TESTO La Forza è dentro
VI Domenica di Pasqua (Anno C) (09/05/2010)
Vangelo: Gv 14,23-29
23Gli rispose Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. 24Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
25Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. 26Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.
27Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. 28Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. 29Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate».
Siamo nell'ultima cena (Gv 13-17) dopo la lavanda dei piedi, dopo che Giuda se n'è andato per compiere il suo tradimento. Gesù fa un lungo discorso e prepara i suoi amici alla sua partenza:"Vado e tornerò a voi... vi rallegrereste che vado al Padre... ve l'ho detto adesso, prima che avvenga". Non lo vedranno più.
L'Amico Gesù, colui con il quale condividevano le giornate, le gioie e gli entusiasmi, le incomprensioni del mondo e l'odio, l'amore e i miracoli, le fatiche e le preghiere, se ne sta per andare.
Gesù con queste parole aiuta i suoi amici a passare dal cenacolo, dal santuario esteriore, al cenacolo e al santuario interno. Lì, in quel cenacolo, non lo troveranno più. Se lo vorranno trovare dovranno cercare in un altro cenacolo: nel proprio cuore, nella propria anima.
Gesù fisicamente non ci sarà più: questo causa turbamento, angoscia, terrore: "Che faremo senza di lui? Come potrà andare avanti la vita senza la nostra Vita? Chi ci aiuterà? Chi ci sosterrà? Come faremo a vivere senza di lui? Avrà ancora senso la vita?". Sono domande inquietanti che si pongono gli apostoli dal profondo della tempesta che si agita nel loro animo.
Sono le domande che agitano i giorni e le notti di molte persone quando muore il compagno, un figlio, un caro, qualcuno che si ama; sono le domande di quando perdiamo fisicamente, esteriormente, qualcosa; di quando ci viene sottratto ciò che avevamo di caro, di prezioso e di unico. Sono i mostri che si materializzano quando ci rendiamo conto che è proprio vero che perdiamo tutto, che non possiamo trattenere niente e che non possediamo nulla.
In fondo in fondo gli apostoli nutrivano l'illusione che Gesù avrebbe instaurato il regno dei cieli qui sulla terra; speravano che qualcosa di diverso sarebbe successo; un po' ci credevano in un intervento del Padre in favore di suo Figlio. E invece no! Allora tutte le loro sicurezze, tutte le loro certezze sono svanite, si sono dissolte come il fumo nel vento. La terra ha iniziato a crollargli sotto i piedi e tutto è crollato. "Ma cosa rimane?". Sembrava tutto finito.
Quello che è successo agli apostoli è ciò che tutti noi dobbiamo attraversare. Ci sono due verità. La prima dice: "Si perde tutto".
Allora tu ti guardi attorno, vedi i tuoi figli e ti urli: "No, no, no, non voglio perderli!". E, invece li perderai. Poi guardi al tua vita e urli: "No, no, no, non voglio morire, non voglio andarmene!". E, invece, te ne andrai. Poi guardi a tutto ciò che esiste e dici: "Ma che schifo, perché devo perdere tutto questo? Perché non si può rimanere qui per sempre?". Poi guardi agli anni che passano e dici: "Perché s'invecchia? Perché non si può rimanere sempre giovani? Ma perché?".
Gradualmente impari (se vuoi imparare!) che non ti puoi attaccare a niente. Tutto passa. Tutto và. Impari che nulla è tuo, ma proprio nulla. Di nessuna cosa puoi dire: "Sei mia".
Questo è doloroso perché la presenza induce l'attaccamento. Stai insieme ad una persona, la ami, ed è normale che ti attacchi a lei. E' ovvio: ci si affeziona e ci si lega. Allora, piano piano, senza accorgertene, la fai "tua", credi che ti appartenga, credi che non potresti vivere senza di lei. E ti angosci quando pensi che un giorno ti potrà essere sottratta. E più l'insicurezza pervade il nostro cuore e più siamo terrorizzati dalla paura di perdere l'altro.
Ma c'è un'altra verità più profonda e più vera: "Nulla si perde".
