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TESTO Problemi di comunicazione

don Fulvio Bertellini

XXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (07/09/2003)

Vangelo: Mc 7,31-37 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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31Di nuovo, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidone, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. 32Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. 33Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; 34guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». 35E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. 36E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano 37e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».

Sono atrocemente scandalizzato dai bambini di IV-V elementare col cellulare. Sarà che sono retrogrado, oscurantista e reazionario. Ma un fatto che mi hanno raccontato è addirittura allucinante: in un certo posto d'Italia (non diciamo dove), in una classe elementare gli unici due bambini senza cellulare erano tagliati fuori: esclusi dai giochi, esclusi dalle relazioni. Considerati un nulla dai compagni. Spero che sia una leggenda, o un caso limite (forse non era solo il cellulare: sicuramente erano anche poveri... o forse sarà stato solo perché erano poveri?); tuttavia la tendenza mi pare quella. Parli con uno, e squilla il cellulare. "Scusa, devo rispondere...". E' raro trovare chi dica "Guarda, sto parlando con un altro, sono a tavola con amici, ti richiamo tra mezz'ora, richiamami tra cinque minuti...": chi ti chiama al cellulare è più importante di chi hai davanti.

Comunicazione personale

Non parlo come il comunicatore perfetto, anzi: mi accorgo anch'io di essere malato. Diciamo che sono un malato più consapevole, che non vuol dire necessariamente essere medico, né in via di guarigione. Una delle mie tentazioni è il libro, o il giornale: prendo in mano un blocco di carta stampata, e sono fuori dal mondo. Le persone scompaiono. Ad altri accade con la TV, ad altri col cellulare, ad altri con Internet: nella nostra società della cosiddetta comunicazione (o meglio: dei mezzi di comunicazione), stiamo perdendo la base fondamentale: il dialogo personale, faccia a faccia. Il Vangelo ha qualche cosa da dire su questo: non come farebbe un manuale di comunicazione, ma restituendoci il fondamento del nostro essere uomini e del nostro desiderio di relazioni: Gesù, Parola vivente, Verbo di Dio incarnato, colui che ci rivela il Padre e ci rivela a noi stessi.

La comunicazione di Gesù

Gesù si inoltra nella Decapoli, territorio straniero e di "infedeli". L'evangelista ha cura di farlo notare, perché dimostra che il Vangelo è per tutti gli uomini, senza confini. Siamo sempre tentati di crearci confini: di razza, di estrazione sociale, di linguaggio, di appartenenza di gruppo, di età... il mondo si globalizza, ma i confini si fanno sempre più stretti intorno a noi. Gesù non ignora i confini, ma li supera. Noi, dall'alto delle nostre dichiarazioni di tolleranza, facciamo come se non esistessero, e ne restiamo prigionieri, o li creiamo. O, all'opposto, siamo creatori di barricate e inutili arroccamenti. Intanto Gesù passa, scuotendoci dal nostro falso idealismo, ed innalzandoci al di sopra del nostro ottuso realismo.

Lontano dalla folla

L'essere in tanti è un'altra droga della nostra comunicazione. Sembra che solo nella massa urlante sia possibile sciogliersi, vibrare, esprimersi. Troppo spesso l'affollamento non è altro che una maschera alle nostre solitudini. D'altra parte anche il rifiuto della gente, della massa, il disprezzo per le forme comunitarie nasce spesso da individualismo ed egoismo. Gesù non disprezza mai la folla. Sa come si parla a tante persone. Ma sempre ricerca, nello stesso tempo, il cuore del singolo. Il muto esce dalla massa indistinta, e ritorna persona: e il primo passo è l'isolamento, faccia a faccia con Gesù.

Il linguaggio dei gesti

Il sordomuto non può sentire le parole di Gesù, né può esprimere la sua fede. Prima di restituirgli la parola, Gesù parla il linguaggio dei gesti. Quello che sembra un agire magico, potrebbe essere forse meglio interpretato come un far capire al sordomuto quello che gli sta accadendo: Gesù tocca la lingua e gli orecchi della persona, e con questo instaura una relazione profonda, un contatto personale che va al di là delle parole; e poi alza gli occhi al cielo. Riferisce al Padre ciò che sta facendo. Tradotto in parole: "Quello che ti accade è opera di Dio. Non solo opera mia".

