TESTO Commento su At 2,4
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Pentecoste (Anno C) - Messa del Giorno (23/05/2010)
Brano biblico: At 2,4
«15Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; 16e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre»,
23Gli rispose Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. 24Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
25Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. 26Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».
Dalla Parola del giorno
Tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.
Come vivere questa Parola?
È il giorno di Pentecoste, il giorno della grande effusione dello Spirito, che segna l'atto di nascita ufficiale del nuovo popolo di Dio. L'evento è accompagnato dal dono delle lingue. Il segno della ricomposizione dell'unità infranta, di cui Babele era l'emblema.
Ma chiediamoci: quello delle lingue è l'unico dono connesso con l'effusione dello Spirito? Certamente no! Perché gli Atti sembrano sorvolare sugli altri per evidenziare proprio questo?
La parola è lo strumento per eccellenza della relazionalità. Con essa la persona può consegnare ciò che gli è più intimo: se stesso. Rendere comprensibili i vari idiomi equivale ad abbattere barriere, abolire frontiere, rendendo così possibile la comunione.
Nel dono delle lingue, allora, il segno di una missione, anzi della missione che qualifica l'essere della Chiesa: ricondurre all'unità i figli di Dio, di cui il peccato ha minato in radice le relazioni.
La Chiesa non nasce per se stessa, ma per essere fermento di unità nel grembo della storia. Non rappresenta un privilegio riservato ad alcuni, ma una missione a favore di tutti. E ciò nel pieno rispetto dei diversi idiomi. Pentecoste, infatti, non segna l'abolizione delle differenze, ma il loro armonizzarsi così che gli uni intendono gli altri. Ognuno resta se stesso con ciò che lo qualifica, ma è messo in grado di comprendere e di essere compreso. Una molteplicità di note non più discordanti ma in armoniosa relazione fino a fondersi in una sinfonia, fino a comporre l'unica lode gradita al Padre perché concorde.
Oggi, nella mia pausa contemplativa, cercherò di individuare quanto mi rende difficile capire e accogliere gli altri nelle loro diversità e quanto rende poco intelligibile il mio modo di pormi dinanzi a loro. Vedrò poi quali modifiche apportare.
Donami, Signore, di non utilizzare altro linguaggio che quello del cuore, l'unico capace di intendere e di farsi capire.
La voce di un padre apostolico
Dalla vostra unità, dal vostro amore concorde si innalza un canto a Gesù Cristo.
Ignazio di Antiochia