E' ciò che sperimentarono gli apostoli e i primi cristiani. Anche loro persero la persona più cara, quella che più amavano. Sembrava veramente una tragedia senza fine. Avevano perso la loro Vita.
Ma poi successe l'incredibile: anche se fuori non c'era più, anche se fisicamente non lo toccavano più, adesso ce l'avevano dentro; adesso era un fuoco che li riscaldava ogni giorno; adesso era una luce che brillava splendente dentro di loro; adesso era una passione che riscaldava il loro cuore. Insomma: adesso era più vivo di prima. Adesso lo sentivano più di prima.
Questa esperienza di avere il Signore vivo dentro di loro la chiamarono lo Spirito, l'Amore, il Risorto. Tutto può vivere e rimanere dentro di te anche se non c'è più fuori. Tutto può esistere anche se fuori se ne è andato o è morto. Dal punto di vista dell'anima, allora, non si perde mai nulla e non si muore mai.
C'era un discepolo che tutti i giorni da tanti anni andava dal suo maestro. Il suo maestro gli spiegava i segreti della natura, le leggi che sottendono a tutto ciò che vive a tutto ciò che esiste. Gli aveva insegnato a leggere i cuori degli uomini, a capirne le intenzioni, a prevederne le reazioni. Ogni mattina il discepolo arrivava, poneva delle domande al maestro e questo rispondeva alle sue domande. Il discepolo aveva imparato molte cose e ogni volta che non era sicuro, chiedeva al maestro. Una mattina andò come tutte le mattine dal maestro. Come arrivò il maestro gli disse: "Questa mattina sarà l'ultima mattina che verrai qui da me!". "Ma perché maestro? Ti ho deluso? Ho fatto qualcosa che non dovevo fare? Non ti ho obbedito? Non ti ho rispettato? Dimmi, maestro in cosa non ti ho ascoltato e io lo farò!", disse il discepolo. "Finché tu vieni da me, io sarò sempre il maestro e tu sempre il discepolo. Ma adesso devi imparare l'ultima lezione: io sono maestro e tu anche. Da domani non chiederai più a me ma a te stesso", disse il maestro.
Ci sono tanti modi per amare: posso ogni giorno darti un pesce da mangiare ma posso insegnarti anche a pescare, e allora sarai diventato tu stesso un altro pescatore. Molte persone hanno trent'anni, quaranta, ma sono ancora attaccate alla tetta della mamma. Ma viene un tempo in cui il latte bisogna prenderselo da soli. Basta con il rimanere bambini.
Dio ci ha fatto un regalo incredibile, enorme. Dio non ha voluto che gli ubbidissimo sempre, che ci riferissimo a Lui per ogni cosa, che dovessimo sempre consultarlo per sapere in ogni istante cosa fare. Dio non ci ha creati schiavi del suo volere. Dopo averci educati e insegnato un po', ci ha detto: "Io sono il Maestro e tu il discepolo. Ma da adesso tu sei il maestro".
Gesù non ci chiama tanto a venerarlo, a pregarlo, ad adorarlo. Gesù ci chiama ad essere noi stessi degli altri Gesù.
Tutt'oggi la maggior parte delle persone chiede risposte: "Cosa devo fare in questa situazione? Cosa dice il Catechismo della chiesa cattolica? Cosa dice il Papa? Cosa è giusto fare? Cosa bisogna fare?". E' il bambino che chiede tutto alla mamma perché non sa ancora cosa vuole e cosa non vuole, perché ha paura di fare delle scelte e di sbagliare.
Ma l'adulto non chiede più all'esterno, chiede all'interno, chiede al Dio dentro di sé. Noi dobbiamo prendere sul serio il fatto che Dio ci abita, che lo Spirito è dentro di noi.
Sentirsi Dio dentro è farsi carico di una responsabilità che pochi sono disposti ad accettare. Meglio affidarsi al Dio dei dogmi e delle chiese, perché così ci si risparmia lo sforzo di decifrare quel mistero che siamo, dato che saranno i suoi rappresentanti a dirci come è fatto questo Dio e come lo dobbiamo amare e adorare.
