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TESTO Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti

mons. Gianfranco Poma

XXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (05/09/2010)

Vangelo: Lc 14,25-33 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 14,25-33

In quel tempo, 25una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: 26«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. 27Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.

28Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? 29Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, 30dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”. 31Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? 32Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. 33Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo.

Termina con queste parole il cap.14 del Vangelo di Luca che stiamo leggendo in queste ultime domeniche. Se l'ascolto della Parola ha un posto di primo piano nella vita del discepolo di Gesù, questo invito così esplicito vuole sottolineare l'importanza del messaggio contenuto in questo capitolo: ancora una volta dobbiamo sottolineare che la lettura liturgica omette alcune parti che lodevolmente ciascuno di noi è invitato a leggere personalmente.

Tutto ha inizio dall'invito che Gesù ha ricevuto da un capo dei farisei, in giorno di sabato, ad entrare in casa sua per mangiare il pane. Vedendo ciò che accadeva, che tutti cercavano i primi posti, Gesù ha pronunciato una parabola. Mentre è a tavola, pronuncia una parabola sul sedersi a tavola: la "parabola" fa parte del linguaggio normale di Gesù, sempre attento alla realtà concreta che ha sotto gli occhi. Con la parabola, egli esprime il suo modo di guardare la realtà: nella concretezza vede la presenza di Dio, tutto diventa simbolico e la realtà che cade sotto l'esperienza sensibile si autotrascende, diventa una parola che rende visibile ciò che Dio vuole manifestare di sé.

Così, Gesù, invitato a mangiare il pane pronuncia la parabola sull'invito a mensa, dove, il suo essere invitato a condividere il pane, diventa la rivelazione del progetto del Padre che egli è mandato a realizzare: Dio vede l'umanità come una comunione di fratelli chiamati a mangiare insieme il pane, a condividere la vita. E Gesù mostra che questa è proprio la sua missione: è Lui che sedendo a mensa genera la comunione, trasforma l'umanità in una famiglia. Tutto il cap.14 di Luca non ha come scopo fondamentale di dare un insegnamento morale sull'umiltà ma di svelare il progetto di Dio sull'umanità che Gesù mette in atto. A noi che leggiamo il Vangelo è rivolta la proposta della fede: Gesù è con noi e ci invita a trasformare la nostra vita in una festa nella quale sperimentiamo la gioia dello spezzare il pane, del condividere la bellezza della vita. Noi siamo degli invitati a mensa da Colui che vuole la felicità per noi, ma per gustare questa gioia dobbiamo spogliarci da ogni preoccupazione, prepotenza, paura. La felicità è un dono gratuito che viene dato a chi ha le mani vuote, aperte per accoglierlo, a chi siede a mensa per accogliere il pane, non a chi è già sazio di beni. Il progetto di Dio è di un Padre che ama i figli che si lasciano amare da lui, che riempie di beni gli affamati, che innalza gli umili. E' un progetto concreto: Gesù parla stando seduto a una mensa e dice a noi che possiamo gustare questa gioia adesso, quando spogliati da ogni desiderio di primeggiare, di oscurare gli altri, di accaparrarci ogni cosa, ci guardiamo come fratelli e ci scambiamo vicendevolmente un pezzo di pane. Ma è un progetto che nasce dalla fede in Lui: è Lui solo che ci dona la forza perché è Lui solo che è sempre con noi, che diventa il pane spezzato che ci nutre con il suo amore, perché noi abbiamo il coraggio a nostra volta di spezzare la nostra vita come fratelli.

Abbiamo bisogno di Lui per entrare nella festa dei fratelli, dobbiamo essere suoi discepoli per gustare la gioia: dobbiamo sottolineare che il progetto a cui Gesù ci chiama è di meravigliosa bellezza, perché è fatto di libertà, di amore. Ma certo egli con estrema chiarezza ci dice che per entrarvi occorre capovolgere la logica che l'uomo normalmente segue: gli ultimi, i poveri, sono coloro che possono sedersi a mensa ed essere pieni di gioia, perché Colui che prepara la mensa li ama.

In questo contesto possiamo capire il brano che leggiamo in questa domenica XXIII, Lc.14,25-33.

"Molta gente camminava con Lui": hanno capito che camminare con Gesù significa trovare il respiro pieno della vita. "Voltandosi egli disse...": il Vangelo sottolinea spesso che Gesù per parlare deve voltarsi, egli sta sempre davanti perché chi lo segue possa tenere sempre lo sguardo fisso su di Lui.

La parola che pronuncia è ancora una volta sconvolgente: l'orizzonte che egli vuole aprire è meraviglioso ma la via per varcare la soglia appare una follia. Ci vuole coraggio, ci vuole una fede in Lui senza limiti per aderire a ciò che egli chiede a chi vuol essere suo discepolo: per tre volte ripete l'avvertimento "...non può essere mio discepolo". Gesù vuole persone libere e per questo non inganna, non nasconde nulla: è così grande ciò che propone che per questo chiede tutto, solo persone libere possono possedere tutto, solo chi si è spogliato di tutto e non cerca più niente può gustare l'Amore e cominciare ad amare.

"Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre...e persino la propria vita, non può essere mio discepolo". Purtroppo la nuova versione della Bibbia ritenendolo urtante, traduce questo verbo "non odia" con "non ama me più di suo padre o sua madre...", come se Gesù volesse stabilire una scala quantitativa nell'amore: ma Gesù non vuole affatto stabilire un confronto. Egli chiede tutto: c'è un momento nel quale occorre fare una scelta radicale. Gesù è la visibilità di Dio: egli propone al suo discepolo l'ebbrezza dell'esperienza della totalità dell'Amore. Questo richiede il distacco, che è espresso da questo verbo greco che è tradotto con "odiare", da tutto ciò che è limitato. Ma chi sperimenta la totalità dell'Amore che è la concretezza della persona di Gesù, ritrova tutto e comincia davvero ad amare il padre, la madre... e la propria vita. Questa è la bellezza proposta da Gesù: abbandonare tutto, gustare l'Amore per ritrovare tutto e cominciare ad amare tutto.

"Chi non porta la sua croce...non può essere mio discepolo": non è un invito masochistico alla sofferenza ma ad accettare di percorrere con Lui la strada della propria vita personale, per gustare già adesso la vita della libertà della risurrezione.

E ancora una volta Gesù ci avverte che ciò che egli propone è possibile, è bello, è concreto: vogliamo viverlo? Non basta l'emozione di un attimo: occorre sapere che è in gioco tutto il capitale dei valori che è nelle nostre mani. Vogliamo una vita grande? Occorre il coraggio di impegnare tutto per poterla vivere. Se impegniamo poco non otteniamo niente.

"Chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo": a ciascuno di noi Gesù rivolge questa sua parola. Nella superficiale banalità in cui rischiamo di ridurre la nostra vita, cade questa parola di Gesù: abbiamo il coraggio di rinunciare a tutti i nostri averi? Solo così siamo suoi discepoli ed entriamo nella festa della vita che egli prepara per noi.

 

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