Parola creatrice

La prima parola che il cieco può udire è proprio la parola della guarigione. La parola di Gesù è efficace, ha la stessa potenza della parola creatrice. Anche il sospiro forse fa allusione al racconto della creazione del primo uomo. La parola di Gesù ricrea la persona, la restituisce alla sua dignità originaria.

Conclusioni

Quella stessa parola che guarisce il sordomuto è la parola che ogni domenica ascoltiamo, magari distrattamente, nelle nostre Chiese; che apre i nostri incontri parrocchiali; che ha la forza di guidare la nostra vita, se non la lasciamo inoperosa ad ammuffire. Abbiamo bisogno di rimetterci in ascolto, per metterla in pratica.

Ma prima di parlare notiamo che Gesù compie dei gesti: Gesù usa tutti i mezzi possibili per comunicare, quelli che precedono la parola, e quelli che dicono ciò che la parola da sola non può comunicare. Anche questa base della relazione dobbiamo riscoprire. Il corpo è più che un supporto per sedurre con trucco, chirurgia estetica e palestra...

E infine, il rapporto personale. Gesù lo cerca, allontanandosi dalla folla. Lo protegge, chiedendo di non divulgare il fatto. Di non esporlo al malinteso. Di non annullare la sua forza comunicativa riducendolo a evento miracolistico. Gesù vuole parlare a ciascuno di noi, fuori dalla folla. Ci vuole protagonisti, non spettatori. Ma noi avremo il coraggio di uscire dal rassicurante grembo della massa e del nostro individualismo?


PRIMA LETTURA

L'annuncio del profeta è espresso con due serie di immagini: prima immagini di guarigione, che riguardano ciechi, sordi, zoppi e muti; e poi immagini cosmiche (il deserto che rifiorisce). L'invito concreto che viene dato ai destinatari è "Coraggio, non temete". Il profeta invita ad un atteggiamento di fede, a non agitarsi inutilmente, a non lasciarsi prendere dallo scoraggiamento di fronte a situazioni che appaiono disperate. In base a questo invito alla fede siamo chiamati a decifrare le immagini che seguono. Cieco, sordo, zoppo e muto è il popolo stesso: incapace di vedere l'agire di Dio nella storia, incapace di ascoltare la sua parola, incapace di camminare nelle sue vie, e infine muto: senza parole per chiedere aiuto e chiedere perdono.

Il deserto rappresenta la situazione del popolo: una situazione che sembra senza vie d'uscita, e che nella Bibbia è il simbolo per eccellenza della prova della libertà. La liberazione infatti passa per la via difficile della privazione e dell'essenzialità, dell'oscurità e del dubbio. Solo nel deserto si scopre la vitale importanza del pane, dell'acqua, della parola, della comunità. Il profeta Isaia annuncia: questo deserto fiorirà, cioè questa prova potrà avere un esito positivo, dare frutti abbondanti. Ma nel nostro deserto sapremo fidarci di Dio?

SECONDA LETTURA

La lettera di Giacomo punzecchia i suoi uditori con un esempio che ha tutti i caratteri del realmente accaduto. Qualcosa del genere doveva effettivamente essere successo in quelle comunità, o ancora più probabilmente doveva essere diffuso un atteggiamento di deferenza verso i ricchi, e un rifiuto dei poveri. Situazioni simili sono ancora più pericolose, in quanto sono vissute quasi senza consapevolezza, e solo la parola forte dell'apostolo smaschera il pericolo dell'ipocrisia e della finzione: queste preferenze, questi giudizi basati sull'apparenza sono giudizi perversi e non hanno niente a che vedere con la vera fede.

La parola di Giacomo non si limita alla sterile denuncia, ma si completa ri-enunciando il Vangelo: Dio ha scelto i poveri per farli eredi del suo Regno, in cui l'unica ricchezza che vale è la fede. Questa è anche la ricchezza che noi siamo chiamati a riscoprire, abbandonando le nostre personali preferenze e diffidenze. Il rischio costante a cui sono esposte le nostre comunità e i nostri gruppi parrocchiali è di aggregarsi intorno a preferenze personali e affinità sociali e affettive: si forma invece una vera comunità solo quando il collante è la fede.

 

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