La gente che chiede troppe risposte agli altri è perché non vuole prendersi la responsabilità e il carico di vivere la propria vita e la propria fede in prima persona. E' sempre più comodo farsi portare in carrozzina o in passeggino piuttosto che camminare con le proprie gambe. Dio è dentro di te; il Maestro unico e vero è lì in te a portata di mano: perché chiedi a me? Perché chiedi in giro?
Da questo punto di vista la chiesa ha le sue responsabilità. Ha sempre detto: "Io ho la verità". Questo voleva dire: "Se vuoi sapere cosa dire e cosa fare, cosa è giusto e cosa no, chiedi a me". Era un po' come dire: "Tu non sai niente. Chiedi a me se vuoi non sbagliare". Ma allora si è come delle marionette: qualcuno tira i fili e tu esegui. Ma facendo così le persone si sentivano deresponsabilizzate. Non era importante ciò che loro pensavano o vivevano: basta ubbidire.
Il valore primo era il comandamento da rispettare; il verbo più stimato era obbedire. Ma la chiesa deve insegnare che il primo valore è la tua coscienza: solo a lei devi rendere conto. E il verbo prima è ascoltarsi, percepirsi ed essere fedeli al Dio interiore.
Lo Spirito ci ricorda una verità enorme: Dio è dentro di te. Tu lo devi conoscere, tu lo devi cercare, tu devi darti le tue risposte e ti devi prendere le tue responsabilità.
Giovanni XXIII passò un giorno con la sua auto davanti alla sinagoga di Roma. (Gli ebrei per secoli erano stati tacciati dalla chiesa come "perfidi", ritenendoli colpevoli della morte di Gesù e a quel tempo questa credenza rimaneva). In quel momento stavano uscendo dal tempio una dozzina di ebrei. Il papa ordinò di fermare l'auto. Poi si diresse a piedi verso di loro e disse: "Non lo so se faccio bene o male, ma ho sentito la voglia di darvi la mia benedizione come padre dei cristiani". Gli ebrei ricevettero il suo gesto con simpatia e alcuni perfino lo abbracciarono. Quando poi rientrò in auto disse al suo segretario Loris Capovilla: "Mi domando che cosa direbbero alcuni teologi del Vaticano di quel che ho appena fatto. E se fossero loro a sbagliarsi?". La tua coscienza è il Dio che parla dentro di te. Non delegare a nessun altro al tua vita.
Il vangelo dice: "Chi mi ama osserva la mie parole; chi non mi ama non osserva le mie parole".
Tereo "osservare" vuol dire custodire, osservare, guardare, aver cura, stare in guardia, conservare. E' il pastore che osserva, custodisce il suo gregge perché gli è caro, lo ama, perché è prezioso per lui.
Osservare vuol dire non perdere mai di vista. E' il pastore che, siccome quelle pecore sono tutto ciò che ha, le osserva, non le perde mai di vista, le guarda sempre, le sorveglia dagli attacchi dei lupi e dei predatori.
Qui, allora, non si parla di osservanza nel senso di fare giusto o sbagliato. Si vuol dire: hai scoperto una verità? Hai trovato qualcosa che ti riscalda il cuore? Hai trovato il cibo della tua anima? Hai trovato ciò che ti fa vivere? Non perderlo! Custodiscilo con tutto il tuo amore.
Bisogna proteggere ciò che è prezioso. Proteggi i tuoi tesori o ti verranno rubati. Le parole di Gesù avevano riscaldato il cuore e l'anima degli apostoli; quelle parole li avevano fatti vivere. Per questo, se lo amano, le osserveranno, le custodiranno come tesori preziosi e unici.
Abbiamo davanti una grande tavola. In questa tavola c'è pasta con i gamberetti, pasta al pomodoro, roast beef, macedonia di frutta, fragole con la panna, yogurt, sushi, formaggi, dolci con varie marmellate e meringata, salmone, grigliate di carne, ecc. Tu vai e dici: "Cosa potrei prendere? Beh, mi prendo un po' di questo, un po' di quello; ma sì anche un po' di quell'altro e anche quello".
