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TESTO Il difficile perdono

Wilma Chasseur   In cammino con Gesù

XXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (11/09/2008)

Vangelo: Mt 18,21-35 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 21Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». 22E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.

23Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. 24Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. 25Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. 26Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. 27Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.

28Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. 29Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. 30Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.

31Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. 32Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. 33Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. 34Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. 35Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

Il tema di questa domenica è quello del perdono e, dalla parabola del servo malvagio, appare chiaro che siamo noi stessi a stabilire "quanto" perdono riceveremo da Dio. Infatti saremo perdonati in base al perdono che saremo stati capaci di accordare agli altri. "Così anche il Padre mio celeste farà a ciascuno di voi". Come noi avremo fatto.

Ma vorrei soffermarmi in particolare su una parola di Gesù, che mi ha colpito e rivela una profonda verità sulla sua identità di Figlio di Dio: "Così anche il Padre mio".

Ho voluto cercare in Matteo quale fosse l'aggettivo più usato da Gesù per qualificare il Padre ed è proprio "mio"(15 volte) seguito da " vostro"(9 volte), mentre "nostro" ricorre solo una volta e non include Sé stesso: "voi dunque pregate così: Padre nostro..." Gesù per sé, lo chiama sempre e solo "Padre mio" e questo ci fa capire che esiste una distinzione fondamentale tra la sua figliolanza e la nostra. Solo lui è il Figlio unigenito della stessa sostanza del Padre, generato prima di tutti i secoli e non creato. E' questa la distinzione abissale: noi non siamo della stessa sostanza di Dio e siamo stati creati, cioè tratti fuori dall'abisso vertiginoso del nulla e siamo passati dal non-essere all'essere; dal non-esistere all'esistenza, e anche ora riceviamo ad ogni istante l'esistenza da Dio, altrimenti ripiomberemmo nel nulla. Col battesimo siamo poi diventati suoi figli (e non solo più creature), ma figli adottivi, cioè non della stessa"razza": continueremo ad essere "fatti" di natura umana mentre Dio è e sarà sempre di natura divina.

E' questa la distinzione fondamentale che dobbiamo tenere presente perché fonda addirittura la nostra fede distinguendola da altre, per esempio quella induista (che va tanto di moda e, per questo, credo sia utile chiarire alcuni concetti). Questa nega che sussista una distinzione tra creatore e creatura, tra Dio e l'uomo e ritiene che al termine della purificazione l'anima si dissolverà in Dio come la goccia d'acqua si dissolve nell'oceano e diventerà di natura divina. Secondo questa concezione non sussisterebbe più nessuna alterità, cioè non ci sarebbe più un "tu" e un "io", ma un tutt'uno che coinciderebbe con l'unica natura divina.

Contro questa idea, la distinzione che fa Gesù tra "Padre mio e Padre vostro" è quanto mai rivelatrice perché sta ad indicare che noi non diventeremo mai Dio per natura, ma solo per partecipazione. Cioè parteciperemo alla vita divina come il vetro partecipa alla luce del sole; riceveremo in noi la vita divina allo stesso modo del vetro che riceve in sé la luce del sole, che però rimane "altro" da lui. Ma pur rimanendo "altro" gliela comunica interamente..

Gesù con questa distinzione ci ricorda che siamo creature e non saremo mai come Dio, tentazione vecchia come il mondo, risalente addirittura ad Adamo. E oggi più che mai in auge nelle nuove religiosità tipo New age, che promettono poteri divini acquisibili con determinate tecniche che sfruttano energie cosmiche... L'uomo ha proprio perso la testa: non sa quanto è polvere e vuol rubare a Dio nientemeno che la divinità!

La seconda lettura ci ricorda che: "nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, ma per il Signore". Stupenda verità sulla quale non riflettiamo abbastanza, cioè che siamo qui per realizzare un progetto che Dio ha su ognuno di noi. Non siamo qui per fare ciò che ci pare e piace e senza far riferimento a nessuno: il senso del nostro esistere e del nostro andare è di collaborare a un disegno divino che esiste da tutta l'eternità su ognuno di noi. Quale densità di significato acquista allora in nostro vivere e il nostro operare se lo vediamo in quest'ottica. Solo allora daremo la piena misura di ciò che siamo, e tutto ciò che facciamo acquisterà un senso e una portata eterna.

 

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