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TESTO Aperti al perdono

don Daniele Muraro   Home Page

XXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (12/09/2010)

Vangelo: Lc 15,1-32 (forma breve: Lc 15,1-10) Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 1si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». 3Ed egli disse loro questa parabola:

4«Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? 5Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, 6va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. 7Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.

8Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? 9E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. 10Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».

11Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. 12Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. 13Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. 14Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. 16Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. 17Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; 19non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. 20Si alzò e tornò da suo padre.

Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. 22Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. 23Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.

25Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. 27Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. 28Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. 29Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. 30Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. 31Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

Forma breve (Lc 15, 1-10):

In quel tempo, 1si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». 3Ed egli disse loro questa parabola:

4«Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? 5Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, 6va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. 7Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.

8Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? 9E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. 10Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».

Questi tre racconti sono conosciuti come le tre parabole della misericordia. Prima di esaminarle togliamo la patina di commiserazione dal nome. Nella testa di molti "misericordia" è troppo legata a miseria per non associare questo atteggiamento a prestazioni od oggetti "della misericordia", poveri di valore e privi di interesse.

All'opposto la misericordia di Dio invece che adattarsi alla miseria umana, ne fa un'occasione di riscatto per arrivare alla gioia finale della festa condivisa.

Nelle tre parabole possiamo rintracciare una progressione che culmina in quella del figlio prodigo, o per meglio dire del Padre misericordioso. Nella prima parabola di pecore se ne perde e ne viene ritrovata, una su cento; nella seconda si racconta di una moneta su dieci; nella terza è il figlio minore quello che viene recuperato nonostante le proteste del maggiore.

Nei giorni scorsi qui dalle nostre parti abbiamo sentito parlare dell'orso Dino: c'è, non c'è, è stato ucciso, se ne è andato via. Forse da questo episodio possiamo immaginarci come sia possibile appassionarsi per un animale, che tuttavia resta un diversivo di cronaca.

Il rapporto tra padre e figlio tuttavia è molto diverso da quello che si può instaurare tra un pastore e una pecora, e anche da quello tra una donna di casa e il suo gioiello, per quanto prezioso.

Notiamo poi che mentre aumenta il valore di ciò o di colui che si recupera, cala apparentemente l'impegno profuso nella ricerca. Il pastore della prima parabola lascia le altre novantanove pecore al sicuro e si mette a cercarla per monti e valli, fra dirupi e pianori. La donna rovescia la casa pur di recuperare la sua moneta. Non aspetta che si palesi da sé nella convinzione che un edificio nasconde, ma non ruba, no! lei vuole subito ciò che gli appartiene.

Il padre della terza parabola invece, almeno ad un ascolto affrettato, subisce l'allontamento del figlio e non si mette a inseguirlo, ma aspetta pazientemente il suo ritorno.

Se poi il pastore e la donna hanno colleghi, amici e vicini con cui festeggiare, al padre manca la gioia più grande dopo quella del ritorno del figlio minore, ossia la partecipazione alla festa del fratello maggiore. Non è un carenza da poco.

Dunque la terza parabola è un racconto separato, più lungo e articolato degli altri e con un messaggio più complesso.

Le prime due parabole per così dire presentano la salvezza dal punto di vista del beneficiario, senza contraddittorio; la terza fa riemergere lo sguardo del Padre. Il suo amore viene messo alla prova una prima volta dalla partenza del figlio minore ma subito dopo il suo ritorno la ribellione sorda e ostinata del figlio più grande lo mette di nuovo alla prova.

Appena arrivato il figlio minore non ha bisogno di insistere per ottenere il perdono della lunga assenza, il Padre invece arriva a supplicare il figlio maggiore. Vuole che egli accettare di nuovo in casa il fuggitivo e si dimostri accogliente nei suoi confronti, come si conviene tra fratelli.

Sembra di risentire l'esortazione di san Paolo rivolta ai cristiani di Corinto: "Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio." Infatti non si può essere in pace con Dio se si avversa il proprio fratello.

Quelle che nella prima e seconda parabola si potrebbero derubricare a disavventure (lo smarrimento di un animale o di un oggetto prezioso) nella terza parabola diventa un dramma dove le relazioni appaiono evidenti e vengono esasperate dalla contraddizione.

Non è stato un impegno facile per Dio la storia della salvezza. Non si è trattato solo di una perdita di tempo o di un'angoscia temporanea per una danno tutto sommato recuperabile, ma di una azione intensamente vissuta e patita.

Niente è più fastidioso che venire disturbati mentre si è concentrati su un'aspettativa importante, ma niente è più avvilente che venire criticati mentre ci si sforza di essere buoni.

"Dio ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per essere misericordioso verso tutti!" dunque anche noi dovremmo essere pronti a chiedere perdono a Dio, ma anche a perdonare. La misericordia non può sopprimere la giustizia, ma la giustizia può solo essere giustificazione, ossia può venire unicamente da Dio.

Le tre parabole sono tre altrettanti inviti contro la crudeltà, la negligenza e l'avarizia, crudeltà di chi lascia gli altri perdersi, negligenza per la trascuratezza di illuminarli sui loro errori e avarizia per il timore di rimetterci del proprio. L'unica espressione "essere misericordiosi" riassume le opposte attitudini positive.

Per i contemporanei era evidente che Gesù si comportava così. Per quanto ci riguarda è facile che pretendiamo dalla società gesti di misericordia, ma messi alla prova stentiamo anche noi ad attuarli.

Per chiedere il perdono (ma anche per darlo) bisogna essere capaci di vedere il bene e apprezzarlo. Ci riesce il figlio minore, quando nel profondo della sua abiezione ricorda la condizione serena dei servi nella casa del Padre, non smette di contarci il Padre che da scruta da lontano il ritorno di questo figlio che non si era mai rassegnato di aver perso.

Da questa misericordia si confessa colpito san Paolo. Egli si sente forte non contro gli altri né sopra di loro, bensì a loro favore e questo dovrebbe essere anche il nostro atteggiamento di cristiani: perdonati, perdonare.

 

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