Ci sono uomini e donne che prendono per tutta la vita le decisioni così: "Oggi facciamo quello; domani quell'altro; ma sì proviamo anche questa cosa e quell'altra pure".
Ci sono cose che ci fanno un cenno (che ci piacciono) e cose che ci appassionano, che ci prendono l'anima. Quando uno sceglie tutto è perché non ha ancora capito cosa è suo e cosa no, così prende tutto. Ma prendere tutto è come prendere niente: non si sceglie!
Os-servare, con-servare, vuol dire: "Questo, e non uno a caso o quello che trovo!".
Rimanere fedeli a sé vuol dire che, siccome non tutto si può scegliere, non perderemo mai di vista ciò che ci prende l'anima, che ci appassiona il cuore, che è centrale per la nostra vita. Non ci faremo distrarre. Bisogna chiedersi: "Ma io cosa voglio? Di che cosa sono affamato? Che cosa mi fa sentire vivo?".
L'anima non si accontenta di quello che le passa davanti. L'anima vuole il suo nutrimento, il suo cibo. E trovato ciò che ti fa vivere, bisogna conservarlo, custodirlo, osservare che non vada perso.
Oggi ci sono mille cose da fare. Se guardi a ciò che potresti fare, ci si scoraggia: c'è così tanto da fare. Il rischio è di essere tirati a destra e a sinistra, di fare di tutto e ogni cosa. Per questo è fondamentale conservare il proprio tesoro (ciò che ti fa vivere) e osservare di non essere fuori dalla propria strada. Così mi devo sempre chiedere: "Che cosa mi fa vivere? Che cosa mi appassiona? Per che cosa io vivo e voglio vivere? Per quali motivi io voglio spendere la mia vita?". Per questo devo ogni tanto fermarmi, pregare e ricordarmi: "Io sono qui per questo".
Conserva le tue intuizioni: a volte abbiamo colto qualcosa di noi o verso dove andare. Non perderle. Quante persone si sono perse, si sono dimenticate di ciò che li appassionava nell'anima. Allora si muore dentro.
Conserva le tue relazioni: ci sono delle persone che sono per noi come dei porti, delle ancore di salvezza, dei salvagenti nel pericolo. Mai perderli, mai lasciarli; conservali con tutto l'amore che puoi perché ti fanno vivere.
Conserva i tuoi incontri: ci sono delle esperienze che ci ricaricano, che ci rientrano, che ci danno forza ed energia per andare avanti. A volte la fatica, la stanchezza, ci distolgono da ciò che per noi è vitale. Conserva ciò che riscalda il tuo cuore e che è il sangue e la linfa dell'anima.
Conserva le tue parole. In certi momenti della vita tutti noi abbiamo percepito dei richiami, delle parole che ci hanno svegliato, risuonato dentro, rimbombato, che abbiamo sentito come nostre.
Conserva le tue parole, accarezzale, ritornaci, custodiscile perché sono il dono di Dio per te, sono indicazioni di chi sei e di dove andare.
Conserva il tuo amore: troppe persone si fanno prendere dal lavoro e dai lavori, si distraggono in mille cose e perdono di vista il "tesoro" della loro vita. Così perdono l'amore, perdono ciò che li faceva coppia, ciò che li univa.
Poi Gesù dice: "Io me ne vado ma vi lascio il Consolatore, lo Spirito Santo".
Parakaleo (da cui lo Spirito Paraclito) significa "mandare a chiamare, invitare, invocare aiuto, consolare, dire una buona parola". Cosa sta succedendo? Gesù se ne va e sa che i discepoli sono turbati e hanno paura. Infatti dice loro: "Vi lascio la pace... Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore".
