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TESTO Giudizi pratici

don Daniele Muraro  

XV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (11/07/2010)

Vangelo: Lc 10,25-37 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 10,25-37

In quel tempo, 25un dottore della Legge si alzò per metterlo alla prova e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». 26Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». 27Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». 28Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».

29Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». 30Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. 31Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. 32Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. 33Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. 34Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. 35Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. 36Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». 37Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».

Quando davanti ad una proposta non si ha tempo per valutarne tutti gli elementi, si cerca di puntare all'essenziale della cosa, per farsene un'idea di valore e tradurla in una decisione pratica. Questo capita non solo per le faccende secondarie di ogni giorno, ma anche per le questioni importanti.

Si dice con frase fatta che l'ottimo è nemico del bene. Talvolta il buon senso supera l'abilità nei ragionamenti. Se la salvezza dipendesse da una conoscenza completa e particolareggiata delle leggi della vita, l'obiettivo sarebbe certamente al di sopra delle ordinarie possibilità.

Di tale obiezione sembra rendersi conto Mosè quando nella prima lettura al termine di tre lunghi discorsi estesi trenta capitoli, alla fine rassicura i suoi ascoltatori: "Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te... Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica". La Parola di Dio la si comprende in pienezza quando la si vive.

Mosè vuole spingere il popolo ad un rapporto vitale con Dio, da persona a persona. Da parte sua Gesù insegnava come uno che ha autorità, e non come gli scribi. Questi ultimi avanzavano per ipotesi, mettendo davanti problemi e proponendo la soluzione. Gesù non si presenta così: vuole formare uomini, cioè persone mature e non discepoli nel senso di ascoltatori passivi. La sua è una scuola di vita.

La domanda del dottore della Legge rischia di ridursi ad una disputa intellettuale. Può darsi che il dotto intendesse sottoporre il predicatore ad un esame: "Che cosa sai tu più di noi?" Infatti lo chiama Maestro e non Signore.

Ma c'è in particolare da non sottovalutare: il dottore della Legge, o legisperito, parla di "vita eterna". Qui la questione si fa più seria: "Esiste questa vita eterna? Che prove possiamo averne? Come possederla?"

Fra tutte le definizioni di vita eterna mi piace questa: vita eterna nel credente è l'azione continua della vita divina sull'anima fin adesso, e sul corpo e sull'anima dopo la resurrezione. Per spiegarsi con un esempio: in modo simile a come il sole non smette di irradiare la sua luce sul mondo, così Dio attraverso i suoi incessanti influssi mantiene nella vera vita coloro che stanno in amicizia con Lui.

La domanda del dottore della legge allora potrebbe essere tradotta così: come posso uscire dall'oscurità dello spirito ed espormi ai raggi benefici della Grazia?

Gesù prende sul serio il quesito e risponde dimostrando rispetto per la persona che lo interroga. Riconosce che il suo interlocutore non parte da zero; la sua formazione fino a quel punto dovrebbe averlo messo sulla buona strada.

Già nell'Antico Testamento si trovano indicazioni decisive sul tema ed il tipo non solo conosceva le spiegazioni di ogni sabato nella sinagoga, ma era anche capace di leggere da solo il testo sacro, ossia di interpretarlo.

Infatti risponde bene e ne riceve un elogio, ma non è soddisfatto. Da esperto aveva la teoria, gli manca la pratica. Alla fine deve scoprirsi e riconoscere che alla prova dei fatti ne sa più il Signore e domanda: "Chi è mio prossimo?"

Anche questa non è solo una battuta, ma rivela il problema classico di ogni slancio religioso. Dio è uno solo e invece il prossimo potenziale sono tanti.

Abbiamo appena detto che per un credente possedere vita eterna significa ricevere l'effusione da parte di Dio della sua grazia nell'anima o nel cuore, ma eterno significa completo e senza contrari, e cioè senza né lutto, né sofferenza morale, né dolore fisico.

Tutte queste sono prerogative di Dio. Invece avere a che fare con gli altri comporta di immischiarsi con il negativo del mondo, affrontando ostacoli e subendo contrasti. Ammettiamo pure che a tutti non si può far del bene, in ogni caso il mio prossimo è in mezzo ai tanti. Da dove cominciare?

E più direttamente: il mio prossimo è solo quello con cui sto bene assieme, con cui andiamo d'accordo e che corrisponde al mio modo di vivere, oppure devo allargare il cerchio?

Gesù risponde che il prossimo è colui che si trova nel bisogno e che tutti possono diventare prossimo, basta provare verso di loro compassione nell'anima. Il modo per fare posto all'amore di Dio nella propria vita è quello di donarlo. Si pensa di dare e invece si riceve, se si dà per amore di Dio.

Solitamente questo amore di Dio ci viene comunicato un poco alla volta, non in maniera travolgente come un fiume in piena, ma a bottiglie. Se si riceve la prima, si otterrà anche la seconda e così di seguito; ma perché vada così occorre liberarsi mani e cuore donando.

Una ricetta dice così: al pessimismo della ragione va contrapposto l'ottimismo della volontà; ossia anche se con il ragionamento sembra che tutto vada male, non bisogna arrendersi perché la forza di volontà è capace di rovesciare le situazioni più difficili, basta che non smetta di crederci.

La ricetta è ambigua in quanto può spingere al distacco dalla realtà e all'affermazione nell'individuo di una cieca volontà di potenza a scapito del vero bene, ma la stessa formula è passibile anche di una interpretazione consona al Vangelo.

La volontà va esercitata. Ecco l'importanza della pratica. Se si vuole progredir sulla via del bene non si può girare dall'altra parte incrociando le sofferenze del fratello.

È quello che Gesù ha fatto dando esempi nelle parole e coi fatti. Alla fine è la dimostrazione pratica quella che non ammette repliche.

 

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