (v 39), pretenziosi (v 40), giudici severi verso gli altri e benevoli verso se stessi (v 41) non coscienti di essere bisognosi di perdono (v 42). Così ci viene posto il problema di un esame di coscienza da fare su noi stessi.

Siamo, cioè, in pericolo di offrire frutti guasti se non scopriamo con sincerità e verità ciò che siamo e non scopriamo il bisogno di misericordia che il Signore è capace di dare. Come discepoli, lo scopriamo per noi e anche per gli altri. In tal modo dal nostro cuore sorge il bene, anzi sovrabbonda, capace di sostenere e aiutare a trovare misericordia e novità e a suggerire la strada della sapienza. Così il principio della bontà non sta nelle cose, ma sta nel cuore. Se il nostro cuore è aperto alla conoscenza e alla misericordia di Dio cambierà via via noi e aiuterà a cambiare gli altri. Se invece il nostro cuore si rinchiude nel male e gode del male, esprimerà frutti malvagi, che rovinano e portano alla morte anche coloro che vivono con noi.

Nel Regno non si entra solo per ascoltare e conoscere, ma per operare. È il significato che Gesù vuole dare a quel "venire dietro a me". In fondo Gesù ci chiede una pienezza di riferimento verso di lui: egli chiede che si vada a lui, che lo si ascolti e che si operi nella linea da lui insegnata; c'è una totalità di presenza che attraversa tutta la dimensione fisica e spirituale della persona: venire, vedere, capire, operare (occhi, orecchi, cuore, piedi, mani). Ci si rivolge al Signore, quando ci si è posti nella condizione di raccoglierlo pienamente.

L'immagine della casa fa riferimento a questo ancoraggio fondamentale per cui qualsiasi avvenimento o catastrofe non è capace di sradicare e neppure di smuovere. Il credente maturo appoggia tutta la propria fiducia in Gesù e quindi è all'altezza di costruire anche per gli altri una comunità coerente e misericordiosa.

In fondo questo testo ci suggerisce perché noi ci ritroviamo, insieme, nella celebrazione domenicale in una chiesa edificata. Ci si incontra per ascoltare e capire, arricchirci dei doni di grazia, progettare stili ed itinerari di misericordia e quindi proporre ciò che il Signore desidera e che noi svilupperemo lungo la settimana nel mondo.

 

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