Il dolore degli apostoli è grande, ma Gesù dice: "Tranquilli, amici miei, perché sentirete dopo la mia morte una presenza dentro di voi che vi sosterrà e che vi darà forza. Voi adesso soffrite ma la vostra sofferenza sarà cambiata in una gioia indicibile. E' un po' come la donna quando partorisce: un grande travaglio ma poi prova una gioia senza fine quando vede suo figlio".
Le parole di Gesù vogliono consolare gli apostoli.
E' morto il figlio quindicenne di una donna. Che cosa vuoi dirgli? Qualcuno le ha detto: "Dio si prende i fiori migliori". Era un incoraggiamento ma la donna rispose: "Bel Dio, questo!". Un altro ha detto: "Dio si porta via sempre i più buoni". E lei: "Che mi dia dei figli cattivi, ma che me li lasci!". Un altro: "E' la vita... dai poi col tempo passa... almeno tu eri pronta, lo sapevi...".
A volte noi diciamo delle belle parole ma le belle parole non toccano la persona. A volte basterebbe solo far silenzio, non dire nulla ed esserci.
Una bambina di nove anni torna a casa dopo essere stata in casa della vicina che le era morto il figlio. "Cosa sei andata a fare dai vicini? Lo sai che stanno soffrendo!". "Sono andata a consolare la mamma!". "E come potevi consolarla tu?". "Le sono salita sulle ginocchia e abbiamo pianto insieme".
Con-solare è cum-solus, stare con chi è solo.
A volte non c'è niente da dire. A volte non c'è niente da fare. A volte si tratta solo di esserci. Il dolore, la fatica, l'angoscia, le separazioni, fanno parte della vita. Non si può toglierle.
Consolare non è minimizzare: "Ma sì, dai che non è niente! Ma sì, dai che passa! Ma sì ne hai tanti di amici!". Un bambino di otto anni è arrabbiato perché il suo amichetto non lo ha invitato alla festa. Per lui è una grande sofferenza. Se tu minimizzi non lo comprendi. Se gli dici che "non è niente" gli dici che è sbagliato quello che prova e così lui pensa di essere sbagliato. Se gli dici "passerà" lui penserà: "Neanche la mamma mi capisce!". Stai con lui, lo abbracci, gli dici che capisci il suo dolore, che ti dispiace e che non ci puoi fare niente.
Consolare non è far finta di niente: sta soffrendo perché vuoi toglierli un dolore che non si può togliere?
Un ragazzo viene bocciato a scuola oppure viene lasciato dalla fidanzatina. Per lui è un dolore immenso. E' inutile non parlarne, fare come se non fosse niente perché la cosa è successa. E' inutile schivare il discorso perché la realtà è questa. "Come stai? Cosa provi? Raccontami! Se vuoi io ci sono! Non ti posso togliere il tuo dolore ma ti posso ascoltare". Il dolore espresso è condiviso, minore (come dice la parola condiviso).
Consolare non è dire qualcosa, è esserci, stare. Ti prenderò la mano, non dirò niente e starò con te. Ti guarderò negli occhi e saprai che io ci sono. Non posso vivere per te ma posso vivere con te.
Cosa succedeva agli apostoli? Il mondo gli cadeva addosso, tutto quello per cui avevano lottato e vissuto adesso finisce. Allora si dicevano: "E' la fine! L'angoscia ci sommerge! Andremo tutti a fondo!". E Gesù: "Non abbiate paura amici miei, non sia turbato il vostro cuore. Io fisicamente non ci sarò più ma continuerò a starvi vicino dentro. Mi sentirete e non vi sentirete mai soli. Credetemi sarà così". E fu così.
Vi rendete conto di cosa vuol dire avere il Consolatore dentro di sé? Quando il mondo ti cade addosso, quando ti ritrovi di fronte ad uno sbaglio colossale, quando devi fare una scelta che nessun altro può fare per te ed è una scelta difficile o dolorosa, dove vai? Va' dentro di te, rientra in te e cerca, cerca, cerca. Perché da qualche parte c'è Lui: il Consolatore.
Nessuno di noi è solo. C'è sempre una parte di noi che ci può consolare, che ci può stare vicino, che ci può dare una mano, che ci sarà per noi qualunque cosa capiterà o dovremo vivere. Quando tutto mi cade addosso, allora io mi dico: "Marco, per te ci sono". E non mi sento più solo. Mi dico: "Se anche tutti ti abbandonassero, io non lo farò, Marco". E poi mi fermo, mi ascolto e più in profondità sento che Lui mi dice: "Marco, anch'io per te ci sono!". E questo è una consolazione enorme: so che Lui c'è, che non mi abbandonerà. E mi dico: "Per fortuna!".
Questa fu l'esperienza degli apostoli: "Sentivano che Lui, lo Spirito, il Signore Risorto, era vivo e presente dentro di loro. Per questo non si sentivano mai soli". Se ti senti abitato da qualcuno sei sempre in compagnia. Soffriamo di solitudine perché non lasciamo entrare nessuno (né Dio né le persone).
Il vangelo di oggi ci ributta dentro di noi. La tua forza è dentro: lì c'è lo Spirito, il Dio in te.
La forza di un albero non sta in quello che si vede, nelle foglie, nei rami o nel tronco. La sua forza sta nelle sue radici, in ciò che non si vede, in ciò che ha dentro. Nessun albero è più alto delle sue radici.
La forza di un uomo è in ciò che ha dentro. Se amiamo veramente i nostri giovani dobbiamo insegnargli dov'è la loro vera forza. A che serve farli belli, grandi, grossi, laureati, quando poi non hanno la forza di vivere, di reggere e di sostenere la loro vita?
Tutta la società è preoccupata di svilupparsi fuori: più belli, più ricchi, più acclamati, più degli altri. E' un'illusione che avvelena la vita di milioni di persone. La vera forza, infatti, sta dentro.
La forza di un uomo è la capacità si resistere al dolore del rifiuto e dell'abbandono, senza evitarlo. Per la società è "forte" chi non prova nulla, chi non sente la paura, chi non soffre mai.
La forza di un uomo è l'intensità del suo sguardo, la profondità e la vibrazione del suo tocco. Per la società è "forte" chi è ammirato e chi ha tutti ai suoi piedi.
La forza di un uomo è la capacità di ascoltarsi, di conoscersi, di seguire cosa accade dentro di sé. Per la società è "forte" chi è intelligente, chi te la sa raccontare, chi "te la incarta sempre". Per la società è "forte" chi viaggia e va dappertutto: ma se non sai compiere il viaggio dentro di te...
La forza di un uomo è non vergognarsi di niente di ciò che gli accade dentro e di avere il coraggio di riconoscere e di chiamare per nome ogni cosa. Per la società è "forte" chi fa sempre il furbo, chi se la cava sempre, chi sa mascherare e mascherarsi.
La forza è nell'intensità dei suoi sentimenti e nel seguire la sua coscienza anche se lo porta controcorrente. Per la società è "forte" chi ha potere, chi può permettersi, chi ha soldi.
La forza di un uomo è inchinarsi e chiedere perdono quando sbaglia ma non inchinarsi a nessuno e a nessun compromesso se ne va della propria dignità e integrità. Per la società è "forte" chi come il camaleonte si adatta a tutto e ne viene sempre fuori bene.
La forza di un uomo è far emergere la Forza divina che lo abita e non vivere al di sotto delle sue possibilità. E' ciò che hai dentro che ti sostiene (che ti tiene su).
Quando guardi un albero dici: "Ma che belle foglie; e com'è alto! E che fiori! E che frutti meravigliosi!". Ma in realtà devi dire: "Le sue radici sono profonde e radicate; la linfa scorre senza ostacoli e senza barriere; dentro è vivo e pino di vita che emerge ed esce".
E adesso guarda la tua vita. Ciò che vedi fuori è la conseguenza di ciò che hai dentro. E se non ti piace il fuori devi cambiare il dentro.
Pensiero della Settimana
Li portammo sull'orlo del baratro e ordinammo loro di volare. Resistevano. Volate, dicemmo. Continuavano a opporre resistenza. Li spingemmo oltre il bordo... e volarono